Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 maggio 2019, n. 12791

Contratto di agenzia - Recesso - Indennità sostitutiva del preavviso - Interpretazione della clausola contrattuale

 

Rilevato che

 

1. con sentenza del 18 luglio 2014, la Corte d'appello di Bologna condannava: R.G. alla restituzione, in favore di S.G.P.I. s.p.a., delle somme di € 76.590,65 a titolo di provvigioni riscosse e non maturate e di € 7.016,85 per indennità sostitutiva del preavviso, entrambe oltre interessi; la società già preponente al pagamento, in favore dell'ex agente, delle somme di € 385,95 per rimborso spese e di € 108,40 per FIRR oltre rivalutazione ed interessi;

2. essa così riformava la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato la domanda della società di condanna di R.G. al pagamento, in proprio favore e previo conguaglio tra il maggior credito vantato e le provvigioni effettivamente maturate dovutegli, della somma di € 84.172,19 o diversa di giustizia, a titolo restitutorio degli anticipi provvigionali corrisposti e di indennità di mancato preavviso, in assenza di giusta causa al suo recesso con lettera 20 febbraio 2008 dal contratto di agenzia e, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale del predetto, condannato la società al pagamento, in suo favore per provvigioni non corrisposte e indennità ai sensi dell'art. 1751 c.c., della somma di € 36.989,76, oltre rivalutazione e interessi;

3. avverso tale sentenza R.G. ricorreva per cassazione con cinque motivi, cui resisteva la società con controricorso;

4. il ricorrente comunicava memoria ai sensi dell'art. 380 bis 1 c.p.c.;

 

Considerato che

 

1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369, 1370, 1371 c.c., per erronea esclusione di una rinuncia della società preponente ai conguagli in virtù di un’interpretazione della clausola contrattuale sul solo criterio letterale, pure a fronte di una formulazione ambivalente, senza la ricerca della reale intenzione delle parti, attraverso il ricorso agli enunciati canoni sussidiari, nell'evidente insufficiente del criterio eletto in via esclusiva (primo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1751, 2119, 2907 c.c., 444, 653 c.p.p., per avere la Corte territoriale erroneamente escluso la giusta causa di recesso dell'agente avendo minimizzato la condotta gravemente minacciosa nei suoi confronti del capo area, evidentemente riferibile, a norma dell'art. 2049 c.c., alla preponente, in base a non corretto apprezzamento delle risultanze istruttorie e del valore probatorio della sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 c.p.p., al predetto capo area per le minacce gravi indirizzate all'ex agente (secondo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c.e nullità della sentenza, per non corretta valutazione delle prove nell'erronea esclusione di inesistenza della giusta causa di recesso e di contrarietà alla legge di un passo della motivazione, destituito di fondamento, relativo alla correttezza della richiesta restitutoria della preponente (terzo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 132 c.p.c., 111, sesto comma Cost. quale error in procedendo, per mancanza assoluta di motivazione, neppure secondo diritto, priva dei requisiti di sufficienza e logicità integranti, a seguito della riforma dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., vizi di attività del giudice comportanti nullità della sentenza, in riferimento alle questioni poste con i precedenti motivi (quarto motivo); omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, quale la prova documentale (sub 19 del fascicolo di primo grado e confermata da un teste) | della superiorità delle spese sostenute per l'esecuzione del contratto rispetto "ai compensi calcolati in applicazione delle pretese aliquote contrattuali", anche se neppure valorizzata dal primo giudice, a conferma della non ripetibilità del "fisso" (quinto motivo);

2. il collegio ritiene che il primo motivo sia inammissibile;

2.1. è incensurabile l'interpretazione giudiziale del testo dell'art. 7 del contratto di agenzia tra le parti (nemmeno trascritto, con evidente violazione sotto questo profilo del principio di specificità prescritto dall'art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c.: Cass. 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. 31 luglio 2012, n. 13677; Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 7 giugno 2017, n. 14107), pure corretta e bene argomentata nella lettura della clausola secondo il criterio del suo significato letterale e dell'accertata inesistenza di un diverso comportamento della preponente, rispetto alla previsione di conguaglio del testo contrattuale, alla luce del critico e argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie (in particolare da pg. 4 all'ultimo capoverso di pg. 6 della sentenza) e pertanto assolutamente plausibile;

