Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 marzo 2019, n. 7240

Tributi - Accertamento - Riscossione - PVC - Contenzioso tributario - Vendita di immobili - Discordanza tra il valore indicato nel preliminare e quello inferiore del prezzo di vendita

 

Fatti di causa

 

La CTR del Veneto - sezione staccata di Verona -con sentenza n. 38/21/2012, depositata il 16 aprile 2012, non notificata, respinse l'appello della società B. e T. S.n.c. di B. M. e C., nonché dei signori N. B. ed O. T. avverso la sentenza della CTP di Verona che - riuniti i ricorsi proposti rispettivamente dalla società avverso l'avviso di accertamento ai fini IVA ed IRAP per l'anno 2005, nonché dai signori B. e T. avverso l'avviso di accertamento a ciascuno di loro rispettivamente notificato quali soci della predetta società per la maggiore IRPEF da ciascuno dovuta in relazione allo stesso anno d'imposta - aveva a sua volta rigettato detti ricorsi.

Le pretese impositive del Fisco nei confronti dei soci nascevano dalla contestazione alla società di maggiori ricavi per un importo complessivo di Euro 280.000, che sarebbero stati percepiti dalla società nel corso del predetto anno d'imposta, derivanti dalla cessione a terzi di immobili, nella specie, due villette bifamiliari, per una delle quali era stato reperito, presso un istituto di credito, un preliminare di vendita in cui il prezzo della cessione nella parte numerica era indicato in € 310.000,00 (sebbene nell'importo in lettere fosse indicato quello di € duecentocinquantamila) in luogo del prezzo indicato nell'atto definitivo di compravendita in Euro 170.000,00: preliminare per il quale il B., socio amministratore della società verificata, a seguito d'invito a comparire, aveva disconosciuto la paternità della propria sottoscrizione apposta sulla copia del preliminare di vendita mostratagli dal funzionario verbalizzante, disconoscimento quindi ribadito in giudizio, dichiarando di non conoscere quella apparentemente riferita al T..

Avverso la sentenza della CTR la società ed i soci summenzionati hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, ulteriormente illustrato da memoria, cui resiste l'Amministrazione finanziaria con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione degli artt. 214 e 216 cod. proc. civ., con riferimento all'art. 220 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. e conseguente nullità della sentenza e del procedimento (art. 360, comma 1, n.4, cod. proc. civ.), nella parte in cui la decisione impugnata ha ritenuto che la pretesa impositiva avesse fondamento in relazione al maggior valore del prezzo di vendita delle due unità immobiliari, quale risultante dal rinvenimento del preliminare riferito ad una di esse, che esponeva in cifre il maggior valore di Euro 310.000,00 rispetto a quello di Euro 170.000,00, evidenziato dall'atto definitivo di vendita: preliminare che non poteva essere utilizzato ai fini della decisione, stante il disconoscimento espresso della paternità della sottoscrizione sullo stesso apposta dal B., in assenza di proposizione da parte dell'Amministrazione di istanza di verificazione della genuinità della relativa sottoscrizione.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 57, comma primo e secondo del d. Igs. n. 546/1992, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto nuova, in quanto formulata per la prima volta con il ricorso in appello, l'eccezione di nullità dell'invito a comparire per carenza di motivazione.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione delle norme di cui alla I. n. 212/2000, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. per vizi inerenti le operazioni propedeutiche all'emanazione degli atti impositivi, segnatamente in  relazione alle modalità di acquisizione del succitato preliminare di vendita, senza che emergesse l'esistenza dell'autorizzazione del Procuratore della Repubblica, di cui all'art. 52, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972, né l'indicazione, tanto nei processi verbali di constatazione quanto negli stessi atti impositivi, dell'esistenza di gravi indizi di violazione delle norme tributarie, non potendosi la sussistenza dei medesimi ravvisare nella mera rilevata «redditività inferiore alla media del settore» di cui all'avviso di accertamento emesso nei confronti della società e da questa impugnato.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano violazione o falsa applicazione dell'art. 3 della I. n. 241/1990 e dell'art. 7, comma 1, della I. n. 212/2000 (statuto del contribuente), assumendo la carenza degli atti impositivi in relazione al requisito motivazionale, fondamentalmente basato sul menzionato preliminare di vendita, oggetto peraltro di espresso disconoscimento, come sopra rilevato, e su mero stralcio della relazione tecnica estimativa del geom. Dall'Ara, per conto dell'istituto di credito, ai fini dell'erogazione del mutuo richiesto dalle parti acquirenti, assolutamente inidoneo a rendere conto delle valutazioni espresse in relazione allo stimato maggior prezzo di vendita, senza che la motivazione potesse essere integrata dall'ente impostore ex post in sede giudiziale dall'aggiunta di ulteriori elementi.

