Mobbing, straining e vicende imputabili anche per colpa: gli elementi della responsabilità datoriale

Al di fuori delle ipotesi mobbing e straining, si configura comunque responsabilità datoriale laddove un mero inadempimento, imputabile anche solo per colpa, si ponga in nesso causale con un danno alla salute, come ad esempio, nel caso di applicazione di plurime sanzioni illegittime, salvo che i pregiudizi derivino dalla qualità intrinsecamente usurante della prestazione lavorativa o tutto si riduca a meri disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non risarcibili (Corte di Cassazione, ordinanza 04 giugno 2019, n. 15159)

Una Corte d'appello territoriale aveva riformato la pronuncia del Tribunale di prime cure che aveva accolto la domanda di risarcimento del danno per comportamenti datoriali persecutori e mobbing proposta da un lavoratore nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze e dell'Agenzia delle Entrate, con riferimento al lavoro svolto dal medesimo quale funzionario tributario. Secondo la Corte territoriale, che pur prendeva atto delle "condizioni di disagio, per un periodo protratto e per un gradiente intenso", non era stato adeguatamente valutato un profilo essenziale, consistente nella inefficienza lavorativa del dipendente rispetto ad un datore di lavoro che doveva intendersi "non il superiore gerarchico o le articolazioni amministrative, bensì la collettività". Altresì, la Corte aggiungeva che doveva essere valutata con particolare rigore la pretesa di addebitare alla condotta datoriale la responsabilità di danni che, per via dell’affezione psichica del dipendente, potevano essere connessi solo all'immaginario del soggetto leso.
Avverso tale sentenza ricorre così in Cassazione il lavoratore, lamentando principalmente che la Corte di merito ritenesse "fatto notorio" che la malattia psichica del dipendente fosse tale da rendere il malato particolarmente incline ad elaborare e proporre una lettura della realtà alla stregua di ideazioni incongrue.
Per la Suprema Corte il ricorso è fondato. Preliminarmente, si assume che è configurabile il mobbing lavorativo ove ricorra l'elemento oggettivo di una pluralità continuata di comportamenti dannosi interni al rapporto di lavoro e quello soggettivo dell'intendimento persecutorio nei confronti della vittima (ex multis, Corte di Cassazione, sentenza 21 maggio 2018, n. 12437). È configurabile invece lo "straining", quale forma attenuata di mobbing, quando vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie (Corte di Cassazione, ordinanza 10 luglio 2018, n. 18164) o esse siano limitate nel numero (Corte di Cassazione, ordinanza 29 marzo 2018, n. 7844), ma comunque con effetti dannosi rispetto all'interessato. Infine, è comunque configurabile la responsabilità datoriale a fronte di un mero inadempimento, imputabile anche solo per colpa, che si ponga in nesso causale con un danno alla salute, come ad esempio, nel caso di applicazione di plurime sanzioni illegittime (Corte di Cassazione, ordinanza 20 giugno 2018, n. 16256) o di comportamenti che in concreto determinino svilimento professionale (Corte di Cassazione, sentenza 20 aprile 2018, n. 9901), fermo restando che si resta al di fuori della responsabilità ove i pregiudizi derivino dalla qualità intrinsecamente ed inevitabilmente usurante della ordinaria prestazione lavorativa (Cass. 29 gennaio 2013, n. 3028) o tutto si riduca a meri disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non risarcibili (Corte di Cassazione - S.U., sentenza 22 febbraio 2010, n. 4063). Tanto premesso, nelle situazioni di mobbing e straining, fonti di responsabilità datoriale possono derivare non solo da inadempimenti, ma anche da comportamenti interni al rapporto di lavoro che, se singolarmente valutati, potrebbero anche essere astrattamente legittimi o relativi ad altrimenti normali conflitti interpersonali. Rispetto ad essi è l'intenzionalità, vessatoria o stressogena, a qualificare l'accaduto come illecito contrattuale diretto, ove il datore di lavoro sia autore o partecipe della dinamica vessatoria, ovvero indiretto, se siano altri lavoratori a tenere il comportamento illegittimo ed al datore si possa imputare di non averlo impedito. Nelle vicende dannose imputabili anche per sola colpa, invece, fonti di responsabilità si radicano in atti, al di là dei quali si rientra nell'ambito del lecito, derivanti dall'inadempimento tout court del datore a propri obblighi o dalla violazione, parimenti da caratterizzare come inadempimento, a specifiche norme, purché sia predicabile un coerente nesso causale tra i comportamenti perseguiti e il danno lamentato.
Di qui, i profili su cui la Corte territoriale ha fatto leva per escludere il ricorrere di una responsabilità datoriale, sono fuorvianti. L'intenzionalità rilevante rispetto alle figure del mobbing o dello straining, non si radica necessariamente in una privata ostilità tra i superiori ed il lavoratore, in quanto non ha alcun rilievo fondante, rispetto alla sussistenza della responsabilità, quale che sia l'origine motivazionale dei comportamenti illegittimi del datore di lavoro, essendo sufficiente il manifestarsi di un mero intento vessatorio o stressogeno. Altresì, il ragionamento di porre in correlazione l'esonero dalla responsabilità del datore di lavoro con l'impossibilità del medesimo di impedire il danno, è astrattamente corretto, ma in concreto si appalesa poi come giuridicamente errato. La sentenza impugnata infatti ha evocato l'esistenza di un fatto notorio nella asserita "incapacità di percepire l'effettiva realtà dei rapporti interpersonali" in capo a chi sia affetto da "malattia psichica", tuttavia nozioni di fatto (art. 115, co. 2, c.p.c.) o regole di esperienza che siano pacificamente acquisite al patrimonio di cognizioni dell'uomo medio, ovverosia che risultino acquisiti alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabili ed incontestabili, non possono considerarsi tali quelle valutazioni che, per la specificità scientifica e l'assenza di un’acquisita tangibilità oggettiva diffusa, necessitino, per essere formulate, di un apprezzamento tecnico peritale.