Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 09 luglio 2019, n. 18362

Tributi - Importazioni - Accertamento origine delle merci diversa da quella dichiarata - Applicazione dazi antidumping e sanzioni

 

Fatti di causa

 

T.T.D. S.r.l. propose in data 30.10.2008 quattro distinti ricorsi avverso altrettanti atti - due avvisi di accertamento e due irrogazione di sanzioni ex art. 11 d.lgs. n. 374/1990 - emessi dall'Ufficio delle Dogane di Genova per violazione dell'art. 303 T.U.L.D. L'Ufficio aveva rilevato l'origine cinese (anziché malese, come dichiarato dallo spedizioniere per conto della società) di fiocco di poliestere importato dalla società, ed aveva quindi accertato i relativi diritti doganali a titolo di dazio antidumping, applicando l'aliquota del 49,7% ed irrogando le relative sanzioni, in pari percentuale. La C.T.P. di Genova accolse i ricorsi con quattro sentenze, tutte pubblicate il 17.6.2009. Proposti altrettanti appelli dall'Agenzia delle Dogane, la C.T.R. della Liguria, previa loro riunione, li respinse con sentenza del 6.12.2013.

L'Agenzia delle Dogane ricorre ora per cassazione, sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso T.T.D. s.r.l., che ha pure depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1.1 - Con il primo motivo, si denuncia error in procedendo per falsa applicazione del principio di non contestazione ex art. 23, comma 3, del d.lgs. n. 546/1992, nonché dell'art. 115 c.p.c., e contestuale violazione dell'art. 24 del Regolamento CEE n. 2913/1992 (CDC) e degli artt. 36 e 37 del Regolamento CEE n. 2454/1993 (DAC), in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. La C.T.R. ha infatti ritenuto che la società abbia dato prova del fatto che la merce importata ha subito importanti e decisive trasformazioni in Malesia, ove la fibra di poliestere è stata trasformata in fiocchi di poliestere. In tal guisa, ha ritenuto conferibile l'origine non-preferenziale malesiana al prodotto importato dalla Cina, con conseguente applicazione dell'art. 24 cit. e, quindi, l'insussistenza del contestato illecito. Nel far ciò, peraltro, la C.T.R. ha rilevato che la questione della lavorazione in Malesia non era stata oggetto di specifiche contestazioni da parte dell'Agenzia. Al riguardo, la ricorrente osserva invece che detta questione era stata oggetto di specifiche contestazioni già in primo grado, e comunque l'irrilevanza di dette lavorazioni ai fini che interessano era stata riconosciuta dalla stessa società debitrice. Ha quindi errato la C.T.R. nell'applicare il principio di non contestazione sulla dibattuta questione. Sotto altro profilo, si censura ancora la decisione perché - nell'attribuire l'origine non-preferenziale malesiana alla merce in questione - la C.T.R. ha violato il disposto dell'art. 24 CDC, nonché gli artt. 36 e 37 DAC, perché la lavorazione del taglio della fibra di poliestere non è ritenuta dal legislatore comunitario come un "importante processo di trasformazione".

1.2 - Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 220 del Regolamento CEE n. 2913/1992, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Secondo la ricorrente, avrebbe errato la C.T.R. nell'applicare la norma in rubrica - che al comma 2, lett. b), fa divieto di contabilizzare a posteriori i dazi doganali allorquando ciò sia dipeso da un errore dell'autorità doganale ed inoltre il debitore sia in buona fede e abbia rispettato tutte le disposizioni doganali - ritenendo sufficiente un contegno omissivo dell'autorità doganale. Ritiene la ricorrente che, al contrario, l'errore non possa consistere nella mera inerzia dell'autorità, ma debba assumere carattere "attivo".

2.1 - Preliminarmente, vanno disattese le eccezioni sollevate dalla società resistente. Infatti, il ricorso per cassazione è stato proposto nel 2015 e avverso sentenza pubblicata il 6.12.2013, sicché è da escludere che con esso dovessero formularsi i quesiti di diritto, ai sensi dell'abrogato art. 366-bis c.p.c., occorrendo tale requisito a pena di inammissibilità solo per l'impugnativa delle sentenze pubblicate tra il 2.3.2006 e il 4.7.2009 (v. Cass. n. 24597/2014). Parimenti, è infondata l'eccezione di tardività del ricorso, in quanto la riduzione del termine c.d. lungo ex art. 327 c.p.c. da un anno a sei mesi, operata dalla legge n. 69/2009, si applica ai soli giudizi instaurati dopo il 4.7.2009 (v. Cass. n. 19979/2018). Il presente giudizio, al contrario, è stato avviato con quattro autonomi ricorsi tutti proposti in data 30.10.2008.

