Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 settembre 2019, n. 38016

Reati tributari - Omessa presentazione dichiarazioni dei redditi ed IVA - Rilevanza penale - Imputabilità al legale rappresentante - Ricostruzione induttiva dei redditi e delle imposte evase - Legittimità

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 16 luglio 2018, la Corte di appello di Ancona confermava la sentenza del 9 marzo 2017, con cui il Tribunale di Pesaro aveva condannato N.M. alla pena di mesi 9 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, a lui contestato per avere omesso, quale legale rappresentante della società "B.R. il C.B. s.r.l.", di presentare le dichiarazioni dei redditi e Iva relative all'anno d'imposta 2011, al fine di evadere le relative imposte, avendo la società fatturato ricavi per euro 510.555,47, da cui scaturiva un ammontare di Iva non versata di euro 97.257,52 e IRES pari a euro 131.933; in Fano il primo ottobre 2012.

2. Avverso la sentenza della Corte di appello marchigiana, M., tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui contesta l'erronea applicazione degli art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 e 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché l'inutilizzabilità, in sede penale, degli accertamenti induttivi effettuati dall'Agenzia delle Entrate, evidenziando che la Corte di appello aveva invertito l'onere probatorio in ordine alla sussistenza dell'evasione tributaria e all'ammontare dell'imposta evasa, attribuendo rilievo alle risultanze degli accertamenti induttivi compiuti ai sensi dell'art. 32 del d.P.R. 600/1973, il che è consentito solo nel processo tributario.

Le indagini nel caso di specie erano state fondate esclusivamente sulle risposte fornite agli accertatori da parte dello Studio B., non essendo stato acquisito alcun riscontro in ordine alle presunte transazioni per euro 475.230 tra la "B.R." e la "It Brand", mancando la prova della corresponsione delle somme.

In definitiva, sia rispetto all'ammontare del reddito evaso, sia rispetto alla ricostruzione del volume di affari della società, sia in ordine all'effettivo pagamento delle somme indicate in fattura, la Corte territoriale avrebbe omesso di operare una verifica concreta e un'autonoma valutazione degli elementi indicati negli accertamenti induttivi effettuati dall'Agenzia delle Entrare, non fornendo così adeguata risposta alle doglianze difensive sollevate con l'appello.

 

Considerato in diritto

 

Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.

1. A differenza di quanto dedotto dal ricorrente, l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato deve infatti ritenersi immune da censure.

E invero le due conformi decisioni di merito, le cui argomentazioni sono destinate a integrarsi reciprocamente per formare un corpus motivazionale unitario, hanno operato un'adeguata ricostruzione della vicenda storica, richiamando in primo luogo gli esiti dell'attività investigativa compiuta nel 2015 dalla Guardia di Finanza di Fano nei confronti della società "B.R. il C.B. s.r.l.", il cui legale rappresentante è stato individuato in N.M..

I risultati della verifica fiscale sono stati veicolati nel giudizio sia attraverso l'acquisizione del relativo verbale di constatazione, sia mediante l'escussione del luogotenente V.B., il quale ha evidenziato come, rispetto all'anno di imposta 2011, non siano state presentate per tale società le dichiarazioni dei redditi e dell'iva, sebbene risultassero redditi imponibili e iva da versare.

Non essendo reperibile al momento della verifica la parte interessata (trovandosi M. già da un pò a Cuba al momento della verifica fiscale), venivano acquisite presso lo studio del commercialista della società ("studio B.M.") la comunicazione annuale dati iva e copia dei registri e libri contabili. Dall'esame della documentazione disponibile emergevano elementi positivi di reddito per un totale di euro 510.555,47 sui quali, detratti i costi emergenti dalla contabilità, veniva calcolata l'ires non versata per un ammontare di 131.933 euro, risultando altresì un'iva non versata per l'importo di 97.257,52 euro.

Tali risultanze risultavano sostanzialmente corrispondenti con quelle della banca dati tributaria (cd. "spesometro") a disposizione dell'organo accertatore.

Di qui il giudizio sulla configurabilità del reato di cui all'art. 5 del d. Igs. n. 74 del 2000, avendo M., nella sua qualità di legale rappresentante della società, omesso di presentare, pur essendovi tenuto, sia la dichiarazione dei redditi che la dichiarazione Iva per l'anno 2011, per importi superiori alle soglie di punibilità. Ora, la valutazione sulla sussistenza del reato non presta il fianco alle censure difensive, in quanto fondata su una disamina razionale del materiale probatorio, costituito in primo luogo dalle acquisizioni documentali presso lo studio professionale dove era tenuta la contabilità dell'impresa, da cui è emersa l'esistenza di una serie di operazioni commerciali idonee a generare costi e ricavi. Ribadita l'effettività dello svolgimento dell'attività di impresa, non essendovi elementi per sostenere che lo studio "B.M." abbia di sua iniziativa registrato e comunicato dati contabili falsi, i giudici di merito, in maniera non illogica, hanno altresì escluso che le somme corrispondenti alle fatturazioni attive emesse dalla "B.R." non siano state realmente erogate, altrimenti ci si sarebbe dovuti attendere il reperimento di documentazione volta alla riscossione dei crediti maturati, a meno di non volere ipotizzare, ma in assenza di concreti elementi al riguardo, l'emissione di fatture false a fronte di operazioni inesistenti.

I dati desunti dalle scritture contabili disponibili presso lo studio professionale, anche rispettivamente agli importi delle imposte evase, si sono del resto rivelati coerenti con le risultanze della consultazione della banca data "Cli.fo" dell'anagrafe tributaria, per cui l'accertamento induttivo nel caso di specie ha solo costituito una conferma della verifica scaturita dall'analisi della contabilità, ciò in sintonia con l'affermazione costante della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 7078 del 23/01/2013, Rv. 254853), secondo cui le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur non potendo costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumono tuttavia il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente a elementi di riscontro che diano certezza dell'esistenza della condotta criminosa, come è appunto avvenuto nell'odierna vicenda processuale, non avendo l'accertamento induttivo costituito l'unico presupposto ai fini della ritenuta sussistenza del reato. In ogni caso, i giudici di merito si sono confrontati con le deduzioni difensive, rimarcando l'inverosimiglianza di una ricostruzione alternativa rispetto a quella operata con rigore dalla P.G. e rilevando come la documentazione prodotta dalla difesa, riguardante le precarie condizioni economiche dell'impresa e l'avvio di una procedura esecutiva, fosse relativa a un periodo di molto successivo ai fatti di causa, per cui la stessa è stata correttamente presa in considerazione non al fine di escludere la sussistenza del reato, ma nella diversa ottica di mitigare il trattamento sanzionatorio con il riconoscimento delle attenuanti generiche.

Il giudizio di colpevolezza resiste pertanto alle obiezioni difensive, che invero risultano formulate in termini assertivi e non adeguatamente specifici, a fronte di un percorso argomentativo che non presenta criticità rilevabili in questa sede.

2. Ne consegue che il ricorso proposto nell'interesse di M. deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone infine che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.