Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 13 luglio 2018, n. 18654

Imposte indirette - IVA - Importazione - Autofattura - Meccanismo dell'inversione contabile - Procedimento

 

Fatti di causa

 

L'Agenzia delle dogane e dei monopoli notificò alla società un avviso col quale ha recuperato iva all'importazione, scaturente dalla contestazione dell'indebito ricorso al regime del deposito iva, che si assumeva utilizzato in modo virtuale, ossia senza la materiale introduzione della merce.

La contribuente impugnò l'avviso, ottenendone l'annullamento dalla Commissione tributaria provinciale; quella regionale ha accolto l'appello dell'ufficio, limitatamente agli importi oggetto delle autofatturazioni eseguite dalla società prima delle importazioni, facendo leva per il resto sulla mancanza di adeguata prova da parte dell'Agenzia del carattere virtuale dell'introduzione della merce nel deposito e comunque specificando che il meccanismo dell'autofatturazione rappresenta modalità in tutto equivalente all'assolvimento dell'imposta in dogana.

L'Agenzia delle dogane e dei monopoli propone ricorso avverso questa sentenza, per ottenerne la cassazione, che affida a otto motivi, cui non v'è replica.

 

Ragioni della decisione

 

1. - Infondato è il primo motivo di ricorso, col quale si denuncia la nullità della sentenza per falsa applicazione del principio di non contestazione e per violazione dell'art. 115 c.p.c., in combinazione con l'art. 1, 2° co., del d.lgs. n. 546/92, quanto alla condotta dell'ufficio, che non avrebbe contestato l'effettività dell'introduzione dei beni nel deposito.

Ciò in quanto il giudice d'appello sostiene, di contro, che << l'Ufficio delle Dogane non ha fornito prova che le merci non sono state introdotte nel magazzino, né che i mezzi di trasporto non avrebbero potuto essere introdotti nei locali>>.

2. - Infondato è altresì il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., col quale l'Agenzia lamenta la violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione all'art. 50-bis del d.l. 331/93, convertito con I. 427/93, là dove il giudice d'appello non avrebbe valutato gli elementi indiziari introdotti in giudizio relativi all'inidoneità strutturale del magazzino nel quale sarebbero state introdotte le merci.

Sul piano della dedotta violazione dei criteri di riparto degli oneri probatori, il giudice d'appello non dubita che l'onere di provare l'applicabilità del regime speciale correlato all’impiego del deposito iva spetti al contribuente che intenda fruirne. La motivazione parte difatti dall'assunto che costituisce il presupposto di tale fruizione, ossia, appunto, dall'introduzione delle merci nel deposito. Quel che il giudice d'appello assume non provato è un fatto impeditivo - l'onere della prova del quale, secondo il regime dinamico di distribuzione, spetta all'Agenzia, dato dalle caratteristiche di tale introduzione, che secondo l'ufficio è stata virtuale, mentre secondo la società è stata fisica.

2.1. - La valutazione è stata svolta dalla Commissione tributaria regionale in maniera complessiva e comparativa, facendo leva sull'idoneità dei locali, che ha ritenuto idonei allo scopo di ricezione e stoccaggio della merce, in base alle misurazioni compiute dalla polizia giudiziaria, nonché sulla regolarità della gestione del magazzino.

Ne consegue che il giudice d'appello ha adeguatamente esaminato il. fatto storico decisivo in questione, a nulla rilevando che non abbia tenuto conto di tutte le risultanze probatorie, segnatamente quelle enunciate dall'Agenzia col ricorso (principio pacifico, per l'espressione del quale vedi, fra varie, Cass. n. 11910/15; ord. n. 2498/15; ord. n. 701/15).

3. - Questa adeguata valutazione spoglia di decisività gli elementi addotti dall'Agenzia, riverberandosi sull'inammissibilità del terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1° co., n. 5, col quale essa denuncia appunto l'omesso esame circa il fatto decisivo della natura virtuale e non fisica dell'introduzione della merce nel deposito.

4. - Inammissibile è altresì il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1° co., n. 5 c.p.c., col quale l'Ufficio lamenta l'insufficienza della motivazione circa il fatto controverso e decisivo delle caratteristiche dell'introduzione della merce nel deposito.