3.1 - Ciò posto, il primo motivo, che si compone in realtà di due autonome censure, è fondato nei limiti di quanto appresso.

3.2. - Al riguardo, va anzitutto escluso che la C.T.R. abbia violato il principio di non contestazione, come invece propugnato dalla ricorrente.

Infatti, il giudice d'appello ha ritenuto che la società abbia pienamente provato che la merce abbia subito importanti e decisive lavorazioni, tali da comportarne la trasformazione da fibra di poliestere in fiocchi di poliestere, e ciò presso lo stabilimento della JCC Fiber Industriai Sdn Bhd, "come documentato agli atti". Ha poi aggiunto che "Non v'è dubbio che la lavorazione nello stabilimento malese abbia contribuito all'importante processo di trasformazione necessario per giungere al prodotto finito". Ed ha infine chiosato, affermando che "Sul punto l'Agenzia delle Dogane non solleva specifiche contestazioni".

Come risulta evidente dall'incedere dell'argomentazione, la C.T.R. non ha affatto ritenuto comprovata la circostanza in questione a cagione della mancata presa di posizione dell'Agenzia sul punto (anche se solo avvenuta in primo grado - v. controricorso), ma ha al contrario affermato che la società, con la produzione documentale, ha fornito la piena di prova di quanto sostenuto al riguardo. Il passaggio sulla non contestazione da parte dell'Agenzia, quindi, non ha la valenza attribuitagli dalla ricorrente, ma è meramente rafforzativo del convincimento raggiunto dal giudice d'appello sull'assolvimento dell'onere probatorio da parte della società.

3.3 - L'altro profilo del motivo in esame coglie invece nel segno, riscontrandosi nella decisione - riguardo alla sussistenza di un "importante processo di trasformazione" - un vizio di sussunzione (o di falsa applicazione di norma di diritto).

Invero, l'art. 24 CDC stabilisce che "Una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un'impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione". Ancora gli artt. 36 e 37 del DAC stabiliscono che "Per le materie tessili ed i loro manufatti della sezione XI della nomenclatura combinata una trasformazione completa, definita all'articolo 37 seguente, è considerata una lavorazione o una trasformazione che conferisce il carattere originario a titolo dell'articolo 24 del codice" e che "Si considerano trasformazioni complete le lavorazioni o trasformazioni che hanno l'effetto di classificare i prodotti ottenuti in una voce della nomenclatura combinata diversa da quella relativa a ciascuno dei prodotti non originari utilizzati.

Tuttavia, per i prodotti enumerati nell'allegato 10 si possono considerare complete soltanto le trasformazioni particolari che figurano nella colonna 3 di detto allegato, in corrispondenza di ciascun prodotto ottenuto, che vi sia o meno un cambiamento di voce doganale.

Le modalità d'applicazione delle regole contenute in detto allegato 10 sono illustrate nelle note introduttive di cui all'allegato 9".

In sostanza, per poter attribuire alle merci importate dalla società controricorrente l'origine non-preferenziale malesiana, idonea ad escludere nella specie l'illecito, occorre che in Malesia sia avvenuta una lavorazione che abbia determinato un prodotto nuovo o che ne abbia rappresentato una fase importante. Con specifico riferimento alle materie tessili, questione che qui interessa, la trasformazione può dirsi completa solo se il prodotto finale, contenuto nella seconda colonna dell'allegato 10, risulta dalla trasformazione della corrispondente materia prima indicata nella colonna 3 dello stesso allegato: e così, ancora più in dettaglio, premesso che, ai sensi della nota 6, punto 4, del citato allegato 9, "Nell'elenco dell'allegato 10, per «fibre in fiocco sintetiche o artificiali» si intendono i fasci di filamenti, le fibre in fiocco e i cascami di fibre sintetiche o artificiali in fiocco dei codici NC da 5501 a 5507", dallo stesso allegato 10 risulta che per dette fibre, ove "non cardate né pettinate, né altrimenti preparate per la filatura", occorre la "Fabbricazione a partire da sostanze chimiche o da paste tessili", mentre ove siano "cardate o pettinate o altre" occorre la "Fabbricazione a partire da sostanze chimiche da paste tessili o da cascami del codice NC 5505".

