Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 aprile 2019, n. 10163

Tributi - TARSU - Distributori di carburante - Tariffa applicabile - Regolamento comunale - Categorie di tariffa - Obbligo di distinzione in base alla potenziale produttività di rifiuti - Commercio al dettaglio di prodotti non deperibili e Commercio al dettaglio di prodotti alimentari o deperibili - Illegittimità del regolamento - Conseguenze

 

Svolgimento del processo

 

1. G. F. ricorre - sulla base di due motivi - per la cassazione della sentenza della sentenza n. 1452/15, depositata il 22.12.2015 e non notificata, con cui la CTR dell'Abruzzo, ritenendo la legittimità - alla stregua del regolamento comunale in materia di TARSU - sia della tariffa applicata sia della collocazione dei distributori di carburante all'interno della categoria degli esercizi commerciali in genere, comprensivi anche degli esercizi di vendita al dettaglio di beni deperibili (come le pescherie e le macellerie), ha respinto il ricorso del contribuente, il quale sosteneva che, trattandosi di attività completamente disomogenee in termini di potenziale produttività di rifiuti, i distributori di carburante dovevano essere assimilati agli stabilimenti balneari in una categoria separata e distinta.

Il Comune di Pescara resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

2. Con il primo motivo l'ente ricorrente denuncia violazione o errata applicazione degli artt. 65, 68 e 69 del d.lgs 507/1993 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; per avere i giudici di merito affermato la legittimità del regolamento comunale, di cui si era domandata la disapplicazione, in quanto prevedeva la commisurazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti alla superficie dei locali e delle aree scoperte, fino all'adozione dei nuovi criteri di adeguamento, riferiti alle quantità e alle qualità medie dei rifiuti solidi urbani, con la conseguenza che l'ente comunale avrebbe dovuto, nel rispetto del disposto dell'art. 68 cit, ricomprendere l'attività esercitata dalla ricorrente in una classe diversa da quella in cui era stata inserita.

Secondo l'art. 68 cit. difatti, la classe degli esercizi commerciali che svolgono attività al dettaglio di beni deperibili e la classe degli esercizi commerciali che non utilizzano beni deperibili risultano nettamente distinti, mentre l'art. 12 del regolamento comunale ha assimilato le due attività in una classe unica.

Inoltre nel commisurare la tariffa alla superficie e all'uso anziché al criterio della quantità e della qualità media dei rifiuti prodotti ha violato il secondo comma del cit. art., in quanto l'articolazione di categorie sarebbe stata giustificata dal ricorso al criterio alternativo delle qualità e quantità medie dei rifiuti prodotti, con la conseguenza che attività disomogenee sono illegittimamente tassati con la medesima tariffa.

Deduce, inoltre, che l'atto impositivo risulta carente di motivazione in ordine alla esplicazione delle ragioni per le quali il comune ha ritenuto che gli esercizi commerciali in genere avessero la medesima capacità o attitudine a produrre rifiuti dei distributori di benzina né le ragioni per le quali i distributori non potevano essere inseriti nella categoria delle stazioni balneari come previsto dal previgente regolamento comunale.

L'applicazione di tariffe nettamente superiori a quello applicate alle scuole, agli ospedali, alle pescherie e alle carrozzerie risulta del tutto sfornita di motivazione, il che si traduce in illegittimità della determinazione del tributo.

3. Con la seconda censura, si lamenta insufficiente motivazione su un fatto decisivo controverso per il giudizio ai sensi dell'art. n 360 n. 5 c.p.c., per avere il decidente omesso di esaminare la dedotta circostanza che i distributori di carburante erano stati ricompresi sino all'anno 1994 nella stessa categoria degli stabilimenti balneari nonché le norme relative alla determinazione delle tariffe introdotte con d.lgs 22/77 secondo le quali i distributori di benzina avevano un'attitudine a produrre rifiuti in misura inferiore agli esercizi commerciali in genere, richiamando il DPR 158/99 che ha elaborato un sistema di commisurazione delle tariffe basato sulla media dei rifiuti.

