Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 gennaio 2019, n. 1131

Tributi - Imposta sulle successioni e donazioni - Trasferimenti a causa di morte o per donazione - Riscossione

 

Ritenuto

 

che la Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, la Regione Umbria, il Comune di Perugia e la locale Camera di Commercio, costituirono, con atto notarile, l'Umbria Trust 2005-2010 (per brevità, Trust), con provvista di danaro fornito dalla predetta Fondazione, assegnandogli lo scopo di provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria, alla riqualificazione ed allo sviluppo dell'aeroporto umbro di S. E. nel quinquennio 2005-2010, prevedendo altresì che eventuali beni residui sarebbero stati devoluti, alla cessazione del trust, alla Regione Umbria o ad altra società pubblica o ente pubblico regionale individuato dai disponenti;

che, appunto, sulle somme via via ricevute come apporti monetari da uno dei disponesti, segnatamente, la Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, il Trust pagò l'imposta sulle donazioni, nella misura massima dell'8%, della quale ha successivamente richiesto il rimborso, con istanza del 16/9/2009, impugnando il silenzio-rifiuto opposto dall'Amministrazione finanziaria;

che la Commissione tributaria provinciale di Perugia ha accolto il ricorso, con decisione confermata dalla Commissione tributaria regionale dell'Umbria, la quale ha respinto l’appello erariale osservando che "l'imposta di donazione non deve colpire l'atto giuridico, ma solo ed esclusivamente l'arricchimento del soggetto che riceve un bene o denaro dal donante", che "non tutte le disposizioni che creano vincoli dei destinazione sono da considerare donazioni", che quindi "non possono scontare l'imposta (...) quei vincoli che non hanno una effettiva donazione riconosciuta come tale dal diritto civile", e che nella specie "non si configura donazione, ma semplice conferimento (partita di giro, volgarmente parlando) finalizzato ad uno scopo ben preciso - incremento e valorizzazione dell'aeroporto di Perugia -, con obbligo di versamento del residuo alla regione o ad altro ente pubblico", per cui "non ci sono i presupposti per l'applicazione dell'imposta";

che l'Agenzia delle Entrate ricorre per ottenere la cassazione della sentenza, affidando il ricorso ad un unico motivo, al quale il Trust resiste con controricorso e memoria;

 

Considerato

 

che l'Agenzia delle Entrate deduce, ex art. 360 c.p.c., comma primo, n. 3, violazione e falsa applicazione dell'art. 2, comma 47, d.l. n. 262 del 2006, perché la CTR, nel ritenere assoggettabile ad imposta solo il c.d. trust liberale, ha trascurato di considerare che, sulla base della disciplina fiscale vigente, la costituzione di vincoli di destinazione su beni e diritti è soggetta alla imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale, ove ciò avvenga per testamento o per atto inter vivos, mentre è irrilevante, ai fini qui considerati, l'insussistenza dell'animus donandi della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, e del correlato arricchimento del Trust, profili propri degli atti di liberalità, essendo di per sé sufficiente il vincolo di destinazione impresso ai beni e, dunque, l'effetto di segregazione delle somme apportate dal soggetto disponente per incrementare il fondo del trust, funzionale all'interesse dei beneficiari finali;

che la censura è infondata e non merita accoglimento, anche se è necessario integrare la sintetica motivazione della sentenza impugnata come meglio di seguito precisato; che il d.l. n. 262 del 2006, convertito con modifiche dalla I. n. 286 del 2006, e l'art. 1, commi 77, 78 e 79, della I. n. 296 del 2006 (Legge finanziaria per il 2007), hanno, com'è noto, reintrodotto nell'ordinamento l'imposta sulle successioni e donazioni che, fino alla sua abrogazione ad opera dell'art. 13, della I. n. 383 del 2001, era disciplinata dal d.lgs. n. 346 del 1990;

che in forza dell'art. 2, comma 47, d.l. n. 262 del 2006, "è istituita l'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001", disciplina quest'ultima che trova applicazione (art. 2, comma 50), in quanto compatibile con le nuove disposizioni;