5. Con il quinto motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 35, commi 2, 3 e 23 bis del d.l. n. 223/2006, convertito nella I. n. 248/2006 e legge comunitaria n. 88/2008, assumendo che l'Ufficio avrebbe utilizzato la presunzione di cui alle citate norme del d.l. n. 223/2006, secondo cui agli effetti dell'imposizione, sia diretta, sia indiretta, la prova dell'evasione fiscale poteva ritenersi integrata pur se l'infedeltà dei ricavi viene desunta sulla base del valore normale dei beni e, nello specifico, dall'IVA, senza che tale valore potesse essere inferiore all'ammontare del mutuo o del finanziamento erogato; disposizione, peraltro, modificata dalla I. n. 244/2007, per cui, agli effetti tributari, tali dati valgono come presunzioni semplici, mentre, agli effetti dell'IVA, l'art. 24, comma 4, lett. F della I. n. 88/2009 stabilisce che l'eventuale ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione deve risultare in modo certo e diretto e non in via presuntiva, come avvenuto nel caso di specie.

6. Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., con riferimento agli artt. 59 del d.P.R. n. 633/1972 e 61, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973, nonché dell'art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/1973 e 55 del d.P.R. n. 633/1972, nella parte in cui la decisione impugnata ha affermato, secondo i ricorrenti in maniera del tutto apodittica, che «la circostanza che nessuna irregolarità contabile sia stata contestata alla società contribuente non preclude l'accertamento che, nello specifico, oltre al già richiamato preliminare, fondava sulle richiamate perizie di stima e, in sede pure indiziaria, sui valori OMI».

7. Con il settimo motivo i ricorrenti censurano ancora la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 109, comma 4, lett. d) del d.P.R. n. 917/1986, con riferimento all'avviso di accertamento emesso ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all'art. 360, comma 1, n.3, cod. proc. civ., laddove la sentenza impugnata ha respinto la doglianza degli allora appellanti avverso la sentenza di primo grado, disconoscendo che ai maggiori ricavi dovesse conseguire il riconoscimento anche di maggiori costi, non essendo stata prodotta alcuna idonea documentazione in proposito e non potendo dirsi quindi soddisfatto l'onere della prova, cedente a carico della contribuente, «non essendo sufficiente un generico richiamo ad una presunta incidenza  percentuale dei costi asseritamente sostenuti a fronte dei maggiori ricavi accertati, pur induttivamente».

8. Con l'ottavo motivo i ricorrenti lamentano violazione e/o falsa applicazione dell'art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/1973 con riferimento all'art. 7 della I. n. 212/2000 e 42, comma 2 del d.P.R. n. 600/1973, portando la CTR a sola condizione legittimante l'accertamento induttivo a fronte di una contabilità regolare un presunto comportamento antieconomico.

9. Infine, con il nono ed ultimo motivo, i ricorrenti denunciano omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nella parte in cui la decisione impugnata ha ritenuto che il prezzo di cessione corrisposto per ciascuna delle unità immobiliari fosse di Euro 310.000,00, ignorando circostanze fattuali quali la cessione degli immobili dalla società al grezzo, le spese occorrenti per l'ultimazione degli immobili essendo state sostenute dagli acquirenti, ragione per la quale il valore al grezzo doveva intendersi come abitualmente riferito al 40%-45% del valore dell'immobile finito, come da perizia di parte depositata in atti, nonché la stessa localizzazione degli immobili, ubicati nella Via San Giuseppe della frazione di Montecchio di Negrar, zona di montagna abitata da poche decine di persone e non, invece, nella cittadina di Negrar, alle pendici delle colline della Valpolicella, da ciò derivando, a parità di condizioni degli immobili, una differenza di prezzo di circa il 30% come risultante dalla stessa documentazione immobiliare dell'allora Agenzia del Territorio, allegata in atti nel giudizio di merito dai ricorrenti.

