Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 marzo 2019, n. 8007

Tributi - IVA - Credito esposto nella dichiarazione annuale a rimborso - Istanza di sollecito per il tramite del Garante del contribuente - Risposta dell’Agenzia delle Entrate - Valenza di diniego esplicito - Impugnazione - Termini

 

Fatti di causa

 

1. S.G. (nella qualità di ex liquidatore di C.I.T. s.r.l.) ricorre, con quattro motivi, per la cassazione della sentenza (indicata in epigrafe) di rigetto dell'appello dallo stesso proposto avverso la sentenza n. 122/11/2011 emessa dalla CTP di Bari. Quest'ultima, a sua volta, aveva dichiarato inammissibile l'impugnazione proposta dal contribuente avverso il silenzio-rifiuto dell'Agenzia delle Entrate in merito ad una richiesta di rimborso IVA per l'anno 1994.

2. Per quanto emerge dalla sentenza impugnata e dagli atti di parte, il contribuente, presentò nel 1995 dichiarazione mod. IVA, per l'esercizio 1994, indicante un credito IVA, chiedendone il rimborso. Ritenendo di non aver ricevuto dall'Amministrazione risposta in, merito al richiesto rimborso, il contribuente nel 2001 chiese il rimborso in oggetto, con successive sollecitazioni e richieste di chiarimenti inviate anche tramite il «Garante del contribuente». Alle dette sollecitazioni l'A.E. rispose con nota n. 21197 del 6 giugno 2008 partecipata tanto al «Garante del contribuente» quanto al contribuente il quale, ritenendo configuratosi il silenzio-rifiuto in merito alla detta istanza, il successivo 14 giugno 2010 propose ricorso innanzi al Giudice tributario.

3. La CTP dichiarò inammissibile il ricorso, in quanto il contribuente avrebbe dovuto nei termini impugnare la detta nota del 6 giugno 2008, costituente essa provvedimento esplicito di rigetto dell'istanza di rimborso perché indicante le ragioni del diniego.

4. La sentenza di primo grado fu confermata dalla CTR, con la sentenza oggetto di attuale impugnazione, la quale rigettò l'appello proposto dal contribuente ritenendo corretta la sentenza della CTP e, quindi, per l'insussistenza del paventato silenzio-rifiuto stante il detto provvedimento di diniego esplicito da parte dell'A.E., non impugnato nei termini.

5. Contro la sentenza d'appello il contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, e la sola A.E. si difende con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il ricorso non merita accoglimento.

2. Con il motivo I di ricorso, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., si deducono «mancato e/o inadeguato esame di punto decisivo della controversia costituito dalla erronea valutazione della natura e del contenuto della nota prot. n. 2008/21197 del 6 giugno 2008 dell'Agenzia delle Entrate-Ufficio di Trani, con conseguente concretizzarsi del vizio di cui all'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».

2.1. Il motivo è inammissibile (come correttamente prospettato dal controricorrente), sotto diversi profili, oltre che infondato.

In primo luogo esso è inammissibile in quanto difetta di specificità v (in termini di autosufficienza), in violazione dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., per mancata trasposizione nel ricorso della nota in oggetto, nella sua parte essenziale in modo da poter apprezzare la doglianza prospettata (per l'inammissibilità dovuta a difetto di specificità del motivo di ricorso, in termini di autosufficienza, per mancata riproduzione del documento, si vedano, ex plurimis: Cass. sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679, Rv. 645334-01; Cass. sez. 5, 12/04/2017, n. 9499, Rv. 643920-01, in motivazione; Cass. sez. 5, 15/07/2015, n. 14784, Rv. 636120-01; Cass. sez. 3, 09/04/2013, n. 8569, Rv. 625839-01, oltre che Cass. sez. 3, 03/07/2009, n. 15628, Rv. 609583-01).

Altro profilo di inammissibilità deriva dalla deduzione di un vizio motivazionale (ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) con il quale però sostanzialmente si critica la valutazione del Giudice di merito circa il contenuto e la portata della citata nota mirando a sostituire una propria valutazione a quella della CTR, senza peraltro prospettarne vizio logico-giuridici della motivazione. Nello stesso ricorso si fa difatti riferimento ad una erronea valutazione oltre che ad «errata valutazione dell'indicato "sollecito di rimborso"» che, a detta dello stesso ricorrente, avrebbe portato alla «illegittima soluzione adottata dalla Commissione tributaria regionale di Bari».

Quanto appena argomentato, infine, fonda comunque il rigetto del motivo in esame in quanto la motivazione del rigetto dell'appello si fonda proprio sulla considerazione e valutazione della detta nota, ritenuta dal Giudice di merito, con motivazione esente da vizi logico giuridici, tale da integrare un provvedimento esplicito di rigetto di istanza di rimborso, avverso il quale il contribuente non ha proposto tempestiva impugnazione.

3. Con il motivo II di ricorso, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deducono «violazione e/o falsa applicazione all'art. 7, comma 2, lettera c della I. 27 luglio 2000, n. 212».

3.1. Il motivo è inammissibile, sotto diversi profili.

In primo luogo, ancora una volta, anche esso è inammissibile in quanto difetta di specificità (in termini di autosufficienza), in violazione dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., per mancata trasposizione nel ricorso della nota in oggetto, nella sua parte essenziale in modo da poter apprezzare la doglianza prospettata.