che, con riferimento alla tassazione dei vincoli di destinazione e segnatamente dei trust, la reintrodotta disciplina della imposta sulle successioni e donazioni pone una serie di problemi interpretativi poiché, a differenza di quanto originariamente previsto dal citato decreto, il quale si riferiva unicamente alle successioni e donazioni, la novella legislativa ha esteso il presupposto impositivo, sottoponendoli a tassazione, ai trasferimenti a titolo gratuito, nonché alla costituzione dei vincoli di destinazione; che, come emerge dalla lettera della norma in esame, l'imposizione si riferisce agli atti "a titolo gratuito", e non più solo alle "liberalità" di cui all'art. 1, d.lgs. n. 346 del 1990, cosa che consente di argomentare che il presupposto del tributo vada ravvisato, più che nell 'animus donandi, nell'accrescimento patrimoniale (effettivo) del beneficiario, ottenuto senza alcuna contropartita;

che, dunque, accanto ai trasferimenti a causa di morte o per donazione (già presenti nell'art. 1 del d.lgs. n. 346 del 1990 e della cui idoneità a procurare un incremento del patrimonio dell'erede o del donatario non si è mai dubitato), l'imposta comprende il trasferimento di beni e diritti a titolo gratuito, nonché la costituzione di vincoli di destinazione, fattispecie queste ultime senz'altro distinte, la prima delle quali individua comunque attribuzioni patrimoniali, che si risolvono cioè in un incremento della sfera economica del soggetto che acquista il bene o diritto, ancorché non accompagnate da un intento liberale, mentre la seconda, che qui interessa più da presso, ad avviso dell'Agenzia delle Entrate, integrerebbe immediatamente il presupposto impositivo, in quanto l'effetto segregativo, tipico degli atti costitutivi di vincoli di destinazione e funzionale al (successivo) trasferimento dei beni vincolati a favore di soggetti diversi dal disponente, sarebbe di per sé espressione di capacità contributiva, "ancorché non determini (o non determini ancora) alcun vantaggio economico diretto per qualcuno", ed a maggior ragione alcun trasferimento;

che, invero, nell'ambito concettuale dei "vincoli di destinazione" devono essere ricondotti non solo gli "atti di destinazione" di cui all'art. 2645-ter c.c., ma qualunque fattispecie prevista dall'ordinamento tesa alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo, ed in tal senso si è espressa anche l'Amministrazione finanziaria (cfr. Circolare 3/E del 22 gennaio 2008), secondo la quale per vincoli di destinazione si intendono "i negozi giuridici mediante i quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni medesimi";

che non in discussione il fatto che il trust di cui all'atto pubblico del 29/12/2005 avesse lo scopo di sostenere finanziariamente le attività dell'aeroporto umbro, essendo le risorse economiche acquisite nel periodo di durata destinate al raggiungimento delle finalità (manutenzione, riqualificazione e sviluppo dell'infrastruttura) previste dai costituenti, salva la devoluzione degli eventuali beni residui, al termine del trust, ai soggetti pubblici individuati dai disponevi medesimi e in primis alla Regione Umbria;

che, infatti, secondo l'art. 4 dell'atto costitutivo del Trust (il cui testo è trascritto nel ricorso per cassazione), "i Trustee potranno incrementare il patrimonio con elargizioni, erogazioni o finanziamenti da parte dei disponesti o soggetti terzi, diretti a perseguire lo scopo del trust o alla realizzazione dei progetti presentati";

che neppure è contestato il fatto che il trasferimento di beni o diritti fosse a titolo gratuito, non essendovi previsione di alcun corrispettivo, e che il soggetto disponente certamente non intendesse arricchire il trustee, volendo piuttosto che quest'ultimo gestisse, in favore dei beneficiari, le somme di denaro apportate al fondo, segregandole per la realizzazione dello scopo indicato nell'atto istitutivo del trust, in modo tale che i mezzi finanziari raccolti non potessero essere distolti dalle specifiche finalità di quest'ultimo;

che, peraltro, anche nel caso in cui il trastee sia "interessato" all'operazione che ha originato il trust, si tratta comunque di mezzi finanziari, quelli oggetto degli atti di dotazione compiuti dal disponente, destinati a non entrare (definitivamente) nel patrimonio personale del trutee, quindi non "suoi", così come, più in generale, la intestazione formale dei beni al trustee, fino allo scioglimento del trust, si deve ritenere misura soltanto strumentale e temporanea;