Esso s'infrange contro il principio di diritto, applicabile ratione temporis (all'impugnazione della sentenza, depositata il 17 ottobre 2012, si applica il testo novellato dell'art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c.), secondo il quale la riformulazione di questa norma dev'essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass., sez.un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 nonché, tra varie, ord. 9 giugno 2014, n. 12928 e sez.un. 19881 del 2014). In definitiva, ha ulteriormente precisato questa Corte (Cass., sez. un., 10 luglio 2015, n. 14477), la nuova previsione del n. 5 dell'art. 360 c.p.c.legittima solo la censura per l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, non essendo invece più consentita la formulazione di censure per il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione.

5. - Infondato è poi il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., col quale l'Agenzia denuncia la contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, là dove per un verso il giudice d'appello ha affermato che l'Agenzia non ha fornito prova che le merci non sono state introdotte nel magazzino, ma, per altro verso, ha fatto leva, in senso opposto, su alcune autofatturazioni di data anteriore alle importazioni. Nessuna contraddizione è difatti predicabile, in quanto gli argomenti sono addotti a sostegno di diversi ragionamenti, relativi a distinte autofatturazioni.

6. - Infondato è il sesto motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1° comma, n. 4, c.p.c., della nullità della sentenza, perché la Commissione, benché in motivazione abbia dato contro della parziale fondatezza della pretesa dell'ufficio, l'avrebbe poi in dispositivo completamente disattesa.

La censura è smentita dalla lettura del dispositivo, della sentenza, che contiene il parziale accoglimento dell'appello con la conseguente dichiarazione di legittimità della pretesa tributaria <<limitatamente agli importi conseguenti alle somme portate dalle autofatturazioni anticipate>>.

7. - Infondati sono altresì il settimo e l'ottavo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, perché strettamente connessi, con i quali, rispettivamente, l'Agenzia lamenta, in entrambi i casi ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c.:

- la violazione dell'art. 50-bis del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla I. 29 ottobre 1993, n. 427, del principio di divieto dell'abuso del diritto e dell'art. 2697 c.c., sostenendo che gravi sulla società l'onere di provare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del beneficio fiscale invocato, nonché della dimostrazione di ragioni economicamente apprezzabili del deposito infragiornaliero - settimo motivo;

- la violazione degli art. 17 e 67-70 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione al suddetto art. 50-bis del d.l. 331/93, sostenendo che l'autofatturazione non possa costituire adempimento sostitutivo dell'assolvimento dell'iva dovuta al momento dell'importazione -ottavo motivo.

A fondamento della censura v'è, da parte dell'ufficio, l'esclusione dell'assimilazione dell'iva all'importazione e di quella interna.

Quest'impostazione è errata.

Il sistema dell'iva alle importazioni è per sua natura incardinato in quello generale dell'iva: <<l'iva all'importazione è intesa, al fine di garantire la neutralità del sistema comune rispetto all'origine dei beni, a porre i prodotti importati nella stessa situazione dei prodotti nazionali analoghi per quanto riguarda gli oneri fiscali gravanti sulle due categorie di merci>> (Corte giust. 25 febbraio 1988, causa C- 299/86, Rainer Drexl, pronunciata su pregiudiziale italiana, punto 9).

Il che ne evidenzia la natura di tributo interno, in quanto l'iva all'importazione non colpisce esclusivamente il prodotto importato in quanto tale, ma s'inserisce nel sistema fiscale uniforme dell'iva, che colpisce sistematicamente e secondo criteri obiettivi sia le operazioni degli Stati membri, sia quelle all'importazione (Corte giust. 5 maggio 1982, causa C- 15/81, Schul, punto 21): difatti, a norma dell'art. 12, comma 5, della sesta direttiva, <<l'aliquota applicabile all'importazione di un bene è quella applicata alla fornitura di uno stesso bene effettuata all'interno del paese>>; norma, questa, la quale trova rispondenza nell'art. 69 del d.P.R. 633/72, che, ai fini della determinazione dell'iva all'importazione, richiama l'applicabilità delle <<aliquote indicate mell'articolo 16>>.

