Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 ottobre 2018, n. 26198

Tributi - TIA1 - Fatture - Atto non compreso tra gli atti impugnabili ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 - Mancata impugnazione - Definitività della pretesa tributaria - Esclusione. - Applicazione dell’IVA - Illegittimità. - Smaltimento in proprio e in maniera differenziata dei rifiuti speciali non pericolosi - Onere di prova a carico del contribuente - Obbligo di preventiva denuncia e dichiarazione annuale

Fatti rilevanti e ragioni della decisione

1. AMA - Azienda Municipale Ambiente Spa propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 124/01/12 del 21 marzo 2012, con la quale la commissione tributaria regionale del Lazio, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittime le cartelle di pagamento da essa emesse - per conto del Comune di Roma - a carico della H.I. srl unip., in recupero della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani (c.d. TIA 1) di cui all'articolo 49 d.lgs.22/97 (anni 2007/2008).

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: - il ricorso introduttivo della società contribuente non fosse inammissibile per mancata impugnazione delle prodromiche fatture inviatele da AMA, perché queste ultime avevano natura di semplici bollette e non di atti impositivi; - il giudice tributario avesse giurisdizione sull'applicazione dell'Iva sulla tariffa di igiene ambientale in questione; - tale applicazione non fosse legittima, avendo la tariffa ambientale natura tributaria; - gli importi in cartella non fossero dovuti, posto che la società aveva provato di aver smaltito in proprio ed in maniera differenziata i rifiuti speciali, a nulla rilevando che tale modalità di smaltimento non fosse stata previamente comunicata ad AMA.

Resiste con controricorso H.I. srl.

AMA ha depositato memoria con eccezione di inammissibilità del controricorso avversario, perché notificato in luogo diverso dal domicilio eletto in ricorso.

2. Quest'ultima eccezione è fondata.

Il controricorso di H.I. è stato infatti da quest'ultima notificato non al domicilio eletto di AMA, in Roma, Via V.C. n.... (studio avv.L.), bensì in Roma, Via V.C. n.....

La notifica - così effettuata a mezzo di plico postale raccomandato ex art. 1 L. 53/94 - non ha dunque potuto sortire effetto alcuno, risultando che AMA abbia solo successivamente appreso dell'avvenuto deposito del controricorso mediante accesso di cancelleria al fascicolo d'ufficio.

Ne segue che di tale controricorso non potrà tenersi conto alcuno.

3.1 Con il primo motivo di ricorso AMA lamenta - ex art. 360, 1 co. n. 4 cod.proc.civ. - nullità della sentenza ex articoli 19 e 21 d.lgs. 546/92. Per non avere la commissione tributaria regionale rilevato l'inammissibilità del ricorso introduttivo perché proposto non per vizi propri delle cartelle, ma per questioni concernenti la pretesa impositiva; ormai definitiva a seguito della mancata impugnazione delle prodromiche fatture, notificate alla società a mezzo di lettera raccomandata AR.

3.2. Il motivo è infondato.

Va fatta qui applicazione del principio già affermato da Cass. 4513/09, secondo cui: "In tema di contenzioso tributario, l'elencazione degli "atti impugnabili", contenuta nell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., che in conseguenza dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge n. 448 del 2001.

Ciò comporta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall'ente impositore che, con l'esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è "naturaliter" preordinato, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19 citato. La mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall'art. 19 citato non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (e cioè la cristallizzazione) di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dall'art. 19. (...)".

Si tratta di principio successivamente ribadito nei suoi fondamenti essenziali; costituiti, da un lato, dalla impugnabilità dell'atto impositivo "atipico" e, dall'altro, dal carattere meramente facoltativo di tale impugnabilità, con conseguente esclusione di definitività dell'atto medesimo nell'ipotesi in cui questa facoltà non venga esercitata (se non con l'impugnazione del primo atto tipico successivo). In tal senso si è espressa, tra le altre, Cass. 2616/15 e, proprio in fattispecie di fatture TIA, Cass. ord.14675/16, secondo cui: "In tema di contenzioso tributario, l'impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, il quale, tuttavia, abbia natura di atto impositivo (nella specie, le fatture TIA), è una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità d'impugnazione con l'atto successivo (nella specie, la cartella di pagamento) ".

Nel caso in esame, la mancata impugnazione delle fatture (quand'anche fosse ad esse attribuibile la natura di atti impositivi compiuti) non era, dunque, di per sé in grado di rendere definitiva la pretesa sostanziale di AMA; ben potendo la società contribuente opporsi a quest'ultima in sede di contestazione delle cartelle successivamente notificatele.

4.1 Con il secondo motivo di ricorso AMA deduce - ex art. 360, 1 co. n. 1 cod.proc.civ. - difetto di giurisdizione tributaria in ordine alla debenza dell'Iva sulla TIA; vertendosi di questione privatistica attinente al rapporto di rivalsa.

4.2 Il motivo è infondato.

Per quanto concerne la giurisdizione, rileva il consolidato orientamento di legittimità, recentemente ribadito da SSUU 8822/18, secondo cui "le controversie riguardanti la debenza della tariffa di igiene ambientale (cd. "prima TIA" o "TIA-1"), regolata dall'art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 - che, pur essendo stata soppressa, in virtù dell'art. 238, commi 1 e 11, del d.lgs. n. 152 del 2006, è rimasta vigente fino all'emanazione del regolamento, destinato a disciplinare i criteri generali sulla base dei quali sono stabilite le componenti dei costi ed è definita la tariffa, nonché fino al compimento degli adempimenti per l'applicazione della tariffa stessa - sono devolute alla giurisdizione tributaria, tenuto conto che, come evidenziato dalla Corte Cost. (da ultimo: ordinanza del 22 febbraio 2010 n. 64), tale tariffa non costituisce un'entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU, prevista dall'art. 58 del d.P.R. n. 507 del 1993, di cui conserva la qualifica di tributo".

