Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 febbraio 2017, n. 4662

Lavoro - Giorni di riposo non goduti - Monetizzazione all’atto della cessazione del rapporto - Uso aziendale

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 9681/2009, depositata il 26 aprile 2010, la Corte di appello di Roma respingeva l'appello proposto, unitamente ad altri dipendenti di T. S.p.A., da S.P. nei confronti della sentenza del Tribunale di Roma, che ne aveva rigettato la domanda di condanna della società al pagamento dell'indennità sostitutiva dei giorni di riposo non goduti alla data del 31/12/2000.

La Corte osservava a sostegno della propria decisione che era da ritenersi sussistente, anche tenuto conto delle previsioni in materia dell'accordo sindacale del 6/4/2001, la prassi aziendale, per la quale i giorni di riposo diversi e ulteriori rispetto a quelli dovuti a titolo di "ferie" venivano riportati nella disponibilità complessiva dell'anno successivo e soltanto all'atto della cessazione del rapporto "monetizzati" mediante l'erogazione di un'indennità; osservava poi come tale prassi, oltre che esistente, era da ritenersi altresì legittima, posto che i giorni di riposo in questione, avendo funzione e finalità differenti dalle ferie, non potevano considerarsi assoggettati alla stessa disciplina di queste ultime, in particolare sotto il profilo della irrinunciabilità e indisponibilità.

Proponeva ricorso per la cassazione della sentenza il P., con tre motivi; resisteva con controricorso la società A. S.p.A., quale incorporante di T.

Entrambe le parti depositavano memoria.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorrente censura la sentenza impugnata: 1) con il primo motivo, deducendo la violazione dell'art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.), per non essersi la Corte territoriale attenuta al petitum, quale indicato fin dall'atto introduttivo del giudizio di primo grado e costituito non già dalla richiesta di fruizione di ferie non godute da parte dell'appellato ma dalla loro monetizzazione; 2) con il secondo, deducendo vizio di motivazione (art. 360 n. 5), per non avere la Corte dato conto delle ragioni, per le quali ha ritenuto che l'istituto delle ferie non fosse assimilabile ed equiparabile a quello dei "congedi"; 3) con il terzo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2109 c.c., 22 Allegato A) al R.D. n. 148/1931 e 36 della Costituzione (art. 360 n. 3) nonché vizio di motivazione, per avere la Corte erroneamente ritenuto sussistente, pur a fronte della produzione di documenti di segno contrario, e altresì legittimo l'uso aziendale invocato dalla società, uso che, in realtà, non era mai esistito e che, se esistente, era comunque da considerarsi privo di effetto, siccome contrario alla legge e di sfavore per i lavoratori.

E' fondato il terzo motivo di ricorso, laddove viene dedotta insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all'esistenza dell'uso di riportare i giorni di congedo diversi dalle ferie e non fruiti entro l'anno di maturazione nella disponibilità dell'anno successivo, con pagamento di un'indennità compensativa solo alla cessazione del rapporto.

La sentenza impugnata osserva, infatti, che l'esistenza di un tale uso aziendale sarebbe "desumibile a contrario dallo stesso contenuto dell'accordo sindacale del 6/4/2001" sottoscritto dai rappresentanti della parte datoriale e di quattro organizzazioni sindacali: accordo che, con decorrenza 1/1/2001, aveva ridotto il numero complessivo dei congedi, prevedendone la fruizione entro il 31 marzo dell'anno successivo, e che, inoltre, aveva "abrogata espressamente ‘ogni prassi preesistente’ in materia" (pag. 4).

Peraltro, limitandosi all'esame di tale accordo, la Corte ha trascurato di considerare una pluralità di altri documenti prodotti dall'appellante e, in particolare, oltre agli ordini di servizio A. n. 161/91 e n. 395/91 e alla lettera con allegata raccolta di centinaia di firme di lavoratori in data 25/10/2000, il comunicato ai dipendenti delle organizzazioni sindacali di maggioranza all'interno dell'azienda, in cui era fatto richiamo ad un'ipotesi transattiva con riferimento alla materia delle ferie non godute, nonché l'ordine di servizio T. n. 153 del 20/4/2001, nel quale i lavoratori venivano invitati ad accettare una transazione per risolvere "la questione insorta tra l'azienda e il personale dipendente" relativamente alle ferie pregresse.

Si tratta di documenti totalmente obliterati nella motivazione della sentenza di secondo grado e che, segnalando un ampio contenzioso fra le parti con riferimento alla fruizione delle ferie, si rivelano idonei, quanto meno sul piano astratto e in base a criteri di potenziale attitudine probatoria (e cioè nei limiti in cui ne è consentita la valutazione nel presente giudizio di legittimità), a determinare una decisione diversa da quella adottata dal giudice di merito.

D'altra parte, la sentenza impugnata, nell'osservare - quale momento centrale del proprio percorso argomentativo - che l'accordo sindacale del 6/4/2001 aveva abrogato espressamente "ogni prassi esistente in materia", non si confronta con la necessità di accertare che le parti contraenti, con tale espressione, avessero inteso riferirsi ad un uso aziendale che fosse realmente ed esattamente tale secondo i canoni identificativi elaborati in materia dalla giurisprudenza (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 15995/2016; n. 3296/2016; n. 8342/2010); con la conseguenza di privare per ciò solo di valenza logica (al di là della sua impropria inclusione nella categoria a contrario) l'argomento seguito.

Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, la quale provvederà, alla stregua anche dei documenti, sopra indicati, a nuovo esame della fattispecie con riferimento all'esistenza di un uso aziendale quale invocato dalla società datrice di lavoro.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.