Licenziamento disciplinare, quando le clausole del CCNL sono vincolanti per il giudice di merito

Le previsioni della contrattazione collettiva che graduano le sanzioni disciplinari non vincolano il giudice di merito, a meno che la previsione negoziale ricolleghi ad un determinato comportamento giuridicamente rilevante unicamente una sanzione conservativa. Pertanto, ove alla mancanza disciplinare sia ricollegata una sanzione conservativa, il giudice non può estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall'autonomia delle parti, a meno che non si accerti che le Parti stesse non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità di una sanzione espulsiva (Corte di Cassazione, sentenza 09 maggio 2019, n. 12365).

Una Corte di appello territoriale, confermando la pronuncia del Tribunale di prime cure, aveva accolto la domanda di annullamento del licenziamento intimato ad un operaio carpentiere, per essere stato sorpreso dal proprio superiore gerarchico, durante il turno di lavoro notturno, addormentato presso altra zona dello stabilimento, a distanza di circa un'ora dalla pausa prestabilita. La Corte, nello specifico, aveva respinto il reclamo proposto dalla società rilevando che la disamina del CCNL applicato in azienda dimostrava che la condotta posta in essere dal lavoratore poteva ricondursi nell'alveo delle fattispecie punite con sanzione conservativa, specie quella dell'infrazione costituita dal c.d. abbandono del posto di lavoro, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria (art. 18, co. 4, L. n. 300/1970).
Ricorre così in Cassazione il datore di lavoro, lamentando che la Corte di merito avesse omesso di considerare la complessiva condotta posta in essere dal dipendente, che si compendiava non solamente nell'abbandono del posto di lavoro durante l'orario notturno, ma altresì nell'essersi recato in altro luogo dello stabilimento, nell'essersi messo a dormire, nell'essersi risvegliato ed aver ripreso l'attività lavorativa solamente a seguito di improvviso sopralluogo del superiore gerarchico, precedentemente allontanatosi per incombenze lavorative di durata imprecisata. Altresì, secondo il ricorrente, la Corte distrettuale aveva erroneamente ricondotto, mediante un'interpretazione estensiva ed analogica, alla fattispecie di "abbandono del posto di lavoro", comportamenti di non immediata percezione da parte del datore di lavoro bensì occulti e abusivamente adottati per eludere il controllo datoriale.
Per la Suprema Corte, il ricorso è fondato. In tema di legittimità dei licenziamenti disciplinari, il Giudice, dopo aver accertato se sussistano o meno la giusta causa ed il giustificato motivo di recesso, laddove escluda la ricorrenza di una giustificazione della sanzione espulsiva, deve svolgere una ulteriore disamina al fine di individuare la tutela applicabile:
- reintegratoria in caso di "insussistenza del fatto contestato" ovvero di fatto rientrante "tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili";
- indennitaria nei restanti casi (Corte di Cassazione - SS.UU., sentenza n. 30985/2017).
Orbene, avuto riguardo alle previsioni della contrattazione collettiva che graduano le sanzioni disciplinari, essendo quella della giusta causa e del giustificato motivo una nozione legale, tali previsioni non vincolano il giudice di merito (ex multis, Corte di Cassazione, sentenza n. 9223/2015). Difatti, anche se la scala valoriale ivi recepita deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento, per cui nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro (Corte di Cassazione, sentenza n. 32500/2018), il principio generale subisce eccezione ove la previsione negoziale ricolleghi ad un determinato comportamento giuridicamente rilevante unicamente una sanzione conservativa. In tal caso, il giudice è vincolato dal contratto collettivo, trattandosi di una condizione di maggior favore fatta salva espressamente dal Legislatore (art. 12, L. n. 604/1966). Pertanto, ove alla mancanza sia ricollegata una sanzione conservativa, il giudice non può estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall'autonomia delle parti, a meno che non si accerti che le parti stesse non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità di una sanzione espulsiva, dovendosi attribuire prevalenza alla valutazione di gravità di quel peculiare comportamento, come illecito disciplinare di grado inferiore, compiuta dall'autonomia collettiva nella graduazione delle mancanze disciplinari (ex multis Corte di Cassazione, sentenza n. 17337/2016). Oltretutto, in ordine ai criteri di interpretazione di un contratto collettivo, è stato da gran tempo escluso il ricorso all'applicazione analogica, atteso che anche nel contratto collettivo le disposizioni in esso contenute conservano pur sempre la loro originaria natura contrattuale, mentre l'analogia è un procedimento di integrazione ermeneutica consentito con esclusivo riferimento agli atti aventi forza o valore di legge (art. 12 delle preleggi) (Corte di Cassazione, sentenza n. 30420/2017), fatto salvo il caso in cui risulti "l’inadeguatezza per difetto" dell'espressione letterale adottata dalle parti rispetto alla loro volontà (Corte di Cassazione, sentenza n. 9560/2017).
Ebbene, nel caso di specie, la Corte distrettuale ha ritenuto ingiustificato il licenziamento in quanto diretto a sanzionare una condotta alla quale le parti sociali avevano ricollegato una sanzione conservativa ed ha tratto le immediate conseguenze in ordine al regime di tutela da applicare, tuttavia ha interpretato e applicato una clausola contrattuale prevedente una sanzione conservativa ad un caso concreto non contemplato dalla medesima. Difatti, la contrattazione collettiva applicabile annovera ulteriori fattispecie suscettibili di essere punite con sanzioni conservative (quali, la mancata presentazione al lavoro, il ritardo all'inizio del lavoro senza giustificato motivo o la sospensione o l'anticipazione della cessazione) facendo però riferimento a condotte tutte accomunate dalla caratteristica di essere immediatamente e agevolmente rilevabili dal datore di lavoro in quanto tenute in palese ed aperta violazione dell'obbligo di osservanza dell'orario di lavoro, in contrasto netto dunque con la condotta tenuta dal lavoratore nel caso in esame.