Infine quale terzo elemento non considerato dalla commissione regionale, evidenziava che egli aveva dedotto e documentato che con la delibera di Giunta comunale n. 805/2001 relativa alla fissazione delle tariffe per l'anno 2002 vigenti fino all'anno 2003, a seguito dell'entrata in vigore del decreto Ronchi, il comune di Pescara aveva disposto la realizzazione di uno studio per l'individuazione delle categorie individuate dal regolamento attuativo del menzionato decreto e i relativi coefficienti di produttività dei rifiuti, studio che aveva evidenziato il divario di produttività dei rifiuti tra distributori di carburante e attività di vendita al dettaglio di beni deperibili.

4. Il primo motivo è fondato, assorbito il secondo.

Con detta censura si prospettata una violazione di norme di diritto, determinata dalla omessa disapplicazione della normativa secondaria a contenuto generale, in quanto in contrasto, diversamente da quanto ritenuto tanto dal giudice tributario di primo grado quanto da quello d'appello, con la norma primaria di cui all'art. 68 del d. Igs. n. 507/1993.

In primo luogo, giova osservare che quanto all'onere motivazionale posto a carico del Comune, si è stabilito che: "in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui all'art. 65 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile "ex post", di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili" (Cass.n. 8308/2018, in motiv.; Cass. n. 7044/14; così Cass. 22804/06).

La pretesa impositiva del Comune di Pescara si basa sul regolamento n. 123 del 16.06.1994 - successivamente modificato con deliberazione del 20.12.2001 e del 26.02.2004 - il quale individua la classificazione delle categorie tassabili, inserendo i distributori di benzina nella categoria "degli esercizi commerciali in genere e aree adibite a banchi di vendita e nei mercati, chioschi ed edicole..." .

Tale classificazione sarebbe illegittima, ad avviso del ricorrente, in quanto i distributori di benzina costituiscono categoria omogenea agli stabilimenti balneari e non possono, invece, essere inseriti nell'unica categoria di esercizi commerciali, giacché, il disposto dell'art. 68 cit. distingue tra esercizi commerciali di beni deperibili da quelli aventi ad oggetto la vendita di beni non deperibili categorie e) ed f)).

5. Innanzitutto, per meglio chiarire i termini della questione, è opportuno ricordare il disposto dell'art. 62 del Decreto Legislativo n. 507 del 1993 che ha stabilito i presupposti applicativi del tributo in oggetto, individuandoli nella semplice occupazione o detenzione "di locali ed aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato o comunque reso in via continuativa".

Il successivo articolo 68 del Decreto Legislativo n. 507 citato, invece, ne ha disciplinato la regolamentazione da parte dei Comuni, così disponendo: "Per l’applicazione della tassa i comuni sono tenuti ad adottare apposito regolamento che deve contenere:

a) la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la medesima misura tariffaria;

b) le modalità di applicazione dei parametri di cui all'articolo 65;

c) la graduazione delle tariffe ridotte per particolari condizioni di uso di cui all'articolo 66, commi 3 e 4;

d) la individuazione delle fattispecie agevolative, delle relative condizioni e modalità di richiesta documentata e delle cause di decadenza.

L'articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie è effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto, in via di massima, dei seguenti gruppi di attività o di utilizzazione:

a) locali ed aree adibiti a musei, archivi, biblioteche, ad attività di istituzioni culturali, politiche e religiose, sale teatrali e cinematografiche, scuole pubbliche e private, palestre, autonomi depositi di stoccaggio e depositi di macchine e materiale militari;

b) complessi commerciali all'ingrosso o con superfici espositive, nonché aree ricreativo-turistiche, quali campeggi, stabilimenti balneari, ed analoghi complessi attrezzati;

c) locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri;

d) locali adibiti ad attività terziarie e direzionali diverse da quelle di cui alle lettere b),

e) ed f), circoli sportivi e ricreativi;

e) locali ed aree ad uso di produzione artigianale o industriale, o di commercio al dettaglio di beni non deperibili, ferma restando l'intassabilità delle superfici di lavorazione industriale e di quelle produttive di rifiuti non dichiarati assimilabili agli urbani;

f) locali ed aree adibite a pubblici esercizi o esercizi di vendita al dettaglio di beni alimentari o deperibili, ferma restando l'intassabilità delle superfici produttive di rifiuti non dichiarati assimilabili agli urbani.

