Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 18 maggio 2019, n. 13490

Tributi - Accertamenti bancari - Instaurazione del contraddittorio con il contribuente - Mera facoltà dell'amministrazione tributaria - Avviso di accertamento - Ripresa a tassazione per importi superiori al P.V.C. - Lesione del diritto di difesa - Esclusione

 

Rilevato che

 

- Con sentenza n.6054/19/17 depositata in data 26 gennaio 2017 la Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, rigettava l'appello proposto da A.G. e da R.D.G., in proprio e quali soci della cessata società S.G. di G.A. & C Snc, e il primo anche quale titolare dell'omonima ditta individuale, avverso la sentenza n. 465/4/16 della Commissione tributaria provinciale di Latina che aveva, previa riunione del ricorso proposto dalla società, poi trasformata in ditta individuale, con quelli proposti dai soci, rigettato i ricorsi contro avvisi di accertamento per II.DD. ed IVA 2009 e 2010 e basati su accertamenti bancari di cui all'art. 32, n. 2, d.P.R. 600/1973;

- La CTR condivideva la decisione di primo grado ritenendo nel merito che i contribuenti non avessero dato prove idonee a superare le risultanze degli accertamenti bancari condotti dall'Amministrazione sui conti correnti dei contribuenti;

- Avverso la decisione hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti, deducendo quattro motivi, che illustrano con memoria cui resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

 

Considerato che

 

- Con il primo e terzo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc. civ.- i contribuenti si dolgono della violazione dell'art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, per aver la CTR illegittimamente confermato che le movimentazioni bancarie giustificassero le riprese, nonostante la prova contraria fornita e, comunque, il fatto che l'avviso di accertamento riguardasse importi superiori a quelli accertati dai prodromici processi verbali di constatazione, con conseguente violazione del contraddittorio;

- Le censure, da esaminarsi congiuntamente con riferimento al profilo del contraddittorio endoprocedimentale, sono infondate. Va ribadito, quanto alla presunzione legale relativa in materia di accertamenti bancari e al previo contraddittorio, che: «In tema di accertamento delle imposte surredditi, la presunzione ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all'Amministrazione finanziaria di riferire "de plano" ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, salva la prova contraria da parte di costui, e la legittimità della utilizzazione degli elementi risultanti dalle movimentazioni bancarie non è condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell'accertamento, posto che il citato art. 32 prevede quel contraddittorio alla stregua di mera facoltà, non di obbligo, dell'amministrazione tributaria.» (Cass. Sez. 5 - , Sentenza n. 10249 del 26/04/2017 - Rv. 644098 - 01);

- Inoltre, quanto ai limiti delle "vires" del giudice tributario, circoscritte dall'atto impositivo, va reiterato che: «Il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso e tale caratteristica circoscrive il dibattito alla pretesa effettivamente avanzata con l'atto impugnato. Ne consegue che non è consentito al giudice tributario, pur se libero di qualificare giuridicamente i fatti allegati a sostegno della pretesa fiscale, di estendere la propria indagine, in ordine alla fondatezza della pretesa stessa, all'esame di circostanze nuove ed estranee a quelle originariamente invocate dall'ufficio» (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4125 del 22/03/2002, Rv. 553201 - 01);

- Inoltre, si rammenta che «Il giudizio tributario non si connota come un giudizio di "impugnazione-annullamento", bensì come un giudizio di "impugnazione-merito", in quanto non è finalizzato soltanto ad eliminare l'atto impugnato, ma è diretto alla pronuncia di una decisione di merito sul rapporto tributario, sostitutiva dell'accertamento dell'Amministrazione finanziaria, previa quantificazione della pretesa erariale, peraltro entro i limiti posti da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell' atto impositivo impugnato e, dall'altro lato, dagli specifici motivi dedotti nel ricorso introduttivo del contribuente. » (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21759 del 20/10/2011, Rv. 619743 - 01);

- Nel caso di specie, la sentenza impugnata si è attenuta ai principi di diritto summenzionati, in primo luogo nell'applicazione del canone dell'onere della prova, alla luce della presunzione relativa discendente dall'art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, che la CTR accerta in fatto non essere stata superata, e cui i contribuenti non replicano evidenziando prove decisive contrarie ritualmente introdotte nel processo e di cui i giudici di appello non abbiano tenuto conto.

