Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 07 febbraio 2019, n. 3661

Rapporto di lavoro - Rifiuto di eseguire la prestazione lavorativa - Obbligazione contributiva - Prescrizione

 

Rilevato che

 

La Corte d'appello di Ancona, con sentenza n. 541/2013, ha respinto l'appello principale proposto da R. T. nei confronti dell'Inps e di Poste Italiane s.p.a., dichiarando assorbito quello incidentale proposto dall'INPS, avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta dalla stessa T., alla luce degli esiti di una complessa vicenda giudiziaria relativa alla costituzione di un rapporto di lavoro con Poste Italiane s.p.a. a seguito di selezione concorsuale, tesa ad ottenere l'accertamento dell'esatta misura dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti da Poste Italiane s.p.a. a decorrere dal primo marzo 1988 e la condanna della società al pagamento delle relative somme all'INPS che, tuttavia, aveva rifiutato il pagamento dei contributi ritenuti prescritti;

la Corte territoriale ha ritenuto corretta la decisione di primo grado che - tenuto conto della definitiva sentenza n. 257 del 2005 della Corte d'appello di Ancona - aveva accertato la prosecuzione del rapporto di lavoro della T. sin dal primo marzo 1988 ed escluso il diritto alla retribuzione a decorrere dal 5 novembre 1999, avendo la lavoratrice rifiutato immotivatamente di prestare l'attività lavorativa, con la conseguenza che l'obbligazione contributiva, esigibile dal primo marzo 1988 al 5 novembre 1999, era prescritta, essendo intervenuto il primo atto interruttivo rivolto all'INPS solo nel corso del 2006, ed era inesistente per il periodo successivo;

avverso tale sentenza, ricorre per cassazione R. T. sulla base di cinque motivi illustrati da memoria: a) violazione e o falsa applicazione dell'art. 2909 cod.civ., posto che erroneamente la sentenza impugnata non aveva considerato che era passata in giudicato tra T. e Poste Italiane s.p.a. la sentenza n. 623 del 1999 del Tribunale di Ancona che aveva accertato la decorrenza giuridica del rapporto di lavoro dal 1.3.1988 e ciò non poteva non riguardare anche l'obbligazione contributiva; b) violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 cod.civ. e 2115 cod.civ. in relazione alla affermazione che in mancanza di obbligo retributivo non poteva sorgere l'obbligo contributivo; c) violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 cod. civ. e 2115 cod. civ. posto che non si era riconosciuta efficacia interruttiva agli atti giudiziari compiuti dalla lavoratrice nei confronti della datrice di lavoro; d) violazione e o falsa applicazione dell'art. 2935 cod. civ. laddove non si è ritenuto che il dies a quo di decorrenza della prescrizione dell'obbligo non coincidesse con la data di pubblicazione della sentenza di accertamento del rapporto di lavoro; e) violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 e 2943 cod. civ. in ragione della erronea affermazione della sentenza impugnata secondo la quale la proposizione del giudizio anche nei confronti dell'Inps nell'anno 2007 non poteva aver sortito alcun effetto interruttivo in ordine all'avvenuta prescrizione dell'obbligo decorrente dal 1 marzo 1988;

resistono Poste Italiane s.p.a. e l'INPS con controricorso;

 

Considerato che

 

i motivi, in quanto connessi, possono essere trattati congiuntamente e sono infondati;

la questione prospettata è quella degli effetti del giudicato formatosi tra lavoratrice e datore di lavoro sulla esistenza dell'obbligo di regolarizzazione contributiva a seguito della costituzione di un rapporto di lavoro e l'obbligazione contributiva che, come è noto, lega il datore di lavoro all'Istituto previdenziale, anche ai fini del decorso del termine prescrizionale previsto per il pagamento dei contributi;

il tema che la soluzione della questione presuppone è, più in generale, quello della natura del rapporto giuridico previdenziale, oggetto di evoluzione all'interno del dibattito teorico dottrinale, e delle tutele riconosciute al lavoratore per la protezione dell'interesse alla propria posizione previdenziale, che è stato affrontato dalla giurisprudenza di questa Corte con l'affermazione dei seguenti principi, cui si intende dare continuità:

