Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 14 febbraio 2019, n. 4423

Tributi - Contenzioso tributario - Procedimento - Procedimento di appello - Atto di appello - Modalità per la proposizione - Deposito di copia presso la segreteria del giudice di primo grado - Spedizione postale

 

Ritenuto in fatto

 

1. L'Avv. I. F. C. impugnava la sentenza della Commissione tributaria provinciale, con cui era stato rigettato il ricorso da lui proposto avverso il silenzio rifiuto, formatosi sulla richiesta di rimborso del 7- 10-2008 di somme pagate in eccedenza, per l'anno 2002, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione n. 24260 del 30-12-2004, con cui erano stati ridotti i suoi onorari per l'attività di componente del collegio arbitrale svolta nel contenzioso tra il Consorzio Ascosa e la Gestione Governativa della ferrovia Alifana e Benevento-Napoli.

2. La Commissione tributaria regionale dichiarava inammissibile l'appello proposto dal contribuente, in quanto il gravame non era stato "depositato" presso l'ufficio di Segreteria della Commissione tributaria provinciale, ai sensi dell'art. 53 del d.lgs. 546/1992, vigente ratione temporis, nel termine di trenta giorni dalla notifica dell'appello, ma era stato solo spedito per raccomandata in data 26-10-2012, ricevuta il 5-11-2012.

3. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il contribuente, che presentava memoria.

4. Resisteva con controricorso l'Agenzia delle entrate.

 

Considerato in diritto

 

l. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce "Violazione dell'art. 111, comma 2, Cost. e 101, comma 2 c.p.c., in relazione agli artt. 62 d.lgs. 546/1992 e 360, comma 1, n. 4 c.p.c.", in quanto la Commissione regionale ha rilevato d'ufficio la questione in ordine alla inammissibilità dell'appello proposto dal contribuente, per violazione dell'art. 53 comma 2 d.lgs. 546/1992, all'epoca vigente, che imponeva all'appellante, a pena di inammissibilità, di depositare l'atto di appello presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale entro il termine perentorio di trenta giorni decorrente dalla notifica dell'appello, senza assegnare alle parti i termini di cui all'art. 101 comma 2 c.p.c. per il deposito di memorie contenenti osservazioni sulla questione sollevata.

1.1.Tale motivo è infondato.

Invero, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.c., come modificato dalla legge 69 del 2009, per i procedimenti di primo grado instaurati a decorrere dal 4-7- 2009, "Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie concernenti osservazioni sulla medesima questione".

Tale disposizione, seppure entrata in vigore il 4-7-2009, quindi dopo la proposizione della domanda di primo grado, con ricorso dinanzi alla Commissione provinciale notificato nel febbraio 2009 e depositato nel marzo 2009, è espressione di un principio giurisprudenziale consolidato applicabile anche prima dell'entrata in vigore della norma, ma con esclusione delle questioni di puro diritto, come quelle processuali.

Invero, per questa Corte (Cass.Civ., 27 novembre 2018, n. 30716), nel sistema anteriore all'introduzione del comma 2 dell'art. 101 c.p.c. (a norma del quale il giudice, se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, deve assegnare alle parti, "a pena di nullità", un termine "per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione"), operata con l'art. 45, comma 13, della I. n. 69 del 2009, il dovere costituzionale di evitare sentenze cosiddette "a sorpresa" o della "terza via", poiché adottate in violazione del principio della "parità delle armi", aveva fondamento normativo nell'art. 183 c.p.c. che al comma 3 (oggi comma 4) faceva carico al giudice di indicare alle parti "le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione", con riferimento, peraltro, alle sole questioni di puro fatto o miste e con esclusione, quindi, di quelle di puro diritto. Si è anche ritenuto che, in tema di contraddittorio, le questioni di esclusiva rilevanza processuale, siccome inidonee a modificare il quadro fattuale ed a determinare nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti, non rientrano tra quelle che, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.c. (nel testo introdotto dall'art. 45, comma 13, della I. n. 69 del 2009), se rilevate d'ufficio, vanno sottoposte alle parti, le quali, per altro verso, devono avere autonoma consapevolezza degli incombenti cui la norma di rito subordina l'esercizio delle domande giudiziali (Cass.Civ., 29 settembre 2015, n. 19372).

Si è anche precisato che, qualora il giudice esamini d'ufficio una questione di puro diritto, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l'apertura della discussione (cd. terza via), non sussiste la nullità della sentenza, in quanto da tale omissione non deriva la consumazione di vizio processuale diverso dall'"error iuris in iudicando", ovvero dall’error in iudicando de iure procedendi", la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato (Cass.Civ., 18 giugno 2018, n. 16049; Cass.Civ., 8 giugno 2018, n. 15037). Trattandosi, dunque, di questione processuale, di puro diritto, relativa alla inammissibilità dell'appello per asserito mancato deposito dell'appello notificato alla segreteria della Commissione tributaria provinciale, nel termine di trenta giorni dal compimento della notifica del gravame alla controparte, sicché non vi era l'obbligo per il giudice, che ha rilevato d'ufficio la questione della inammissibilità, di indicarla alle parti, sollecitando il contraddittorio su tale questione.