che, pertanto, la tesi dell'immediata tassazione del trust all'atto della segregazione di beni e diritti, senza dover attendere il successivo trasferimento di essi in favore di soggetti beneficiari diversi dall'autore del vincolo funzionale, riposa sull'asserito rilievo impositivo che sarebbe stato attribuito dal legislatore al vincolo di destinazione, per questi ultimi, con conseguente obbligo di corrispondere l'imposta sulle successioni e donazioni, in misura proporzionale, già al momento della segregazione del patrimonio destinato;

che in tal senso si è espressa questa Corte, con le ordinanze gemelle n. 3737/2015 e n. 5322/2015, in controversie riguardanti le medesime parti in causa, osservando che "L'imposta sulla costituzione di vincolo di destinazione è un'imposta nuova, accomunata solo per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali, altrimenti gratuite e successorie; essa riceve disciplina mediante un rinvio, di natura recettizio - materiale, alle disposizioni del decreto legislativo 346/90, ma conserva connotati peculiari e disomogenei rispetto a quelli dell'imposta classica sulle successioni e sulle donazioni. Ciò in quanto nell'imposta in esame, a differenza che in quella tradizionale, il presupposto impositivo è correlato alla predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti; là dove l'oggetto consiste nel valore dell'utilità della quale il disponente, stabilendo che sia sottratta all'ordinario esercizio delle proprie facoltà proprietarie, finisce con l'impoverirsi. Se questa imposta abbisognasse del trasferimento e, quindi, dell'arricchimento, essa sarebbe del tutto superflua, risultando sufficiente quella classica sulle successioni e sulle donazioni, nelle quali il presupposto d'imposta è, giustappunto, il trasferimento, quantunque condizionato o a termine, dell'utilità economica ad un beneficiario, con riguardo all'imposta in esame, non rileva affatto la mancanza di arricchimento, giacché il contenuto patrimoniale referente di capacità contributiva è ragguagliato all'utilità economica, della quale il costituente, destinando, dispone Ciò posto, il legislatore, evocando soltanto l'effetto, ha inequivocabilmente attratto nell'area applicativa della norma tutti i regolamenti capaci di produrlo. Tra questi, vanno annoverati anche gli atti di destinazione contemplati dall'art. 2645-ter cod.civ. In relazione all'aliquota applicabile, la misura dell'8% prevista dalla lettera c) del comma 49 della medesima norma, è imposta dalla sua natura residuale, non rientrando la figura del conferente, che seguita ad essere proprietario dei beni, in alcuna delle altre categorie previste dalla norma, che godono di aliquota inferiore" (nello stesso senso, Cass. n. 3735/2015, n. 3886/2015, e n. 4482/2016, quest'ultima reca il seguente principio di diritto: "La costituzione di un vincolo di destinazione su beni (nel caso di specie attraverso l'istituzione di un trust), costituisce - di per sé ed anche quando non sia individuabile uno specifico beneficiario - autonomo presupposto impositivo in forza dell' art. 2, comma 47, I. 286/2006, che assoggetta tali atti, in mancanza di disposizioni di segno contrario, ad un onere fiscale parametrato sui criteri di cui alla imposta sulle successioni e donazioni.)";

che siffatto ordine di argomenti appartiene ad un orientamento giurisprudenziale formatosi in un limitato arco temporale, che non si è consolidato, il quale, discostandosi da quanto costantemente ritenuto dalla Corte (n. 25478/2015, n. 25479/2015, n. 25480/2015, n. 21614/2016) nella vigenza del vecchio regime normativo, e svalutando la natura causale unitaria dell'istituto, riconosce due fattispecie distinte ed autonome (la costituzione del vincolo di destinazione e il trasferimento dal fondo in trust verso i beneficiari), accomunate esclusivamente dal rinvio materiale al d.lgs. n. 346 del 1990, ed individua il "nuovo" presupposto impositivo, correlato alla mera "predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti" con l'istituzione del trust, nel "valore dell'utilità della quale il disponente, stabilendo che sia sottratta all'ordinario esercizio delle proprie facoltà proprietarie, finisce con l'impoverirsi", così differenziandolo da quello tradizionalmente considerato nelle successioni e donazioni; che il trasferimento di beni e diritti (e, quindi, all'arricchimento) viene ad assumere, nel meccanismo impositivo, un rilievo del tutto secondario, appartenendo piuttosto "all'esecuzione del programma di destinazione che, per conseguenza, non rileva ai fini dell'individuazione del momento del prelievo tributario sulla costituzione del vincolo, ma dopo, anche ai fini della eventuale riliquidazione delle aliquote e delle franchigie"; che siffatto approccio interpretativo appare segnato dalla - palesata - preoccupazione che, ricollegando "la tassazione alla identificazione di un qualche "utile" o "vantaggio" percepito da un soggetto", e quindi (...) alla acquisizione dei beni da parte di un soggetto legittimato ad utilizzarli a proprio esclusivo vantaggio", si finirebbe per rinviare sine die l'assolvimento dell'onere tributario, ben potendo il trust avere durata temporale assai lunga e conseguentemente essere incerto il momento del trasferimento finale al beneficiario, o si finirebbe addirittura per escluderlo, "ove questo vantaggio non derivi dal negozio costitutivo del vincolo", ben potendo il patrimonio gestito dal trustee subire medio tempore modificazioni sostanziali significative (cfr. Cass. n. 4482/2016);

