Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 dicembre 2018, n. 31340

Licenziamento nel periodo di astensione obbligatoria per maternità - Divieto - Deroga - Perdita dell’appalto - Impossibilità di repechage

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d'appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 118 pubblicata il 6.9.16, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato nullo il licenziamento intimato da O.S.L. soc. coop. a.r.l. alla sig.ra F. in violazione del divieto di cui all'art. 54, comma 5, D.Lgs. n. 151 del 2001, e disposto la reintegra e, in parziale accoglimento dell'appello proposto dalla società, ha riformato la pronuncia del Tribunale nella parte in cui aveva accolto la domanda della lavoratrice di risarcimento del danno alla salute e non patrimoniale.

2. La Corte territoriale ha ritenuto corretta la qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato a tempo indeterminato in base alla intestazione in tal senso del contratto di assunzione, ai riferimenti contenuti nella lettera di licenziamento e nella ricevuta di comunicazione obbligatoria da parte datoriale agli uffici competenti; ha considerato irrilevante il subentro della O.S.L. nell'appalto di pulizie presso il comune di L. prima gestito da altra società alle cui dipendenze la F. lavorava a tempo determinato, data l'assenza di qualsiasi riferimento nel contratto di assunzione al precedente appalto e considerato che la predetta non era addetta unicamente ai lavori presso il comune di L..

3. Ha confermato la nullità, ai sensi dell'art. 54, comma 5, D.Lgs. n. 151 del 2001, del licenziamento intimato alla lavoratrice nel periodo di astensione obbligatoria per maternità ed escluso che fossero integrate ipotesi di deroga al divieto di licenziamento, costituenti fattispecie di stretta interpretazione.

4. Ha riformato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto, peraltro con duplicazione di voci, il risarcimento del danno non patrimoniale e alla salute, ritenendo non dimostrato il nesso causale immediato e diretto tra la condotta datoriale e l'invalidità temporanea accertata dal c.t.u.

5. Avverso tale sentenza la società datoriale ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi (erroneamente numerati come sei motivi), cui ha resistito con controricorso la lavoratrice.

6. La O.S.L. a.r.l. ha depositato memoria, ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

1. Col primo motivo di ricorso la società ha censurato la sentenza, ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c., per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia quanto alla riconducibilità della perdita dell'appalto, intesa come cessazione dell'attività del reparto a cui è addetta la dipendente, alle ipotesi di deroga al divieto di licenziamento di cui all'art. 54, comma 3, D.Lgs. n. 151 del 2001.

2. Col secondo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza, ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c., per violazione dell'art. 3, L. n. 604 del 1966 e dell'art. 18, L. n. 300 del 1970 nonché per errata, omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere la Corte di merito escluso che fosse stata fornita la prova della soppressione del posto di lavoro e della impossibilità di repechage senza valutare la copiosa documentazione prodotta (contratti di affidamento e relative risoluzioni e riduzioni e Lui).

3. Col terzo motivo la parte ricorrente ha dedotto errata e falsa applicazione dell'art. 54, D.Lgs. n. 151 del 2001 per avere la sentenza d'appello ritenuto compresa nella deroga al divieto di licenziamento posto dalla citata previsione solo la cessazione dell'attività aziendale, e non anche la cessazione di attività del reparto a cui la lavoratrice era addetta, purché dotato di autonomia funzionale e strutturale. La Corte di merito, seguendo l'interpretazione proposta dalla società, avrebbe dovuto considerare come unità locali i singoli appalti di pulizia gestiti dalla Omnia Service e ravvisare la cessazione di tali unità a causa della perdita dell'appalto, essendo peraltro dimostrata l'impossibilità di impiego della F. presso altri affidamenti (presso la BCC e l'Ospedale di L.) in scadenza e saturi di personale.

