Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 marzo 2019, n. 7386

Tributi locali - TIA - Accertamento - Temine ordinario di impugnazione - Sospensione feriale

 

Fatto

 

1. - La società M. s.r.l. azienda che produce e commercializza piante essiccate e fiori con sede nel Comune di Capannori (Lucca), ove è titolare di un capannone industriale, ha ricevuto in data 25 marzo 2005 quattro avvisi di accertamento relativi alla TIA per gli anni 2001, 2002, 2003, 2004, e ha presentato, in data 20 maggio 2005 istanza di accertamento con adesione, concluso con verbale di mancato accordo in data 15 settembre 2005. La società ha quindi impugnato, con ricorso notificato in data 6 ottobre 2005, detti avvisi innanzi alla CTP di Lucca, agendo nei confronti della s.p.a. A. quale società incaricata del servizio pubblico di gestione e del Comune di Capannori, che ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva.

2. - La CTP con sentenza del 24 maggio 2007 ha dichiarato il ricorso inammissibile perché tardivo e la società ha proposto appello innanzi alla CTR della Toscana, che, con la sentenza oggi in esame, depositata il 27 ottobre 2014 (n. 2057/18/14), non notificata, ha riformato la decisione di primo grado, dichiarando tempestivo il ricorso, dichiarando il difetto di legittimazione passiva del Comune, e nel merito ha accolto parzialmente il ricorso della società contribuente e ha dichiarato: non soggette alla quota variabile della TIA le superfici ove si producono rifiuti speciali; non soggetti ad IVA gli importi richiesti dalla A. s.p.a.; doversi applicare, per qualificare l'attività del contribuente, la tabella n.103 e non la n. 120.

3. - La società di gestione A. ricorre per cassazione affidandosi a otto motivi. La società M. resiste con controricorso e chiede la conferma della sentenza impugnata. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Diritto

 

4. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 6 del D.lgs. n. 218/1997, dell'art. 21 D.lgs. 546/1992 e degli artt. 7, 6, 9 del regolamento comunale, nonché dell'art. 155 c.p.c. e dell’art. 1 legge 742/1969.

La Commissione ha ritenuto il ricorso tempestivo, atteso che, presentata l'istanza di accertamento con adesione, il verbale di mancato accordo non interrompe il termine di sospensione per presentare ricorso, di 90 giorni dalla presentazione della istanza. Di contro la società ricorrente ritiene che il regolamento del Comune legittimamente prevede che in tutti i casi di chiusura con esito negativo del procedimento il termine per la impugnativa debba riprendere a decorrere anche qualora non siano trascorsi i 90 giorni previsti dall'art. 6 del d.lgs. 218/1997. La ricorrente osserva inoltre che, anche a volere aderire alla tesi della CTR, il ricorso è tardivo, come ritenuto dal giudice di primo grado, perché al detto termine di 90 giorni non può cumularsi la sospensione dei termini per il periodo feriale.

4.1. - La prima parte della censura è infondata: la CTR ha fatto applicazione del principio affermato da questa stessa Corte secondo il quale «In tema di accertamento con adesione, la sospensione per 90 giorni del temine ordinario di impugnazione dell'atto impositivo, nella specie relativo alla tariffa di igiene ambientale, conseguente alla presentazione dell'istanza di definizione da parte del contribuente, non è interrotta dal verbale di constatazione del mancato accordo tra questi e l'Amministrazione finanziaria, poiché tale atto, in considerazione delle finalità del procedimento, come evidenziate dall'ordinanza della Corte costituzionale n. 140 del 2011 in relazione all'art. 6 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, diretto a favorire una soluzione concordata della controversia, ed in mancanza di un'espressa disposizione normativa, non può essere equiparato né ad una definitiva rinuncia all'istanza, né a un epilogo comunque definitivamente conclusivo del medesimo procedimento» (Cass. civ. sez. V, n. 3762/2012

, con specifico riferimento al regolamento del Comune di Capannori).

E' invece fondata la seconda parte della censura, relativa alla non cumulabilità tra la sospensione dei termini ferali e la sospensione prevista dall'art. 6 d.lgs. 218/1997. E' ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello di ritenere non applicabile la sospensione dei termini feriali ai termini delle procedure non giurisdizionali e il termine previsto dall'art. 6 comma 3, del d.lgs. 218/1997 non può considerarsi un termine processuale (Cass. sez., V n. 11632/2015; Cass. sez. V n. 7701/2013).

Pertanto, notificati gli avvisi di accertamento in data 25 marzo 2005, e presentata istanza di accertamento per adesione in data 20 maggio 2005, da questa data si sospende il termine per proporre ricorso alla Commissione tributaria ed inizia a decorre il termine di giorni novanta, previsto dall'art. 6 citato, che però non è soggetto alla sospensione feriale. Detto termine scadeva dunque il 18 agosto 2005, e da quella data riprendeva a decorrere il termine (sospeso) per la proposizione del ricorso. O meglio, da quella data sarebbe ripresa la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso, se la scadenza del termine di sospensione non fosse avvenuta nel periodo feriale. Fino al 15 settembre 2005 (come previsto dall'art. 1 della legge n. 742/1969 ratione temporis vigente) è rimasto ulteriormente sospeso il termine per la proposizione del ricorso, del quale residuavano 5 giorni. In sintesi, il termine per proporre ricorso è scaduto in data 20 settembre 2005, sicché l'originario ricorso del contribuente, presentato in data 6 ottobre 2005 è tardivo, come correttamente ritenuto dal giudice di primo grado. Né si può obiettare -come vorrebbe il controricorrente - che la questione costituisca una nuova censura, dal momento che si tratta di un errore della CTR nel computo dei termini, a fronte invece di una sentenza di primo grado corretta, errore del quale la parte non aveva modo di avvedersi se non con la lettura della sentenza di secondo grado.

5. - Pertanto, il ricorso deve accogliersi per quanto di ragione e ritenuta la tardività dell'originario ricorso della società contribuente, ogni altra questione resta assorbita.

Considerato lo svolgimento del giudizio le spese dei gradi di merito si compensano interamente mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della controricorrente e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e dichiara inammissibile, in quanto tardivo l'originario ricorso della contribuente. Compensa le spese delle fasi di merito, e condanna la M. s.r.l. alle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.700,00 oltre IVA, CPA e spese generali.