che, inoltre, una delle ordinanze (Cass. n. 4482/2015) riferisce di una sostanziale "visione di sfavore nei confronti dei vincoli negoziali di destinazione, scoraggiati attraverso la leva fiscale" che non sembra trovare riscontro nei lavori preparatori dell'intervento normativo del 2006, laddove deve viceversa registrarsi un crescente interesse del legislatore verso l'istituto in questione, reputato meritevole di essere agevolato fiscalmente quando il trust è costituito in favore di determinate categorie di soggetti, come è contemplato nella I. n. 112 del 2016 (c.d. legge su "dopo di noi"); che, per quanto possa occorrere, nelle difese erariali non risulta affatto prospettato, con riferimento al caso di specie, un impiego fiscalmente elusivo dello strumento trust;

che al ridetto orientamento se ne contrappone altro (Cass. n. 21614/2016, n. 975/2018, n. 13626/2018, n. 15469/2018), secondo cui non è convincente l'interpretazione letterale dell'art. 2, comma 47 ss., d.l. n. 262 cit., adottata a sostegno della tesi - qui riproposta dalla Agenzia ricorrente - della istituzione di un'autonoma fattispecie impositiva "sulla costituzione dei vincoli di destinazione", disciplinata, mercé rinvio, dalle regole contenute nel d.lgs. n. 346 citato, avente come presupposto la mera costituzione del vincolo, indipendentemente dalla natura traslativa o meno di esso, stante il rilievo intrinsecamente patrimoniale dell'atto di destinazione, di per sé espressivo di capacità contributiva, che produce una sorta di "anticipazione" del prelievo al momento della separazione/segregazione dei beni, rispetto a quello dell'arricchimento (futuro) del beneficiario dei vincoli; che questa Corte, con la sentenza n. 21614/2016, ha in particolare sottolineato che "l'unica imposta espressamente istituita è stata la reintrodotta imposta sulle successioni e sulle donazioni alla quale per ulteriore espressa disposizione debbono andare anche assoggettati i "vincoli di destinazione", con la conseguenza che il presupposto dell'imposta rimane quello stabilito dall'art. 1 d.lgs. n. 346 cit. del reale trasferimento di beni o diritti e quindi del reale arricchimento dei beneficiari. (...) Quella che emerge dal decreto legge n. 262 cit., articolo 2, comma 47 e ss., è la preoccupazione del legislatore (nei termini di intenzione del legislatore di cui all'articolo 12, comma 1, prel.) di evitare che un'interpretazione restrittiva della istituita nuova legge sulle successioni e donazioni disciplinata mediante richiamo al già abrogato decreto legislativo n. 346 cit. potesse dar luogo a nessuna imposizione anche in caso di reale trasferimento di beni e diritti ai beneficiari quando lo stesso fosse stato collocato all'interno di una fattispecie di "recente" introduzione come quella dei "vincoli di destinazione" e quindi non presa in diretta considerazione dal ridetto "vecchio" decreto legislativo n. 346 cit." (nello stesso senso, Cass. n. 975/2018 e n. 13626/2018);

che ritiene il Collegio di dover dare continuità al più recente orientamento il quale, come sopra riferito, mediante una lettura costituzionalmente orientata della normativa in esame (artt. 53 e 23 Cost.), attribuisce giusto rilievo al fatto che l'imposta prevista dal d.lgs. n. 346 del 1990 non può che essere posta in relazione con "un'idonea capacità contributiva", che il conferimento di beni e diritti in trust non integra di per sé un trasferimento imponibile e, quindi, rappresenta un atto generalmente neutro, che non dà luogo ad un trapasso di ricchezza suscettibile di imposizione indiretta, per cui si deve fare riferimento non già alla - indeterminata - nozione di "utilità economica, della quale il costituente, destinando, dispone" (Cass. n. 3886/2015), ma a quella di effettivo incremento patrimoniale del beneficiario;