Da quanto precede, deriva come non sia sufficiente - perché si abbia trasformazione completa - che la lavorazione determini una classificazione dei prodotti finali in una voce della nomenclatura combinata che sia diversa da quella di partenza, come sostenuto dalla società importatrice e - di rimando - dalla stessa C.T.R., occorrendo invece, in relazione al poliestere in fiocco, prodotto dichiarato dalla T.T.D. in dogana e corrispondente - come è incontestato - alla voce "Fibre sintetiche in fiocco, non cardate né pettinate, né altrimenti preparate per la filatura", che detta lavorazione abbia come base di partenza o sostanze chimiche, o paste tessili.

Nel giudizio di merito, è invece emerso che la lavorazione nello stabilimento malese ha avuto ad oggetto il "taglio" di ogni balla di fibra continua in modo da produrre una balla di fibra in fiocco (v. ricorso, p. 5), lavorazione che, in tutta evidenza, non muove dalla mera trasformazione di sostanze chimiche o paste tessili. Ne deriva che il giudice del merito ha erroneamente sussunto la fattispecie concreta, così come accertata, nell'ambito di una norma, dettata dall'art. 24 CDC in combinato disposto con gli artt. 36 e 37 DAC, che non la disciplina e che non è ad essa applicabile.

4.1 - Anche il secondo motivo è fondato.

La C.T.R. ha ritenuto che, nella specie, la società abbia fornito la prova della buona fede e ha quindi ritenuto applicabile l'esimente di cui all'art. 220 CDC. Peraltro, ha anche affermato che, per la giurisprudenza comunitaria, l'errore dell'autorità può anche sussistere in un mero contegno omissivo, quando ripetutamente essa non abbia sollevato alcuna obiezione, malgrado il numero e l'importanza delle operazioni effettuate dal debitore, il che era quanto nella specie sostanzialmente verificatosi.

Ora, interpretando l'insegnamento della Corte di Giustizia dell'UE in subiecta materia, questa Corte ha condivisibilmente affermato che "In tema di tributi doganali, come precisato dalla giurisprudenza comunitaria, lo stato soggettivo di buona fede dell'importatore richiesto dall'art. 220, n. 2, lett. b), del Regolamento CEE n. 2913 del 1992 (Codice doganale comunitario) ai fini dell'esenzione della contabilizzazione ‘a posteriori’ dei dazi, può essere invocato solo se l'errore dell'autorità sia di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore di buona fede, il quale deve anche aver rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore in relazione alla sua dichiarazione in dogana, sicché quando l'errore dell'Amministrazione sia consistito nella mera ricezione delle dichiarazioni inesatte dell'esportatore - in particolare sull'origine della merce - tale buona fede non sussiste e il debitore è tenuto a sopportare il rischio derivante da un documento commerciale che si riveli falso in occasione di un successivo controllo" (così, Cass. n. 13770/2016). Esattamente in linea con tale arresto si pone anche la recentissima Cass. n. 12719/2018, secondo cui "In tema di dazi doganali, ove venga accertata la falsità dei certificati di origine della merce, le autorità devono procedere alla contabilizzazione "a posteriori" dei dazi, salvo che l'importatore fornisca la prova delle condizioni richieste dall'art. 220, par. 2, lett. b), del cd. Codice doganale comunitario, senza che, rispetto allo stato soggettivo di buona fede, assuma rilevanza l'effettiva consapevolezza da parte dello stesso circa la veridicità delle informazioni fornite dall'esportatore alle autorità del proprio Stato, essendo, piuttosto, il debitore tenuto a dimostrare che, per tutta la durata delle operazioni commerciali in questione, ha agito con la diligenza qualificata richiesta, in ragione dell'attività professionale di importatore svolta, ex art. 1176, comma 2, c.c., per verificare la ricorrenza delle condizioni per il trattamento preferenziale, mediante un esigibile controllo sull'esattezza delle informazioni rese dall'esportatore".

Ha dunque errato la C.T.R. nel ritenere che la società importatrice avesse fornito la prova della buona fede sulla base degli elementi (di tenore meramente "passivo") dalla stessa invocati.

5.1 - In definitiva, il ricorso è accolto. La sentenza impugnata è quindi cassata in relazione, con rinvio alla C.T.R. della Liguria, in diversa composizione, che si atterrà ai superiori principi e provvederà infine anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia alla C.T.R. della Liguria, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.