Ai fini dell'applicazione della tassa, i Comuni devono, inoltre, provvedere, con apposito Regolamento, alla classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la medesima misura tariffaria. L'articolazione di tali categorie deve essere effettuata tenendo conto, in via di massima, dei gruppi di attività o di utilizzazione indicati dal secondo comma dell'art. 68 D. Lgs. n. 507/93.

Il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 68, detta i criteri ai quali i comuni devono attenersi per l’applicazione della tassa e la determinazione delle tariffe. E, come questa corte ha stabilito, detta norma, nell'indicare al riguardo le categorie di locali e aree con omogenea potenzialità di rifiuti, considera le attività in categorie unitarie distinte.

6. La classificazione dei distributori di benzina in una unica categoria di attività commerciali di beni deperibili e non, non appare rispettosa dei criteri, segnatamente definiti "di massima", dallo stesso art. 68 del d. lgs. n. 507/1993, per la determinazione delle cosiddette macroaree per gruppi di attività o di utilizzazione; non senza rilevare poi come, in concreto, l'applicazione della medesima tariffa sia ai distributori di carburante che ai commercianti di beni deperibili non sembra porsi in termini di favore per il contribuente, considerata la disomogenea potenzialità produttiva di rifiuti delle aree considerate alle lettere e) ed f) dell'art. 68.

Questa Corte nell'affermare "In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime: la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce infatti un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ha ritenuto legittima l'attività regolamentare del Comune che ha inteso individuare e meglio sub-articolare categorie- nel rispetto del principio della capacità contributiva di cui all'art. 59 Cost - con differente potenziale produttività di rifiuti.

E d'altronde i rapporti tra le tariffe, indicati dall'art. 69, comma secondo, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 non vanno riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica (Cass. n. 12859/2012; n. 7044/2014; n. 119621/2016).

In questa prospettiva, la circostanza che il menzionato art. 68 distingua tra locali ad uso di produzione o industriale e di commercio al dettaglio di beni non deperibili dagli esercizi di vendita al dettaglio di beni alimentari o deperibili impone al comune di mantenere la distinzione categoriale di dette attività, che si distinguono per la loro disomogenea potenzialità produttiva di rifiuti.

Non può certo negarsi che i distributori di benzina siano assimilabili agli esercizi commerciali destinati alla vendita di beni (non deperibili) ma non anche agli esercizi di vendita di beni deperibili, distinti già dal decreto Ronchi.

7. Il ricorso va quindi accolto con riferimento al primo motivo, assorbito il secondo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR dell'Abruzzo in diversa composizione che stabilirà la tariffa applicabile al contribuente.

A tal proposito, va rammentato che il processo tributario appartiene al novero dell’impugnazione-merito, sicché impone al giudice tributario di stabilire, non essendosi dinanzi a vizi di forma dell'atto impositivo, il corretto criterio di tassazione.

Ciò va fatto in base alla fonte di determinazione del tributo, fonte che, per la Tarsu, è costituita dalla legge, quanto ai presupposti e ai soggetti (artt. 62 e 63 del d.lgs. n. 507-93), e dall'annesso regolamento comunale, quanto alle classificazioni, alle categorie e alle tariffe (artt. 65, 66 e 68 d. Igs. cit.)( Cass. n. 25912/2015).

Al riguardo, vale osservare che in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), l'annullamento giurisdizionale del nuovo regolamento ( ovvero la sua disapplicazione) e delle relative tariffe non comporta l'illegittimità delle delibere tariffarie adottate in epoca anteriore all'entrata in vigore della nuova disciplina.

Ne consegue che il contribuente non è liberato dall'obbligo di pagamento per il servizio di raccolta dei rifiuti, continuando, invece, a trovare applicazione, ai sensi dell'art. 69, comma primo, ultimo periodo, del d.lgs. n. 507 cit., la tariffa precedentemente vigente.( Cass. 8870/2010; Cass. n. 8088/2010).

 

P.Q.M.

 

- Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;

- cassa la sentenza impugnata con rinvio alla C.T.R. dell'Abruzzo in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese dei presente giudizio di legittimità.