a) il lavoratore, sulla base delle previsioni contenute nell’art. 39, I. n. 153 del 1969, dell'art. 4, I. n. 467 del 1978, ha un vero e proprio diritto soggettivo al regolare versamento dei contributi previdenziali in proprio favore ed alla conformità alle prescrizioni di legge della propria posizione assicurativa, costituendo questa un bene suscettibile di lesione e di tutela giuridica nei confronti del datore di lavoro che lo abbia pregiudicato (cfr. Cass. 23 novembre 1989 n. 379; n. 9850 del 2002) ed ogni qualvolta non trovi applicazione il principio dell'automaticità delle prestazioni previdenziali fissato dall'art. 2116 cod. civ. o il lavoratore subisca pregiudizio nella realizzazione della tutela previdenziale, egli ha diritto ad essere risarcito dal datore di lavoro ai sensi del disposto dell'art. 2116, secondo comma, cod. civ.;

b) in particolare, si è affermato che l'azione a tutela della posizione previdenziale possa avere ad oggetto la condanna del datore di lavoro al pagamento della contribuzione non prescritta ma in tal caso va chiamato necessariamente in giudizio anche l'Ente previdenziale in quanto unico legittimato attivo nell'obbligazione contributiva (Cass. n. 19398 del 2014);

c) diversamente, in caso di prescrizione del credito contributivo, si giustifica l'azione risarcitoria una volta che si siano realizzati i requisiti per l'accesso alla prestazione previdenziale poiché tale situazione determina l'attualizzarsi per il lavoratore del danno patrimoniale risarcibile, consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti spettante (Cass. n. 3790 del 1988; n. 27660 del 2018);

d) all'interno delle tutele comunque risarcitone derivanti dalle omesse od irregolari contribuzioni previdenziali si inserisce la previsione della facoltà riconosciuta al datore di lavoro di costituire una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione che spetterebbe riguardo ai contributi omessi ai sensi dell’art. 13, coma 1, I. n. 1338 del 1962, nonché l'azione del lavoratore tesa ad ottenere lo stesso trattamento dal datore di lavoro inadempiente, soggetta al termine ordinario di prescrizione, decorrente dalla data di prescrizione del credito contributivo dell'INPS, senza che rilevi la conoscenza o meno, da parte del lavoratore, della omissione contributiva ( Cass. SS.UU. n. 21302 del 2017);

e) quanto, poi, alla specifica questione della individuazione degli atti idonei ad interrompere il decorso del termine prescrizionale del credito contributivo, in coerenza con la struttura bilaterale dell'obbligazione contributiva e con la esclusiva legittimazione attiva dell'INPS, si è affermato che in relazione al disposto di cui all'art. 55 del R.D.L. 4 ottobre 1935 n. 1827, l'effetto interruttivo della prescrizione dei contributi di assicurazione obbligatoria (il cui decorso preclude la possibilità di effettuare versamenti a regolarizzazione dei contributi arretrati) si verifica solo per effetto degli atti, indicati dall'art. 2943 cod. civ., posti in essere dall'INPS (titolare del relativo diritto di credito), e non quando anche uno di tali atti sia posto in essere dal lavoratore, come nell'ipotesi di azione giudiziaria da questi proposta nei confronti del datore di lavoro (Cass. n. 7104 del 1992);

f) peraltro, si è anche affermato che solo ove il lavoratore abbia dato comunicazione dell'omissione contributiva del datore di lavoro al competente ente previdenziale e quest'ultimo non abbia provveduto a conseguire i contributi omessi, lo stesso ente, in quanto obbligato, nell'ambito del rapporto giuridico con l'interessato (anche ex art. 1175 e 1176 cod. civ.), alla diligente riscossione di un credito che, ancorché proprio, vale a soddisfare il diritto costituzionalmente protetto del lavoratore, è tenuto a provvedere alla regolarizzazione della posizione assicurativa del lavoratore medesimo, ove a quest'ultimo sia precluso di ricorrere alla costituzione della rendita ex art. 13 legge n. 1338 del 1962 o all'azione di risarcimento danni ex art. 2116 cod. civ. (Cass. n. 7459 del 2002) e ciò in quanto ove il lavoratore non si sia attivato per ottenere l'adempimento nei confronti del soggetto obbligato, non è prevista, dalle disposizioni normative in materia, la regolarizzazione della posizione assicurativa, restando affidata la tutela del lavoratore alla procedura di costituzione della rendita vitalizia, qualora ne ricorrano gli specifici presupposti (Cass. n. 6569 del 2010);