In secondo luogo, la deduzione secondo la quale con l'avviso di accertamento l'amministrazione finanziaria non avrebbe potuto recuperare ad imposizione somme maggiori di quelle risultanti dai p.v.c. senza previo contraddittorio sul punto per consentirgli di giustificare le movimentazioni via via contestategli, e la CTR avrebbe mancato di sanzionare ciò, non coglie nel segno. Infatti, premesso che non esiste nel sistema un obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale, che nel caso di specie si verte in materia di accertamento a tavolino e che, anche per le imposte armonizzate, sussiste un onere di dimostrare in che misura il contraddittorio avrebbe consentito un esito diverso (v., mutatis mutandis, Cass. Sez. 5 - , Sentenza n. 701 del 15/01/2019, Rv. 652456 - 01), l'avviso di accertamento è atto non necessariamente dipendente dal contenuto del p.v.c., perché in esso, atto impositivo, si esterna ciò che viene constatato ed accertato dall'amministrazione finanziaria, ed è al rispetto del contenuto dell'atto impositivo che è tenuto lo stesso giudice tributario. Pertanto, ben poteva l'Amministrazione procedere al recupero ad imposizione di importi in misura maggiore di quelli risultanti dal p.v.c., in quanto questi non necessariamente devono coincidere con quelli riportati nel successivo avviso di accertamento e, a maggior ragione, il p.v.c. non circoscrive i poteri del giudice tributario;

La Corte ritiene al proposito di esprimere il seguente principio di diritto, desumibile dalle pronunce giurisprudenziali sopra citate: «In tema di contraddittorio e di poteri del giudice tributario, non sussiste alcuna lesione del diritto di difesa per il solo fatto che la ripresa ad imposizione contenuta nell'avviso di accertamento sia per importi superiori a quelli oggetto del prodromico processo verbale di constatazione, in quanto l'atto impositivo non dipende necessariamente dal p.v.c., perché solo in esso si esterna ciò che viene constatato ed accertato dall'amministrazione finanziaria, ed è al rispetto del contenuto dell'atto impositivo che è tenuto il giudice tributario»;

- Con il secondo motivo, i contribuenti deducono - ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la violazione dell'art. 42, comma 2, d.P.R. n.600/73 per difetto di motivazione dell'avviso;

- La censura è inammissibile. Va rammentato che: «In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza - prescritto, a pena di inammissibilità, dall'art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. - è volto ad agevolare la comprensione dell'oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell'impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l'onere di operare una chiara funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto.» (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24340 del 04/10/2018 - Rv. 651398 - 01). Nel caso di specie non è riportato in ricorso il passaggio dell'atto di appello in cui la doglianza viene riproposta avanti alla CTR, né la sentenza gravata ne dà conto, né è stato riprodotto il contenuto dell'avviso di accertamento di cui i ricorrenti lamentano il difetto di motivazione, da ciò derivandone plurimi profili di inammissibilità;

- Con il quarto motivo, ci si duole -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- della violazione dell'art. 63, comma 3, d.P.R. n.633 del 1972 per non essersi gli uffici finanziari, in presenza di reiterazione di accessi presso gli stessi contribuenti, dati reciprocamente tempestiva comunicazione delle ispezioni e delle verifiche intraprese e, in particolare, per non essere nota la motivazione per cui non sarebbero stati recepiti i rilievi della Guardia di Finanza da parte dell'Agenzia delle Entrate;

- Il motivo è inammissibile. Va ribadito che: «In tema di ricorso per cassazione, qualora una determinata questione giuridica - che implichi accertamenti di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 1435 del 22/01/2013, Rv. 625055 - 01; conformi, Cass. Sez. 3 - , Ordinanza n. 27568 del 21/11/2017, Rv. 646645 - 01 e Cass. Sez. 1 - , Sentenza n. 16347 del 21/06/2018, Rv. 649535 - 01);

- Nel caso di specie, emerge chiaramente la novità della questione dedotta, la cui prospettazione nei precedenti gradi di merito non è desumibile né dal contenuto del ricorso né dalla sentenza impugnata;

- In conclusione, il ricorso va rigettato, e dal rigetto discende il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza.

 

P.Q.M.

 

- rigetta il ricorso, e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione alla resistente delle spese di lite, liquidate in Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.

La Corte dà atto che, ai sensi dell'art. 1 comma 17 della legge 24.12.2012 n.228 (legge di stabilità 2013), per effetto del presente provvedimento sussistono i presupposti per il versamento dell'ulteriore contributo unificato di cui all'art.13 comma 1-bis D.P.R. n.115/2002, testo unico spese di giustizia.