Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 13 maggio 2019, n. 12682

Reddito d’impresa - Tributi - Accertamento - Riscossione - Contraddittorio endoprocedimentale

 

Rilevato che

 

1. In controversia relativa ad avvisi di accertamento emessi con riferimento all'anno d'imposta 2005 nei confronti della società contribuente per recupero a tassazione ai fini IVA ed IRAP di un maggior reddito di impresa risultante da accertamento analitico induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, nonché nei confronti dei soci ai fini IRPEF per maggiori redditi di partecipazione nella predetta società di persone, ex art. 5 TUIR (d.P.R. n. 917 del 1986), la CTR con la sentenza impugnata, dopo aver premesso di non dover pronunciare sul motivo di ricorso proposto in primo grado dalla società contribuente con riferimento al mancato esperimento del contraddittorio endoprocedimentale, stante la mancata costituzione della medesima in appello, accoglieva l'impugnazione dell'Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo corretta ed attendibile la ricostruzione del reddito d'impresa effettuata dall'amministrazione finanziaria.

2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono i contribuenti con tre motivi, cui non replica l'intimata.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all'esito del quale i ricorrenti depositano memorie.

 

Considerato che

 

1. Con il primo mezzo di cassazione i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e 6, comma 5, e 12 della legge n. 212 del 2000, lamentando che la CTR aveva erroneamente escluso la sussistenza sub specie dell'obbligo in capo all'amministrazione finanziaria di esperire il contraddittorio nella fase amministrativa, almeno con riferimento all'IVA in relazione a cui non poteva ritenersi essersi formato il giudicato interno in conseguenza della loro mancata costituzione in grado d'appello.

2. Il motivo di ricorso è infondato atteso che i contribuenti, vittoriosi nel merito in primo grado, ma rimasti soccombenti sulla domanda di annullamento dell'atto impositivo per omesso espletamento da parte dell'amministrazione finanziaria del contraddittorio endoprocedimentale, onde evitare la formazione del giudicato interno, avrebbero dovuto necessariamente proporre impugnazione incidentale sul punto (mentre, invece, in grado di appello neppure si sono costituiti), a nulla rilevando che la violazione dell'obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell'amministrazione finanziaria riguardasse anche le imposte armonizzate. Invero, la tesi della rilevabilità d'ufficio della violazione di detto obbligo è esclusa dalla stessa sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, n. 24823 del 2015, richiamata dai ricorrenti, in cui si afferma che «in relazione ai tributi "armonizzati", affinché il difetto di contraddittorio endoprocedimentale determini la nullità del provvedimento conclusivo del procedimento impositivo, non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione», la cui necessità esclude, quindi, la rilevabilità d'ufficio della relativa violazione, «ma è, altresì, necessario che esso assolva l'onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto valere, qualora il contraddittorio, fosse stato tempestivamente attivato (cfr. Cass. 11453/14, 25054/13, ss.uu. 20935/09), e che l'opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di corretta e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell'interesse sostanziale, per le quali l'ordinamento lo ha predisposto (Cass., ss.uu., 9933/15, 23726/07; Cass. 1271/14, 22502/19». Onere che nel caso di specie i ricorrenti non hanno nemmeno dedotto di aver assolto.

4. Da quanto detto consegue il rigetto del motivo di ricorso in esame.

5. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la nullità della sentenza impugnata per motivazione meramente apparente, in violazione degli artt. 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. 118, disp. att. cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992.

6. Il motivo è manifestamente infondato.

7. La giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha affermato che «ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass. n. 1756 del 2006, n. 16736 del 2007, n. 9105 del 2017); ipotesi, queste, che non ricorrono nel caso in esame, in quanto la CTR ha esposto in motivazione con sufficiente chiarezza (vedasi successivo par. 10) le ragioni per le quali ha ritenuto corretta la ricostruzione del reddito d'impresa conseguito dalla società contribuente, come effettuata dall'amministrazione finanziaria; e seppure si volesse ritenere, per absurdum, insufficiente lo sviluppo argomentativo della decisione impugnata, il vizio non sarebbe così radicale da rendere la motivazione meramente apparente, escludendone l'idoneità ad assolvere alla funzione cui all'art. 36 d.lgs. 546/1992 (arg. da Cass. n. 5315 del 2015).

8. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 nonché 2697 e 2729 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere riconosciuto sussistenti i requisiti di gravità, precisione e concordanza alle presunzioni utilizzate dall'amministrazione finanziaria per fondare l'accertamento di un maggior reddito d'impresa.