dunque, quanto ai contributi relativi al periodo compreso tra il primo marzo 1988 ed il mese di novembre 1999, in assenza di validi atti interruttivi provenienti dall’INPS o di atti del lavoratore espressamente indirizzati allo stesso Istituto antecedenti al ricorso introduttivo del presente processo, la sentenza impugnata ha correttamente confermato il rigetto della domanda; quanto, poi, all'ulteriore effetto, relativo al permanere dell'obbligo contributivo sino alla data della pronuncia richiesta con il ricorso dell'11 agosto 2010, che ad avviso della ricorrente deriva dal giudicato formatosi con la sentenza n. 623 del 1999 del Tribunale di Ancona, va osservato che correttamente la Corte territoriale ha condiviso il giudizio del primo giudice secondo cui era emerso dagli atti che l'obbligo retributivo relativo al rapporto di lavoro in oggetto era venuto meno per il periodo successivo al 5 novembre 1999; questa Corte di cassazione, infatti, con la sentenza n. 16597 del 2009 intercorsa tra le parti ha confermato sul punto la sentenza della Corte d'appello di Ancona n. 275 del 2005 che aveva negato il diritto alle retribuzioni derivante dalla esistenza giuridica del rapporto in quanto la lavoratrice non aveva mai prestato attività lavorativa, né risultava che avesse fatto offerta della prestazione lavorativa in modo da costituire in mora il datore di lavoro in seguito all'assegnazione alla sede di Castelfidardo, espressamente richiamando il principio della effettività e della corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro;

si è In presenza, dunque, di una ipotesi in cui non sussiste l'obbligo di corrispondere la retribuzione a fronte della condotta illegittima della lavoratrice e ciò esclude la stessa configurabilità dell'obbligazione contributiva stante la natura sinallagmatica del rapporto di lavoro e la corrispettività delle prestazioni (vd. Cass. n. 24109 del 2018; n. 2012 del 7473, n. 6155 del 2004);

si è infatti riconosciuto che in mancanza di obbligo retributivo per assenza di prestazione non è configurabile credito contributivo in quanto la retribuzione "è collegata alla prestazione effettiva del lavoro, non soltanto ai fini della sua commisurazione (ai sensi dell'art. 36 Cost.), ma anche per la stessa configurazione del relativo diritto, il quale non sorge ex se in ragione della esistenza e del protrarsi del rapporto, ma presuppone - per la natura sinallagmatica del contratto di lavoro - la corrispettività delle prestazioni";

a diversa opinione, infine, non può indurre neanche la circostanza che tra le parti si era formato un giudicato relativo alla costituzione del rapporto di lavoro giacché la scelta della lavoratrice di astenersi ingiustificatamente dall'attività lavorativa ha modificato radicalmente la situazione esistente al tempo dell'accertamento passato in giudicato;

dunque, la modifica in oggetto determina un limite all'operatività del principio secondo cui, quanto ai rapporti giuridici di durata ed alle obbligazioni periodiche che ne scaturiscono, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l'autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale pertanto esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, essendosi realizzata una sopravvenienza, di fatto e di diritto, che ha mutato il contenuto materiale del rapporto e ne ha modificato il regolamento (Cass. n. 15493 del 2015; n. 11360 del 2010);

il ricorso va, dunque, rigettato;

le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo in favore di ciascuno dei controricorrenti;

sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo previsto a titolo di contributo unificato.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore di ciascun contro ricorrente in euro 2500,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.