Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 dicembre 2018, n. 31409

Tributi - Imposta di registro - Fallimento - Ammissione al passivo - Credito - Domanda

 

Fatti di causa

 

La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 400/01/10, depositata il 3/8/2010, accoglieva, con compensazione delle spese di lite, l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate, avverso la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che aveva accolto il ricorso proposto dalla B.N.L., oggi B.N.P. PARIBAS S.A. (di seguito per brevità Banca), avverso l'avviso di liquidazione della maggiore imposta di registro dovuta in relazione alla sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma, Sezione Fallimentare, nel giudizio di opposizione instaurato dalla contribuente avverso il rigetto della domanda di ammissione allo stato passivo del Fallimento I. s.r.I., con la quale, in parziale accoglimento della pretesa azionata nei confronti della massa, veniva ammesso al concorso il credito di £. 2.670.519.735.

Secondo la CTR la sentenza in questione, soggetta a registrazione, rientra nella previsione della lett. c), dell'art. 8, Tariffa, Parte Prima, Allegato A, al d.P.R. n. 131 del 1986, stante la natura accertativa della pronuncia, e la inutilità dell'indagine sulla natura del credito ammesso allo stato passivo fallimentare, dal momento che seppure inerisse ad operazione "soggetta" ad Iva, ma "esente" secondo il disposto dell'art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986 (T.U. sul Registro), comunque, non troverebbe applicazione la tariffa agevolata, poiché essa è governata dal principio di alternatività, operante nei soli casi di cui alla lett. b) dell'art. 8 sopra citato, e cioè di provvedimenti recanti una condanna al pagamento di somme o valori o altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura;

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Banca, con tre motivi di ricorso, illustrati con memoria, cui resiste l'intimata Agenzia delle Entrate con controricorso;

 

Ragioni della decisione

 

La ricorrente con il primo mezzo d'impugnazione deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell'art. 8 della Tariffa, Parte Prima, allegato A, d.P.R. n. 131 del 1986, e dell'art. 40 del medesimo d.P.R., giacché la CTR ha escluso che le sentenze che statuiscono sulle opposizioni allo stato passivo, ai sensi degli artt. 98 ss.gg. della Legge Fallimentare, sono equivalenti ad una condanna del Fallimento al pagamento dell'ammontare del credito ammesso al concorso, e conclude con il quesito di diritto (ancorché non più necessario per effetto dell'abrogazione dell'art. 366 bis c.p.c. ad opera dell'art. 47, comma c.1, lett. d), della L. n. 69 del 2009), con cui si chiede che la Corte stabilisca "se, in un caso in cui - come quello di specie - una sentenza di un giudice civile si pronunci in merito all'opposizione allo stato passivo presentata ai sensi dell'art. 98 della Legge Fallimentare da un creditore della società dichiarata fallita, ammettendo a tale passivo il credito vantato da una Banca in relazione ad operazioni di finanziamento regolate in conto corrente, violi l'art. 8 della Tariffa, allegata al d.P.R. n. 131, e l'art. 40 del medesimo d.P.R., la sentenza della CTR che assoggetti ad imposta di registro proporzionale la suddetta pronuncia, ancorché riguardante crediti relativi a prestazioni di servizi assoggettate ad Ia, anziché tassarla ad imposta fissa di registro, ai sensi del combinato disposto degli artt. 40 del d.P.R. n. 131, 8 e nota II all'art. 8 della Tariffa, Parte Prima, allegata al medesimo d.P.R., in quanto equivalente ad una sentenza di condanna al pagamento di somme o valori in capo al fallimento relativamente a prestazioni di servizi assoggettate ad Iva".

Con il secondo mezzo deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, in relazione all'art. 62, D.Lgs. n. 546 del 1992, violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 40, D.Lgs. n. 131 del 1986 e della nota n. H a tale articolo, giacché la CTR non ha considerato che la sentenza del Tribunale di Roma costituisce un atto relativo ad un'operazione di finanziamento assoggettata ad Iva, tale essendo l'origine del credito ammesso al Fallimento I. s.r.I., e conclude con il quesito di diritto con cui si chiede che la Corte stabilisca "se in un caso in cui come quello di specie - una sentenza di un giudice civile si pronunci in merito all'opposizione allo stato passivo presentata ai sensi dell'art. 98 della Legge Fallimentare da un creditore della società dichiarata fallita, violi l'art. 40 del d.P.R. n. 131 la sentenza della CTR che assoggetti ad imposta di registro proporzionale la suddetta pronuncia ancorché riguardante crediti relativi a prestazioni di servizi assoggettate ad Iva, falsamente applicando l'art. 8 della Tariffa, Parte Prima, allegata al richiamato d.P.R. n. 131, e la nota II di tale articolo, anziché assoggettarla ad imposta fissa di registro, ai sensi del principio stabilito dall'art. 40 del d.P.R. n. 131, in quanto applicabile a tutti i provvedimenti giurisdizionali previsti dall'art. 8 della Tariffa allegata al predetto d.P.R.".

Con il terzo mezzo deduce, in via subordinata, la illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986, 8 della Tariffa ivi allegata e della nota II a tale articolo, nella parte in cui esclude dal principio di alternatività le sentenze di mero accertamento rispetto agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione, giacché la mancata applicazione di detto principio di alternatività è lesivo del principio di capacità contributiva, nonché dei criteri di delega previsti dall'art. 7, L. n. 825 del 1971, con cui il legislatore aveva imposto al Governo, legislatore delegato, di provvedere alla applicazione in misura fissa dell'imposta di registro su tutti gli atti ed i provvedimenti dipendenti, o inerenti, da prestazioni di servizi soggette ad Iva.