2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la "violazione dell'art. 53 comma 2, d.lgs. 546/1992, in relazione all'art. 62 del medesimo d.lgs. e 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c.", in quanto il contribuente ha provveduto a spedire l'appello alla segreteria della Commissione provinciale in data 26-10-2012, con raccomandata ricevuta il 5-11-2012, quando non erano ancora decorsi i trenta giorni dalla notifica dell'atto di appello alla Agenzia delle entrate, avvenuta il 24-10-2012.

Invero, si premette che, in tema di contenzioso tributario, l'art 36 del d.lgs. n. 175 del 2014, che, nel modificare l'art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, ha eliminato l'obbligo di deposito, a pena di inammissibilità, di copia dell'appello non notificato a mezzo ufficiale giudiziario presso l'ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata, non si applica ove la notificazione si sia perfezionata prima dell'entrata in vigore della novella e resti, pertanto, in assenza di disciplina transitoria o di esplicite disposizioni di segno contrario, regolata dalla norma sotto il cui imperio è stata posta in essere (Cass., 30 gennaio 2017, n. 2276

). Nella specie, l'atto di appello è stato notificato nel 2012, quindi prima della abolizione del secondo periodo del comma 2 dell'art. 53 d.lgs. 546/1992 da parte dell'art. 36 del d.lgs. 175 del 2014.

Questa Corte ha chiarito, con una pronuncia cui si intende dare seguito, che il deposito di copia dell'appello nella segreteria della commissione tributaria di primo grado, previsto, a pena d'inammissibilità, ove il ricorso non sia notificato a mezzo ufficiale giudiziario dall'art. 53, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992 (oggi abrogato dal d.lgs. n. 175 del 2014), può avvenire anche a mezzo posta con decorrenza dalla data di ricezione dell'atto e non da quella di spedizione, non derivando da tale irritualità una sanzione di nullità in mancanza di una esplicita disposizione in tal senso (Cass.Civ., 3 dicembre 2015, n. 24669; Cass., 13797/2016; Cass. 25157/2016; Cass., 11166/2016; Cass. 8004/2016; Cass. 8003/2016). Infatti, l'art. 53 del d.lgs. 546/1992, nel testo all'epoca vigente, non impediva di procedere al "deposito" presso l'ufficio di segreteria della commissione tributaria di primo grado, non con la consegna "diretta e personale", ma con la spedizione a mezzo posta.

La ratio della norma è, infatti, quella di portare a conoscenza della Commissione provinciale l'avvenuta proposizione dell'appello, in modo da evitare che si possa rilasciare l'attestazione di avvenuto passaggio in giudicato della decisione (Cass., 4 ottobre 2018, n. 24289). Se, infatti, la notificazione dell'appello avviene tramite ufficiale giudiziario, l'art. 123 disp. att. c.p.c. gli impone di darne immediato avviso scritto al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. In caso di notifica dell'appello a mezzo servizio postale è l'appellante che deve dare la comunicazione della proposizione dell'appello alla segreteria della commissione provinciale o con il deposito del gravame oppure con la spedizione a mezzo posta, dovendosi, però, tenere conto della data di ricevimento e non di quella di spedizione. Peraltro, per questa Corte, a sezioni unite, l'invio a mezzo posta dell'atto processuale destinato alla cancelleria (nella specie, memoria di costituzione in giudizio comprensiva di domanda riconvensionale) -al di fuori delle ipotesi speciali relative al giudizio di cassazione, al giudizio tributario ed a quello di opposizione ad ordinanza ingiunzione- realizza un deposito dell'atto irrituale, in quanto non previsto dalla legge, ma che, riguardando un'attività materiale priva di requisito volitivo autonomo e che non necessariamente deve essere compiuta dal difensore, potendo essere realizzata anche da un "nuncius", può essere idoneo a raggiungere lo scopo, con conseguente sanatoria del vizio ex art. 156, terzo comma, cod. proc. civ.; in tal caso, la sanatoria si produce con decorrenza dalla data di ricezione dell'atto da parte del cancelliere ai fini processuali, ed in nessun caso da quella di spedizione (Cass.Civ., Sez.Un., 5160 del 4 marzo 2009).

Del resto, nel processo tributario è la stessa legge (art. 3 bis comma 6 del d.l. 203/2005, nella parte in cui ha modificato l'art. 22 del d.lgs. 546/1992) ad avere previsto che il ricorso introduttivo del processo può avvenire con trasmissione a mezzo posta.

Lo scopo essenziale del deposito di un atto giudiziario è, infatti, la concreta presa di contatto fra la parte e l'ufficio giudiziario dinanzi al quale pende la trattazione del processo. Il raggiungimento di tale scopo, e non il minuto rispetto di formalità non espressamente previste dalla legge, costituisce il presupposti per l'accettazione del deposito dell'atto inviato.

Pertanto, poiché è incontestato che l'appello è stato notificato alla Agenzia delle entrate il 24-10-2012, mentre lo stesso appello è stato spedito alla segreteria della Commissione provinciale in data 26-10-2012, con ricezione in data 5-11-2012, rispetto a tale ricezione non era decorso il termine di trenta giorni.

3. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

In accoglimento del secondo motivo di impugnazione, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.