9. Al riguardo deve preliminarmente ricordarsi che l'Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile, può desumere in via induttiva, ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di imposte dirette) e dell'art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 (in materia di IVA), sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest'ultimo l'onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni (cfr., Cass. n. 26036 del 30/12/2015, Rv. 638203).

9.1. E' poi noto il principio giurisprudenziale in base al quale, «allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni, le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito, rientra nei compiti di quest'ultimo il giudizio circa l'idoneità degli elementi presuntivi a consentire inferenze che ne discendano secondo il criterio dell’id quod prelumque accidit", essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità, se sorretto da motivazione immune da vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della <gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale» (Cass., n. 12002 del 16/05/2017, Rv. 644300).

10. Orbene, nel caso di specie i giudici di appello hanno evidenziato nella sentenza impugnata gli elementi di non coerenza logica della gestione dell'attività commerciale, quali «condotte anomale del contribuente (omesse fatturazioni, difformità rilevanti dei prezzi relativi alla componente cofano  — da 700,00 euro a circa 3000,00 euro—) con importi eterogenei per lo stesso servizio (onoranza funebre)», provvedendo quindi alla rideterminazione del reddito d'impresa «operando una valutazione prudenziale degli importi per i servizi resi e fatturati», tenendo conto delle «esistenze iniziali e delle rimanenze finali», delle «delle differenti prestazioni effettuate ed attribuendo, in base al valore dei cofani ed al tipo di sepoltura, valori differenti», applicando i prezzi più economici ai ‹funerali per i quali non è stato possibile individuare la tipologia (n. 9) e per quelli risultanti come non fatturati (n. 4)».

10.1. Trattasi, in buona sostanza, di elementi indiziari dotati dei requisiti di gravità — nel senso della loro attitudine a produrre un significativo grado di convincimento in ordine all'esistenza del fatto ignoto—, della precisione — perché determinati nella loro realtà storica — e della concordanza — ossia fondati su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto (v. Cass. n. 14206 del 2013). Peraltro, è noto il principio giurisprudenziale in base al quale, «allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni , le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito, rientra nei compiti di quest'ultimo il giudizio circa l'idoneità degli elementi presuntivi a consentire inferenze che ne discendano secondo il criterio dell’id quod prelumque accidit", essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità, se sorretto da motivazione immune da vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così azionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale» (Cass., n. 12002 del 16/05/2017, Rv. 644300).

10.2. Pare opportuno, altresì, precisare che questa Corte ha affermato che «In tema di rettifica dei redditi d'impresa, l'accertamento analitico induttivo presuppone, a differenza di quello induttivo "puro", che la documentazione contabile sia nel complesso attendibile, sicché la ricostruzione fondata sulle prestazioni semplici, di cui all'art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, non ha ad oggetto il reddito nella sua totalità, ma singoli elementi attivi e passivi, dei quali risulta provata "aliunde" la mancanza o l'inesattezza» (cfr. Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 7025 del 21/03/2018, Rv. 647552).

11. Sulla scorta di tale principio è quindi priva di pregio la censura in esame là dove si sostiene la non condivisibile tesi secondo cui le presunzioni utilizzate dall'Ufficio sarebbe priva dei requisiti di cui all'art. 2729 cod. civ. perché non riferite «all'attività del contribuente intesa nel suo complesso», non essendo applicabile al caso in esame il diverso principio giurisprudenziale citato dai ricorrenti (Cass. n. 3197 del 2013), in quanto affermato con riferimento a diversa fattispecie, ovvero alla determinazione in via presuntiva della percentuale di ricarico applicata sul prezzo della merce venduta.

12. A quanto detto deve infine aggiungersi che con il mezzo di cassazione in esame i ricorrenti sollecitano un'inammissibile rivalutazione complessiva delle risultanze di causa, che, per le modalità con cui la censura è stata prospettata, renderebbe indispensabile l'esame dei fascicoli dei gradi di merito, non consentito dal tipo di vizio dedotto (error in iudicando). Al riguardo deve ricordarsi che «In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un'erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» (Cass. n. 26110 del 2015; conf., ex multis, Cass. n. 24155 del 2017), nella specie non dedotto. E' altrettanto noto il principio giurisprudenziale in base al quale «Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l'apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall'analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l'apprezzamento dei fatti  e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell'ambito di quest'ultimo, non  è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione, fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Cass. n. 9097 del 2017; conf., ex multis, Cass. n. 29404 del 2017).

13. Conclusivamente, i motivi di ricorso vanno rigettati. In mancanza di costituzione dell'intimata, nessun provvedimento deve adottarsi sulle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.