La natura interna del tributo non ne consente l'assimilazione ai dazi, anche se l'iva all'importazione condivide con essi la caratteristica di trarre origine dal fatto dell'importazione nell'Unione e della susseguente introduzione nel circuito economico degli Stati membri (Corte giust. 11 luglio 2013, in causa C-272/12, Harry Winston SA, punto 41), con la conseguenza che fatto generatore ed esigibilità del l'iva all'importazione sono collegati a quelli dei dazi.

7.1. - L'iva all'importazione non è, in definitiva, un tributo a sé stante; è, semplicemente, rispetto all'iva intracomunitaria, segnata da specificità procedimentali e sanzionatone, correlate al meccanismo dell'importazione:

- sul piano procedimentale, l'iva alle importazioni va versata per effetto ed in occasione di ciascuna importazione (art. 70 del d.P.R. n. 633/72: <<l'imposta relativa alle importazioni è accertata, liquidata e riscossa per ciascuna operazione>>), al momento dell'accettazione della dichiarazione in dogana ed il relativo obbligo incombe sul dichiarante, anche soggetto privato, oltre che, in caso di rappresentanza indiretta, sulla persona per conto della quale è presentata la dichiarazione in dogana (art. 201 del regolamento 12 ottobre 1992, n. 2913); l'iva "intracomunitaria" relativa alle merci introdotte nel deposito va assolta al momento dell'estrazione mediante il meccanismo dell'inversione contabile ed a cura del cessionario o committente che sia soggetto passivo iva;

- su quello sanzionatorio, l'applicabilità, in caso di violazioni concernenti l'iva all'importazione, delle sanzioni contemplate dalle leggi doganali (art. 70, 1° co., secondo nucleo normativo, del d.P.R. n. 633/72) è giustificata dalla diversità degli elementi costitutivi dell'infrazione (l'iva è riscossa all'atto dell'ingresso fisico del bene nel territorio dello Stato membro interessato, indipendentemente dallo scambio), che determina maggiore difficoltà a scoprirla (Corte giust. in causa C-299/86, punto 22).

Che l'iva all'importazione e l'iva intracomunitaria identifichino la medesima imposta emerge anche dalla sentenza Equoland della Corte di giustizia (Corte giust. 17 luglio 2014, causa C-272/13), là dove vi si legge che la violazione dell’obbligo formale d'introduzione fisica delle merci nel deposito <<non ha comportato, perlomeno nel procedimento principale, il mancato pagamento dell'IVA all'importazione poiché questa è stata regolarizzata nell'ambito del meccanismo dell'inversione contabile applicato dal soggetto passivo>> (punto 37).

Ulteriore conferma della natura interna si rinviene nella giurisprudenza penale di questa Corte, la quale è giunta ad escludere che l'iva all'importazione sia un diritto di confine, giustappunto in base al tenore del citato art. 70, che rimanda alle disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine soltanto per quanto concerne le controversie e le sanzioni, ossia quoad poenam (tra varie, Cass. pen. 7 settembre 2012, n. 34257, Colombini; quanto a quella civile, si veda, tra varie, Cass. 17 maggio 2017, n. 12231).

7.2. - In questo contesto, l'assolvimento dell'imposta, sia pure tardivo, mediante il congegno dell'inversione contabile, in mancanza di specifiche deduzioni da parte dell'ufficio, esclude la configurabilità di un meccanismo frodatorio. Né è prospettabile, già in tesi, un congegno elusivo o frodatorio in ragione del deposito infragiornaliero, in quanto, anche in caso d'inapplicabilità del regime speciale (e non già, come enuncia l'ufficio, del beneficio fiscale) correlato all'impiego del deposito iva per effetto del deposito infragiornaliero, nessun vantaggio altrimenti non ottenibile avrebbe avuto la contribuente, la quale, invece, sarebbe incorsa nella violazione sanzionabile del tardivo assolvimento dell'imposta.

8. - Il ricorso va quindi respinto, conformemente, del resto, ad altre pronunce di questa Corte rese in relazione a sentenze pronunciate dalla medesima Commissione e pubblicate il medesimo giorno di quella in esame (si vedano, fra varie, Cass. 11 agosto 2016, nn. 17002 e 17007).

Nulla per le spese, in assenza di attività difensiva.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.