2.2. esso si risolve in una mera contestazione del risultato interpretativo in sé (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891), discendente dalla contrapposizione di una interpretazione dei fatti propria della parte (senza neppure indicazione dei canoni interpretativi violati, meramente enunciati nel loro tenore letterale, né tanto meno specificazione delle ragioni né del modo in cui si sarebbe realizzata l'asserita violazione: Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 21 giugno 2017, n. 15350) all'interpretazione della Corte territoriale (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197), pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass. 10 maggio 2018, n. 11254), peraltro ben plausibile né essendo necessario che essa sia l'unica possibile o la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178);

3. anche il secondo e il terzo motivo, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;

3.1. non si configura la violazione delle norme di legge denunciate, in difetto dei requisiti suoi propri (Cass. 31 maggio 2006, n. 12984; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038), consistendo essa nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, necessariamente implicante un problema interpretativo della stessa, non mediato dalla contestata valutazione delle risultanze di causa, riservata alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 16 luglio 2010, n. 16698; Cass. 12 ottobre 2017, n. 24054);

3.2. piuttosto i due mezzi consistono in una sostanziale contestazione della valutazione probatoria alla base dell'accertamento operato dalla Corte territoriale, adeguatamente argomentato (per le ragioni esposte dall'ultimo capoverso di pg. 7 all'ultimo di pg. 8 della sentenza), insindacabile in sede di legittimità (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 4 novembre 2013, n. 24679);

3.3. essi neppure confutano, tanto meno specificamente (con evidente riflesso sulla violazione del principio di specificità prescritto dall'art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che esige l'illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l'analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza: Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959 366), l'articolata ed approfondita argomentazione in ordine alla vera ragione del recesso dell'agente, in esito all'accertata esclusione "che la questione verificatasi tra l'agente e il Capo Area abbia irrimediabilmente compromesso la possibilità per l'agente di proseguire nel rapporto, tanto è vero che il sig. G. ha continuato ad operare quantomeno fino al febbraio 2008" (così, nello scrutinio di fondatezza del secondo motivo di appello: dal sesto al nono alinea di pg. 8 della sentenza), in esatta applicazione del procedimento di sussunzione della fattispecie concreta alla regola standardizzata di giusta causa, che è appunto l'improseguibilità del rapporto lavorativo (Cass. 4 giugno 2008, n. 14771; Cass. 26 maggio 2014, n. 11728);

3.4. parimenti inconfigurabile è la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non potendo porsi una tale questione per una valutazione del materiale istruttorio erroneamente compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza una valutazione critica, elementi di prova invece ad essa soggetti (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000; Cass. 11 ottobre 2016, n. 20382; Cass. 28 febbraio 2018, n. 4699);

4. il quarto motivo e il quinto motivo, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono anch'essi inammissibili;

4.1. in seguito alla riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., disposta dall'art. 54 d.l. 83/2012 conv. con modif. dalla I. 134/2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, sesto comma Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell'art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza - di "mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale", di "motivazione apparente", di "manifesta ed irriducibile contraddittorietà" e di "motivazione perplessa od incomprensibile", al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un "fatto storico", che abbia formato oggetto di discussione e che appaia "decisivo" ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. 25 settembre 2018, n. 22598);

4.2. non sussiste poi la violazione delle norme di legge denunciate, per il più che congruo e coerente percorso argomentativo della sentenza, che rende chiara ragione (senza alcun contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendano incomprensibili le ragioni poste a base della decisione, integrante la nullità denunciata: Cass. 25 giugno 2018, n. 16611) della decisione assunta;

4.3. neppure risulta l'omesso esame di alcun fatto storico, quanto piuttosto di una prova documentale (neanche trascritta, con evidente violazione sotto questo profilo del principio di specificità prescritto dall'art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c.: Cass. 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. 31 luglio 2012, n. 13677; Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 7 giugno 2017, n. 14107), unicamente suscettibile di un apprezzamento valutativo in fatto: con la conseguente inconfigurabilità del vizio motivo denunciato, alla luce del novellato testo dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., dal cui più rigoroso ambito devolutivo è esclusa la valutazione delle risultanze istruttorie (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);

5. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con regolazione delle spese di giudizio, secondo il regime di soccombenza;

6. ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato come da dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna R.G. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.