che, infatti, la novellata struttura del tributo de quo mantiene intatta una disciplina unitaria delle pur distinte ipotesi impositive, le quali ruotano tutte intorno all'unico indice di capacità contributiva dato dall'attualità ed effettività dell'incremento patrimoniale, da valutarsi sempre nella prospettiva causale unitaria dell'istituto civilistico del trust, mediante la individuazione puntuale del momento e del soggetto che manifesta la capacità contributiva, perché l'arricchimento non può dirsi attuale sino a quando il programma del trust non abbia avuto esecuzione; che, del resto, la possibilità di costituzione di vincoli di destinazione con, e senza, effetto traslativo, è generalmente ammessa sia in dottrina, che in giurisprudenza (da ultimo, Cass. n. 13626/2018), ed anche nella situazione presa in considerazione dall'art. 2, comma 47, d.l. n. 262 del 2006, come presupposto dell'imposta, se pur in senso oggettivo, rivela necessariamente la capacità contributiva del soggetto passivo, cioè la sua possibilità economica di contribuire alla spese pubblica, perché se è vero che l'art. 53 Cost. non contiene un elenco degli indici di capacità contributiva, esso comunque richiede l'esistenza di un collegamento del presupposto d'imposta con fatti e situazioni espressivi di potenzialità economica;

che, alla luce delle considerazioni che precedono, un'indiscriminata imponibilità degli atti costitutivi di vincoli di destinazione non appare espressione di una ragionevole discrezionalità, non arbitrio (Corte Cost. n. 4/1954 e n. 83/2015), del legislatore, per cui la interpretazione normativa sollecitata dalla odierna ricorrente risulta non percorribile, perché se per ritenere integrato il presupposto d'imposta occorre riferirsi soltanto al perfezionamento del negozio costitutivo del vincolo, non è comprensibile la collocazione sistematica della "nuova" imposta accanto alle imposte sui trasferimenti di beni e diritti mortis causa o con animus donandi ed ora anche a titolo gratuito, e perché, se è vero che il diritto tributario è qualificante, in quanto adegua alle proprie esigenze le fattispecie normative appartenenti ad altro ramo dell'ordinamento giuridico, tuttavia, il principio dell'unità del diritto impone comunque la non alterazione della struttura sostanziale delle fattispecie normative considerate; che, in conclusione, la consapevolezza del legislatore delle problematicità insite nel sottoporre a tassazione uno strumento negoziale tipologicamente assai variegato, quale appunto è il trust, segna inevitabilmente i limiti dell'intervento novellatore, che non si confronta con la complessità del fenomeno governato, per cui non si può trarre dallo scarno disposto dell'art. 2, comma 47, d.l. n. 262 del 2006, il fondamento normativo di un'autonoma imposta, intesa a colpire ex se la costituzione dei vincoli di destinazione, indipendentemente da qualsivoglia evento traslativo - in senso proprio - di beni e diritti, pena il già segnalato deficit di costituzionalità della novella così letta (Cass. n. 21614/2016);

che, in relazione agli atti di dotazione del fondo oggetto di causa ("vedi elenco fatto nel ricorso alla commissione provinciale"), il giudice di appello ha accertato la non ricorrenza della donazione ("con animus donandi e arricchimento da parte del trust"), e la decisione, non impugnata in punto di motivazione, pur facendo leva soprattutto sull'assenza dell'intento liberale del disponente, e del correlato arricchimento di un soggetto diverso da quest'ultimo, non potendosi attribuire rilievo fiscale al mero impoverimento del disponente, ha correttamente escluso che la costituzione del vincolo di destinazione sulle somme di denaro conferite in trust avesse prodotto un effetto traslativo immediato, solo in tal caso giustificandosi la soggezione dell'atto dotativo all'imposta sulle successioni e donazioni, in misura proporzionale, in quanto sicuro indice della capacità economica del soggetto beneficiato;

che l'intrinseca difficoltà della sottostante questione interpretativa, e la mancanza di precedenti univoci della Corte, giustificano la integrale compensazione delle spese processuali;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.