10. Il primo motivo è infondato.

10.1. I ricorrenti assumono che la sentenza impugnata, nel porre a base della decisione impugnata, quale elemento indiziario di primario rango, il preliminare di vendita relativo ad una delle due villette bifamiliari cedute dalla società a terzi nell'anno 2005, da cui sarebbe emerso un prezzo di vendita superiore a quello risultante dall'atto

definitivo di compravendita, abbia sostanzialmente eluso l'esame del principale motivo di appello avverso la sentenza di primo grado, che a sua volta riprendeva il motivo d'impugnazione dell'atto impositivo emesso nei confronti della società secondo cui, essendo stata detta scrittura oggetto di disconoscimento da parte dell'amministratore della società B. sin dalla fase amministrativa, disconoscimento ribadito in sede giurisdizionale, detta scrittura non poteva assumere alcun rilievo probatorio, dal momento che l'Amministrazione finanziaria non aveva proposto istanza di verificazione della scrittura medesima, ex art. 216 cod. proc. civ.

10.2. Nell'esame della censura occorre premettere che in questa sede non è in discussione il principio secondo il quale «Nel processo tributario, in forza del rinvio operato dall'art. 1, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, alle norme del codice di procedura civile, trova applicazione l'istituto del disconoscimento delle scritture private, con la conseguenza che, in presenza del disconoscimento della firma, il giudice ha l'obbligo di accertare l'autenticità delle sottoscrizioni, essendogli altrimenti precluso tenerne conto ai fini della decisione» (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 20 marzo 2006, n. 6184; Cass. sez. 5, 31 marzo 2011, n. 7355; Cass. sez. 5, 8 giugno 2018, n. 14965; Cass. sez. 5, 19 ottobre 2018, n. 26402), riferite a fattispecie in cui vi era appunto l'interesse dell'Amministrazione finanziaria a proporre istanza di verificazione al fine di avvalersi di scritture disconosciute dal contribuente.

Ciò che va invece approfondito, in relazione alla peculiarità della fattispecie in esame, è se il disconoscimento così come effettuato dal solo B. nelle forme di seguito precisate sia idoneo a precludere l'utilizzabilità ai fini probatori della relativa scrittura a sostegno della fondatezza dell'accertamento dell'Ufficio, quale confermata dalla sentenza impugnata.

10.3. Non è controverso che il disconoscimento della sottoscrizione del B., legale rappresentante della società, sul preliminare di vendita rinvenuto presso Istituto di credito, vi sia stato e tempestivamente effettuato già in sede amministrativa - ciò che di per sé sarebbe irrilevante ai sensi dell'art. 214, comma 1, cod. proc. civ. - ma riproposto espressamente nel ricorso avverso l'avviso di accertamento notificato alla società.

Ciò posto, occorre quindi chiarire quali conseguenze siano riferibili al mancato disconoscimento da parte dell'altro socio delle sottoscrizioni apposte da quest'ultimo sulle pagine del preliminare ed al fatto che il disconoscimento da parte del B. abbia riguardato non l'intera scrittura ma la sottoscrizione riferita alle pagine (1 e 2 del preliminare) indicanti in cifre il prezzo di vendita di una delle villette in Euro 310.000,00 in luogo di quello di euro 170.000,00 esposto nell'atto definitivo, tenuto conto che l'oggetto della contestazione afferisce proprio all'asserito maggior prezzo di vendita della cessione dell'immobile, indicato peraltro, quanto all'importo in lettere, in Euro duecentocinquantamila.

10.4. In ordine al primo profilo, premesso che nulla è precisato in ricorso dai ricorrenti in ordine all'eventuale sussistenza di diversa pattuizione, deve ritenersi operante, ex art. 2257, comma 1, cod. civ., il principio dell'amministrazione disgiuntiva tra i soci, cui consegue che anche l'altro socio T. avrebbe dovuto disconoscere le sottoscrizioni apposte sulle pagine dell'anzidetto preliminare (cfr. Cass. sez. 1, 16 febbraio 2010, n. 3620; Cass. sez. 3, 16 dicembre 1997, 12719).