Il terzo motivo di ricorso, da scrutinare prioritariamente per ragioni logiche, è fondato e merita accoglimento, con conseguente assorbimento dei primi due motivi.

La questione posta dalla contribuente è stata risolta dal giudice di appello nel solco dell'orientamento giurisprudenziale di questa Corte, in tema di imposta di registro, secondo cui la sentenza che, a seguito di giudizio di opposizione, ammette al passivo di un fallimento un credito in precedenza escluso, deve essere assoggettata alla imposta proporzionale di registro dell'uno per cento, prevista dall'art. 8, lett. c), della Tariffa, Parte Prima, Allegato A) al d.P.R. n. 131 del 1986, in quanto si tratta di pronuncia emessa in esito ad un giudizio contenzioso di cognizione, che contiene l'accertamento, nei confronti della procedura fallimentare, dell'esistenza e dell'efficacia del credito, con l'effetto di consentire al contribuente la partecipazione al concorso, con possibile soddisfazione in sede di riparto; ciò perché l'applicazione dell'imposta di registro in misura fissa alle sentenze con cui viene disposto il pagamento di corrispettivi, ovvero di prestazioni soggette ad IVA, opera soltanto in relazione agli specifici atti indicati nella nota II, in calce all'art. 8, Parte Prima, della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, con conseguente applicazione dell'imposta in misura proporzionale alle sentenze di mero accertamento e, per quanto qui d'interesse, a quelle con cui il credito viene ammesso al passivo della procedura concorsuale (Cass. n. 4748/2006; n. 6125/2011; n. 14816/2011, relativamente alla liquidazione coatta amministrativa).

Con la sentenza n. 177/2017, pronunciata nella more del presente giudizio, la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 8, comma 1, lettera c), della Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, nella parte in cui assoggetta all'imposta di registro proporzionale, anziché in misura fissa, anche le pronunce che definiscono i giudizi di opposizione allo stato passivo del fallimento con l'accertamento di crediti derivanti da operazioni soggette  all'imposta sul valore aggiunto.

Applicando la propria giurisprudenza in materia di disposizioni che prevedono agevolazioni fiscali, aventi carattere eccezionale e derogatorio, e di limiti in cui il giudice delle leggi può estenderne l'ambito di applicazione, la Corte Costituzionale ha rilevato, riguardo alle pronunce di accertamento dei crediti che definiscono il giudizio di opposizione allo stato passivo, la sussistenza della medesima ragione di evitare la concorrente applicazione dell'Iva e dell'imposta di registro, atteso che, nei predetti giudizi, il creditore escluso non potrebbe agire per ottenere la condanna del fallimento, ostandovi le regole del concorso, che consentono solo l'azione di accertamento endofallimentare, con la quale il creditore chiede di concorrere nella ripartizione dell'attivo per conseguire il soddisfacimento del suo credito, sia pure in "moneta fallimentare", e ne ha fatto discendere l'irragionevolezza del trattamento differenziato tra pronunce di accertamento e pronunce di condanna, qualora l'accertamento del credito soggetto a Iva sia, come appunto nel caso dell'accoglimento dell'opposizione allo stato passivo, il presupposto necessario e sufficiente della partecipazione del creditore all'esecuzione collettiva, che è strumentale al pagamento del credito medesimo.

Nella fattispecie in esame, la sentenza del Tribunale di Roma, soggetta a registrazione, rientra nella previsione della lett. c) sopra menzionata, in quanto costituisce una pronuncia, in esito ad un giudizio contenzioso di cognizione (art. 98, L. F. ante riforma), che contiene l'accertamento, nei confronti della procedura concorsuale, del credito vantato dalla Banca, e che consente la partecipazione di quest'ultima alla ripartizione dell'attivo fallimentare, caratteristiche che, secondo il ricordato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, segnano la differenza tra tale sentenza rispetto agli atti giudiziari indicati nell'art. 8, lett. b) della Tariffa, i quali, contenendo una statuizione di condanna, sono suscettibili di esecuzione forzata, preclusa, invece, nella procedura concorsuale (art. 51 L.F.). Alla luce della pronuncia d'illegittimità costituzionale dell'art. 8, comma 1, lettera c), della Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, "nella parte in cui assoggetta all'imposta di registro proporzionale, anziché in misura fissa, anche le pronunce che definiscono i giudizi di opposizione allo stato passivo del fallimento con l'accertamento di crediti derivanti da operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto", la interpretazione seguita dalla CTR non è più consentita, e la sentenza impugnata si appalesa censurabile perché esclude la rilevanza dell'indagine circa la natura del credito ammesso al passivo del Fallimento I. s.r.l. sul rilievo - erroneo - che la tariffa agevolata non potrebbe, comunque, trovare applicazione, operando il principio di alternatività con l'Iva, di cui al d.P.R. n. 131  del 1986, art. 40, nei soli casi indicati all'art. 8, lett. b) della tariffa, disposizione per il suo contenuto agevolativo di stretta interpretazione, e non suscettibile di applicazione al di fuori delle ipotesi in essa contemplate.

La sentenza del giudice di appello va, conseguentemente, cassata, non essendo contestato che la sentenza del Tribunale di Roma costituisce un atto relativo ad un'operazione di finanziamento assoggettata ad Iva, tale essendo l'origine del credito ammesso al Fallimento I. s.r.I., e poiché la causa non necessita di ulteriori accertamenti in fatto, può essere decisa con l'accoglimento dell'originario ricorso della contribuente.

La compensazione delle spese processuali dell'intero giudizio va disposta in ragione della sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della norma in base alla quale, secondo una interpretazione giurisprudenziale uniforme e costante nel tempo, è stato pronunciata la sentenza impugnata, meritevole di caducazione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i primi due, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso originario della contribuente. Compensa le spese dell'intero giudizio.