Cassazione: annullamento delle dimissioni e retribuzioni arretrate

In caso di annullamento delle dimissioni per incapacità di intendere e di volere, la richiesta delle retribuzioni arretrate va onorata a partire dalla richiesta di annullamento (Corte di Cassazione - Sentenza n. 16998 del 25 giugno 2019)

Il caso riguarda un lavoratore che chiedeva l'annullamento delle dimissioni per incapacità di intendere e di volere.

Il dipendente si è visto rigettare il ricorso in primo grado mentre in appello, si è visto annullare le dimissioni con conseguente condanna dell'Ente a corrispondergli, con decorrenza dalla data della domanda giudiziale, di una somma pari alla differenza tra il trattamento pensionistico percepito e la retribuzione che gli sarebbe mensilmente spettata sulla base della sua qualifica di Direttore Agrario Coordinatore.
Ricorso in Cassazione, l'Ente datore di lavoro si è visto rigettare il ricorso in quanto "è pacifico nella giurisprudenza di legittimità che la pronuncia giudiziale di annullamento per la sua efficacia costitutiva comporta il ripristino del rapporto, attribuendo al dimissionario la posizione giuridica di cui era in precedenza titolare".
Le conseguenze dell'annullamento della giurisprudenza di legittimità sul piano economico si sono orientate su due posizioni:
1 il lavoratore ha diritto a ottenere le retribuzioni solo a partire dal momento della  sentenza di annullamento in quanto in quel periodo le prestazioni di lavoro sono assenti , in attesa del giudizio.
2. "gli effetti della sentenza di annullamento retroagiscono al momento della domanda giudiziale, in ragione del principio generale per il quale la durata  del processo non deve mai andare a detrimento della parte vincitrice.
Tesi quest’ultima, condivisa dalla Suprema Corte che ha affermato che " la soluzione che riconduce la decorrenza della retribuzione alla data della sentenza sarebbe del tutto iniqua per il lavoratore cerche fa pesare sulla parte che, a ragione, domanda giustizia, i tempi della risposta giudiziaria - tra l'altro in violazione del principio costituzionale (art. 111 Cost.,  comma 1) del c.d. giusto processo".
La sentenza della Cassazione, pertanto, ha rigettato il ricorso dell'Ente, confermando la decisione delle Corte d'Appello in base alla quale la durata del processo "non può pregiudicare la parte che si vedrà riconoscere la propria ragione" .