10.5. Quanto al secondo aspetto, il fatto che la sottoscrizione del B., come è dato evincere dall'esposizione del relativo motivo di ricorso, sia stata apposta anche su ciascuna delle altre pagine formanti il preliminare di vendita, viceversa non disconosciute, comporta che la paternità della scrittura medesima sia comunque allo stesso riferibile (cfr., sia pure con riferimento a fattispecie non esattamente sovrapponibili a quella in esame, Cass. sez. 2, 1 marzo 2007, n. 4886; Cass. sez. lav. 16 settembre 1995, n. 9820; Cass. sez. 2, 11 marzo 1982, n. 1583).

10.6. Se la scrittura, quindi, nel suo, complesso, è comunque riferibile ai suoi sottoscrittori, deve concludersi nel senso che ciò che in realtà doveva quindi costituire oggetto di contestazione da parte dei soci della società, con amministrazione disgiuntiva della stessa, era piuttosto la falsità ideologica della scrittura riguardo all'indicazione del prezzo della vendita, ottenuta mediante interpolazione delle relative pagine, in relazione alle quali il B. aveva "disconosciuto" la propria sottoscrizione, ciò che però doveva essere oggetto di proposizione da parte loro di querela di falso.

11. Il secondo motivo è pure infondato.

11.1. Invero l'eccezione di nullità dell'invito a comparire, pacificamente formulata per la prima volta in grado di appello, deve intendersi correttamente, come osservato dalla CTR, come eccezione in senso stretto e come tale soggetta al divieto di cui all'art. 57, comma 2, del d. Igs. n. 546/1992.

11.2. Stante la struttura impugnatoria del giudizio tributario, la pretesa nullità dell'atto amministrativo (invito a comparire), da cui scaturirebbe la nullità derivata dell'atto impositivo che vi ha fatto seguito, deve essere addotta come motivo d'impugnazione dalla parte che vi abbia interesse (cfr. in generale Cass. sez. 5, 18 settembre 2015, n. 18448), a ciò conseguendo che la sua proposizione per la prima volta in grado di appello amplia in modo non consentito il thema decidendum come delimitato, da un lato, dall'atto impositivo e dall'altro, dai motivi d'impugnazione verso il medesimo proposti.

12.  Ugualmente è infondato il terzo motivo, atteso che il reperimento del contratto preliminare sul quale si è essenzialmente basato l'accertamento è avvenuto presso un terzo (istituto di credito)  nell'esercizio dei poteri istruttori di cui all'art. 32 del d.P.R. n. 600/1973, finalizzati all'acquisizione di elementi probatori anche di natura presuntiva come nel caso dell'art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/1973.

13. Il quarto e l'ottavo motivo possono essere trattati congiuntamente, essendo entrambi diretti a denunciare pretese violazioni o false applicazioni di norme di diritto nelle quali sarebbe incorsa, secondo i ricorrenti, la sentenza impugnata, nella parte in cui non ha rilevato la carenza motivazionale degli avvisi di accertamento impugnati, in relazione a duplice profilo: a) il primo in relazione alla mancata allegazione tanto al processo verbale di constatazione quanto all'avviso di accertamento nei confronti della società della perizia di stima redatta sugli immobili, su incarico dell'istituto di credito erogante il mutuo in favore dgli acquirenti, dal geom. D.A., riportata solo in stralcio (quarto motivo); b) il secondo nella parte in cui la censura è formulata riguardo alla carenza motivazionale dell'avviso di accertamento quanto ai presupposti legittimanti il ricorso all'accertamento induttivo, in presenza di contabilità formalmente regolare (ottavo motivo).