Con la doglianza in esame si intende altresì far valere in sede di legittimità profili nuovi, rispetto a quelli prospettati in sede di merito, ed in particolare si vorrebbe sindacare, per la prima vota, la nota quale provvedimento di diniego di rimborso d'IVA laddove, invece, il giudizio di merito ha avuto ad oggetto un preteso silenzio-rifiuto.

Ancora una volta, infine, si prospettano valutazioni di merito che si vorrebbero sostituire a quelle della CTR (si veda anche pag. 15 del ricorso ove si conclude evidenziando che «... conseguentemente, alla luce dei rilievi che precedono il diniego manifestato appare anche del tutto incomprensibile»).

4. Con il motivo III di ricorso, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deducono «violazione e/o falsa applicazione all'art. 2697 c.c.».

In sostanza, si deduce la violazione di legge (art. 2697 c.c.) per non aver la CTR accolto l'eccezione proposta dal contribuente in merito alla mancata ricezione da parte sua di un precedente provvedimento di diniego del richiesto rimborso IVA del 24 gennaio 1995 (che il ricorrente assume non essergli mai stato comunicato laddove, per converso, l'A.E. sostiene la comunicazione come da documentazione postale). La CTR, in particolare, avrebbe omesso di prendere in considerazione e valutare la dedotta mancata notifica del detto provvedimento (pag. 15 del ricorso).

4.1. Il motivo è inammissibile, sotto diversi profili.

In primo luogo, si prospetta una violazione dell'art. 2697, con il riferimento al 360, comma 1, n. 3, c.p.c., senza neanche dedurre l'attribuzione da parte del Giudice di merito dell'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata (si veda, ex plurimis, Cass. sez. 3, 29/05/2018, n. 13395, Rv. 649038-01, e successive conformi, per la quale la violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il Giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest'ultima, in sede di legittimità, entro i limiti di cui art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ratione temporis applicabile; in merito si veda anche Cass. sez. 6-3, 23/10/2018, n. 26769, Rv. 650892-01, per i diversi profili di censurabilità in cassazione della violazione dell'art. 2697 c.c., oltre che dei parametri previsti dagli artt. 115 e 116 c.p.c.

Il motivo, come formulato, comunque non coglie la ratio decidendi, con conseguente inammissibilità ex art. 366, n. 4 c.p.c.

Essa difatti non si fonda sul detto provvedimento esplicito di diniego (che il ricorrente assume mai partecipatogli) bensì sulla nota di cui innanzi, in quanto ritenuta negazione del richiesto rimborso IVA, con conseguente insussistenza del prospettato silenzio-rifiuto (per il detto profilo di inammissibilità si vedano, ex plurimis, tra le più recenti: Cass. sez. 3, 11/12/2018, n. 31946, in motivazione; Cass. sez. 5, 07/11/2018, nn. 28398 e 28391; Cass. sez. 1, 10/04/2018, n. 8755; Cass. sez. 6-5, 07/09/2017, n. 20910, Rv. 645744-01, per la quale la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall'art. 366 n. 4, c.p.c., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio; Cass. sez. 4, 22/11/2010, n. 23635, Rv. 615017-01).

5. Con il motivo IV di ricorso, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deducono violazione e/o falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., per non aver disposto la compensazione delle spese «visto che si era ritenuto di dichiarare una inammissibilità fondata su presupposti di assoluta incertezza e/o, quantomeno, frutto di una interpretazione "soggettiva" dei giudicanti certamente non basata su dati e/o elementi obiettivi».

5.1. Il motivo è inammissibile, sotto diversi profili, oltre che infondato.

La doglianza in esame non è costituita dall'enunciazione delle ragioni per le quali la decisione sarebbe erronea, non traducendosi in una critica della decisione impugnata, in quanto prescinde dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso (nella specie, la corretta applicazione della regola della soccombenza), con conseguente sua inidoneità al raggiungimento dello scopo, così risolvendosi in un «non motivo» inammissibile ex art. 366, n. 4, c.p.c. (per l'inammissibilità del «non motivo», si veda, ex plurimis, Cass. sez. 3, 31/08/2015, n. 17330, Rv. 636872-01).

Nella specie, in realtà, il ricorrente neanche sindaca il capo della sentenza impugnata relativo alla condanna al pagamento delle spese processuali ma richiede, da parte di questa Corte, la riforma della statuizione di secondo grado con conseguente pronuncia sulle spese (si veda pag. 17 ed in particolare i primo 4 righi del motivo IV). Nella ulteriore formulazione del motivo, poi, si argomenta in base all'incertezza (soggettiva) dei presupposti della decisione, senza articolare una violazione del 91 c.p.c.

Quanto innanzi detto circa la corretta applicazione della regola della soccombenza implica, comunque, l'infondatezza della doglianza.

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, relative al presente giudizio di legittimità, in favore della sola intimata costituita in giudizio (la controricorrente A.E.), che si liquidano, in applicazione dei parametri ratione temporis applicabili, in complessivi euro 2.300,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Sussistono altresì i presupposti di cui al comma 1 quater dell'art. 13, del d.P.R. 30 maggio 2001, n. 115 (aggiunto dall'art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228) per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (ex art. 18 della medesima I. n. 228 in quanto procedimento civile di impugnazione iniziato dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata I. n. 228 del 2012, cioè a decorrere dal 31 gennaio 2013).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese relative al presenta giudizio di legittimità, in favore del solo controricorrente, che si liquidano in complessivi euro 2.300,00, oltre le spese prenotate a debito, dando atto della sussistenza dei presupposti, di cui all'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2001 (ndr art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2001), per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norme dal comma 1 bis dello stesso art. 13.