Per quanto concerne il problema specifico della imponibilità Iva della "tariffa", soccorre, anche in tal caso, quanto in termini stabilito dalle SSUU con la sentenza n. 5078/16, secondo cui: "la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dall'art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, oggi abrogato, avendo natura tributaria, non è assoggettabile all'IVA, che mira a colpire la capacità contributiva insita nel pagamento del corrispettivo per l'acquisto di beni o servizi e non in quello di un'imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente".

5.1 Con il terzo motivo di ricorso AMA lamenta - ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. - violazione e falsa applicazione della normativa TIA di riferimento (artt. 49 co. 14 d.lgs 22/97; 13, co. 5, T.U. Regolamento TARI Comune di Roma n. 24/03). Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto illegittime le cartelle atteso lo smaltimento in proprio dei rifiuti da parte della società, nonostante che: - di siffatto smaltimento non fosse stata fornita prova alcuna; - la società non avesse effettuato le dichiarazioni in proposito previste dal regolamento comunale; - in ogni caso, esso comportasse una riduzione della tariffa, ma non la sua totale esenzione.

Con il quarto motivo di ricorso AMA deduce - ex art. 360, 1 co. n. 5 cod.proc.civ. - analoga doglianza sotto il profilo della insufficiente e contraddittoria motivazione. Per avere la commissione tributaria regionale ammesso la società all'esenzione dalla tariffa, nonostante il difetto dei presupposti e l'inadempimento delle prescrizioni regolamentari in materia.

5.2 Questi due motivi di ricorso - suscettibili di trattazione unitaria per la sostanziale identità della questione sollevata - sono fondati. Va in primo luogo osservato come la presente controversia abbia ad oggetto rifiuti non pericolosi, in quanto provenienti da locali di ufficio adibiti a "call center"; si tratta, pertanto, di rifiuti assimilabili, ed effettivamente assimilati per delibera comunale, a quelli urbani assoggettati alla raccolta ed allo smaltimento da parte di AMA.

L'affermazione del giudice regionale secondo cui la società aveva provveduto, negli anni di riferimento, allo smaltimento "in proprio" di tali rifiuti appare per più versi viziata.

Sotto un primo profilo, la commissione tributaria regionale non dà conto delle fonti del proprio convincimento probatorio, essendosi limitata ad osservare che lo smaltimento in proprio rilevava quale presupposto fattuale di per sé dirimente ("... in quanto, se esiste prova che lo smaltimento vi è stato, di questo elemento di fatto si deve tener conto"); a nulla rilevando né che la società non avesse osservato le procedure dichiarative previste dalla legge e dal regolamento comunale, né che essa avesse prodotto in giudizio contratti di smaltimento con ditte terze risalenti nel tempo "ad alcuni anni addietro rispetto a quelli qui in contestazione". Da tale ragionamento non è possibile ricostruire né controllare, in altri termini, il processo logico-giuridico attraverso il quale il giudice di merito è pervenuto alla conclusione che la società facesse effettivo e globale ricorso allo smaltimento attraverso imprese specializzate; e, inoltre, che tali modalità di smaltimento riguardassero (pur a fronte di contratti risalenti nel tempo) proprio le annualità in cartella.

Sotto un secondo profilo, la commissione tributaria regionale è effettivamente incorsa nella violazione normativa denunciata, atteso che: a. in base all'articolo 49, co.14, d.lgs. 22/97 in allora vigente, lo smaltimento in proprio rilevava solo in quanto comprovato attraverso una "attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi"; così come anche prescritto, in sede di normazione secondaria di esecuzione, dal Regolamento Comune di Roma n. 24/03 (art. 13, co.5), richiedente la presentazione all'amministrazione comunale, entro il 31 gennaio, di una dichiarazione annuale "attestante la quantità totale dei rifiuti prodotti e la quantità dei rifiuti avviati al recupero nell'anno precedente, nonché l'attestazione rilasciata dal soggetto autorizzato al quale tali rifiuti sono stati conferiti e copia del registro di carico e scarico"; non poteva dunque affermarsi, con la commissione tributaria regionale, che il dato dello smaltimento in proprio rilevasse in quanto tale, in assenza delle prove e delle dichiarazioni prescritte dalla normativa (diverse e speciali rispetto al Modello Unico di Dichiarazione dei rifiuti presentata dalla società alla CCIAA, ed indebitamente valorizzata dalla commissione); b. in ogni caso, dalla prova (posta a carico della società) dell'effettivo espletamento della raccolta dei rifiuti attraverso ditte specializzate non discendeva la completa esenzione dalla tariffa della società contribuente, quanto la sua ammissione al regime agevolato, costituito da un "coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati e il produttore dimostri di aver avviato al recupero (art. 49, co.14 cit.), secondo quanto stabilito dalla amministrazione comunale; ciò in ragione della permanente sussistenza di una quota residuale di servizi generali erogati alla collettività dall'amministrazione comunale nella gestione dei rifiuti urbani, tale da giustificare il pagamento della tariffa, sebbene in misura ridotta.

Ne segue, in definitiva, l'accoglimento sotto tali profili del ricorso, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla commissione tributaria regionale del Lazio. Quest'ultima, in diversa composizione, riconsidererà la fattispecie alla luce dei principi indicati, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

- accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso, respinti gli altri;

- cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.