13.1. Entrambi i motivi debbono essere disattesi.

13.2. Il quarto deve ritenersi inammissibile per carenza di autosufficienza.

Posto che in relazione al disposto dell'art. 7, comma 1, della I. n. 212/2000, quanto alla motivazione per relationem riguardo ad altro atto cui quello dell'Amministrazione faccia riferimento, è sufficiente, ai fini del soddisfacimento del requisito motivazionale, riguardo all'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto poste a fondamento dell'atto impositivo, che, in luogo dell'allegazione, siano in esso riportati i passaggi essenziali dell'atto richiamato (cfr. tra le altre, Cass. sez. 6-5, ord. 11 aprile 2017, n. 9323; Cass. sez. 6-5, ord. 15 aprile 2013, n. 9032), parte ricorrente ha omesso di  trascriverne il contenuto o di allegare l'atto in copia al ricorso o di richiamare con precisione tempo e luogo della relativa produzione nel giudizio di merito, onde porre la Corte in condizione di poter svolgere il sindacato richiesto (cfr. tra le altre, più di recente, Cass. sez. 5, 13 novembre 2018, n. 29093; Cass. sez. 5, ord. 28 giugno 2017, n. 16147).

13.3. In relazione al secondo profilo, di cui all'ottavo motivo di ricorso, la censura è invece infondata, essendo la decisione impugnata in linea con il principio di diritto secondo cui la mera invocazione da parte del contribuente della regolarità delle scritture contabili non inficia, sul piano motivazionale, la legittimità dell'accertamento induttivo che sia, tra l'altro, come nella fattispecie in esame, basato anche in relazione alla contestata antieconomicità delle operazioni da cui sarebbero derivati i maggiori ricavi oggetto di accertamento (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 31 ottobre 2018, n. 27804; Cass. sez. 5, 20 giugno 2014, n. 14068; Cass. sez. 5, 16 giugno 2009, n. 951).

14. Il quinto motivo è inammissibile, non cogliendo, in realtà, la censura, la ratio decidendi della sentenza. Non è dato, infatti, leggere in alcuna parte della decisione impugnata che la CTR abbia basato la decisione sulla base del preteso valore di presunzioni legali in ragione dell'errata applicazione delle norme riportate in epigrafe del relativo motivo, atteso che, anche nel respingere analogo motivo di ricorso avverso la sentenza di primo grado, il giudice di appello aveva posto come elemento decisivo, ma pur sempre a valenza meramente indiziaria, a conferma della legittimità dell'operato dell'Amministrazione, quello scaturente dall'indicazione del maggior prezzo di vendita quale risultante dal succitato preliminare.

15. Il sesto motivo è infondato, non sussistendo la denunciata violazione della regola in tema di riparto dell'onere della prova, dovendosi ribadire quanto già osservato sub 13.3., riguardo alla legittimità del ricorso all'accertamento induttivo a fronte della contestazione del comportamento antieconomico della società.

16. Il settimo motivo è del pari infondato, avendo la sentenza impugnata correttamente escluso il riconoscimento di costi in via forfettaria proporzionali ai maggiori ricavi contestati, atteso che - se è vero che l'Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento induttivo, deve procedere alla ricostruzione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative di reddito - occorre pur sempre che esse siano state indicate e dimostrate dal contribuente (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, ord. 30 ottobre 2018, n. 27622; Cass. sez. 5, 28 dicembre 2017, n. 31024;

Cass. sez. 5, 29 settembre 2017, n. 22868), la qual cosa la CTR ha escluso, nella fattispecie in esame, con accertamento di fatto non censurato in relazione al disposto dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.

17. È infondato, infine, anche il nono motivo.

Appare evidente come, nell'argomentazione del giudice tributario d'appello, l'elemento fondamentale addotto a giustificazione della piena legittimità dell'accertamento dell'Ufficio sia relativo alla rilevata discordanza tra il valore indicato nel preliminare e quello inferiore del prezzo di vendita indicato in ciascuno degli atti definitiva di vendita, sicché, confermatane, con il rigetto del primo e secondo motivo di ricorso, la piena utilizzabilità a fini di prova, è chiaro che anche il dedotto omesso esame delle ulteriori circostanze fattuali, come innanzi riportati sub 9, è privo del carattere della decisività ai fini della determinazione del diverso esito del giudizio nel senso invocato dalle parti ricorrenti.

18. In conclusione, il ricorso va pertanto rigettato.

19. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.