4. Col quarto motivo la società ricorrente ha dedotto, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., omesso esame delle argomentazioni difensive quanto alla impossibilità di impiego della lavoratrice presso la biblioteca o la sede Com per essere stato il contratto sottoscritto solo per l'esecuzione dell'appalto indicato e quindi a termine.

5. Col quinto motivo (erroneamente indicato in ricorso come sesto) la ricorrente ha denunciato la violazione dell'art. 112 c.p.c. nonché il vizio logico e giuridico della sentenza.

6. Deve preliminarmente respingersi l'eccezione, sollevata dalla contro ricorrente, di inammissibilità del ricorso per cassazione per irritualità della notifica a mezzo PEC, richiamando la giurisprudenza sul punto (cfr. Cass., S.U., n. 7665 del 2016; Cass. n. 6518 del 2017; Cass. n. 3805 del 2018) che attribuisce valore dirimente al raggiungimento dello scopo, in base alla regola generale di cui all'art. 156, comma 3, c.p.c., non essendo prospettato alcun pregiudizio per il diritto di difesa.

7. Infondata è anche l'eccezione di inammissibilità del controricorso per difetto di valida procura, sollevata dalla società ricorrente nella memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c., atteso che il controricorso reca a margine una procura speciale rilasciata specificamente per il giudizio di legittimità.

8. Sulle censure mosse ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., occorre considerare che nella nuova formulazione di detto articolo, applicabile ratione temporis, è denunciabile per cassazione solo il vizio di "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti".

9. Le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014) hanno precisato come, per effetto della novella, il sindacato di legittimità sulla motivazione debba intendersi limitato al minimo costituzionale, con la conseguenza che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di qualsiasi rilievo del difetto di "sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile".

10. Secondo l'orientamento espresso dalle Sezioni Unite, e dalle successive pronunce conformi (cfr. Cass., 27325 del 2017; Cass., n. 9749 del 2016), l'omesso esame deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storicofenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo. Non solo quindi la censura non può investire argomenti o profili giuridici, ma il riferimento al fatto secondario non implica che possa denunciarsi, ai sensi dell'art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c., anche l'omesso esame di determinati elementi probatori.

11. Tali premesse portano a giudicare inammissibili le censure articolate sub specie di omessa valutazione della documentazione prodotta (secondo motivo di ricorso) o delle argomentazioni difensive (quarto motivo).

12. Inammissibili sono anche le censure di violazione dell'art. 54, D.Lgs n. 151 del 2001, oggetto del primo e del terzo motivo di ricorso, anzitutto, perché priva di adeguata specificità; il vizio di violazione e falsa applicazione di legge ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).

1.3. Occorre inoltre considerare che il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione, per l'esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma sia stata male interpretata oppure non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero sia stata applicata quando non doveva esserlo, ovvero sia stata "male" applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (ad ex.: Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007). Difatti, il processo di sussunzione, nell'ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata; al contrario del sindacato ai sensi dell'art. 360, primo comma n. 5 c.p.c., che invece postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (Cass. n. 23847 del 2017).

14. Nel caso di specie, le censure, se pure prospettate come violazione dell'art. 54, D.Lgs n. 151 del 2001, mirano in realtà ad ottenere una ricostruzione in fatto diversa da quella adottata dalla Corte d'appello, specie quanto al contenuto del contratto di lavoro, che la società pretende di interpretare come riferito al solo lavoro oggetto dell'appalto di pulizie presso il comune di L., laddove la sentenza impugnata ha espressamente statuito sul punto, con accertamento non sindacabile in questa sede, che "F.L., come le altre colleghe, non era stata assunta per lavorare solo presso il comune di L., indicato come mero - luogo predominante, ma anche presso la Biblioteca di piazza D.G. e presso la COM di Contrada Canneti".

15. Inammissibile è, infine, il quinto motivo di ricorso che non contiene alcuna censura riferibile alla motivazione della sentenza impugnata.

16. Va quindi dichiarata l'inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

17. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.