Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 luglio 2018, n. 18389

Imposte dirette - IRPEF - Accertamento - Riscossione - Cessione aree adificabili - Plusvalenza

 

Fatti di causa

 

A. R., P. M. C., A. M. C., E. M. C. impugnavano davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Lodi degli avvisi di accertamento IRPEF per il periodo d'imposta 2000 e notificati il 13 luglio 2007 dall'Agenzia delle entrate che aveva recuperato a tassazione la ritenuta plusvalenza non denunciata derivante dalla cessione di un'area edificabile nel comune di Meletti (Lodi), il cui prezzo da lire 500 milioni veniva rettificato in lire 1.239.150.000, con una differenza di lire 812.472.000 rispetto al costo d'acquisto determinato in lire 426.768.000. I ricorrenti contestavano la determinazione ai fini IRPEF del valore della cessione del suddetto immobile determinato dall'Agenzia in misura pari a quello accertato ai fini dell'imposta di registro.

Con sentenza n. 68/02/08 del 21 luglio 2008, la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso determinando la plusvalenza in lire 500 milioni, riferibili in parte all'anno di imposta 2000 e in parte al 2001.

Avverso tale sentenza i ricorrenti proponevano appello e l'Agenzia delle entrate proponeva appello incidentale.

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 96/6/2010 del 12 maggio 2010, respingeva l'appello dei contribuenti e accoglieva quello incidentale, affermando che, in mancanza di prova contraria, si presume che il corrispettivo percepito corrisponda al valore accertato per l'applicazione dell'imposta di registro: tale prova non sarebbe stata offerta dai contribuenti.

Infine, per quanto riguarda la pretesa ripartizione della plusvalenza ai fini IRPEF nei due anni di imposta, va rilevato che, in base all'art. 76 del d.P.R. n. 597 del 1973, come interpretato da Cass. n. 16051 del 2001, la tassazione va riferita alla data di stipula del contratto, il che costituisce un'eccezione al principio di cassa.

Avverso detta sentenza i contribuenti proponevano ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi; l'Agenzia delle entrate si costituiva al fine della partecipazione all'udienza di discussione della causa ai sensi dell'art. 372 cod. proc. civ.

 

Ragioni della decisione

 

Con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4 e 5, i ricorrenti deducono violazione dell'art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, dell'art. 132 cod. proc. civ. nonché dell'art. 2729 cod. civ. in quanto la sentenza impugnata contiene una motivazione apparente, del tutto insufficiente e eccessivamente coincisa in ordine alla rettifica del prezzo di compravendita in quanto detti contribuenti avevano prodotto una perizia di stima dell'immobile che non è stata presa in considerazione e che invece sarebbe dovuta essere sufficiente a vincere la presunzione semplice di corrispondenza tra il prezzo di cessione e il prezzo indicato al fine dell'imposta di registro.

Con il secondo motivo d'impugnazione, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, i contribuenti deducono violazione e falsa applicazione dell'art. 82, comma 6, lett. f), del d.P.R. n. 917 del 1986, testo in vigore dal 22 agosto 2000 al 3 agosto 2001, nonché dell'art. 76 del d.P.R. n. 597 del 1973, in quanto, in base al principio di cassa, la plusvalenza non andava imputata al solo anno d'imposta 2000 (anno in cui si è solo verificata la stipula del contratto: 29 settembre 2000) ma al momento in cui è effettivamente è stato incassato il prezzo della vendita, ossia parte nel 2000 e parte nel 2001: ciò in quanto all'epoca era vigente l'art. 82, comma 6, lett. f), del d.P.R. n. 917 del 1986, (testo in vigore dal 22 agosto 2000 al 3 agosto 2001), e non, come erroneamente ritenuto dalla Commissione Tributaria Regionale, l'art. 76 del d.P.R. n. 597 del 1973.

Con il terzo motivo d'impugnazione, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, i contribuenti deducono violazione dell'art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, in quanto, dall'accoglimento del secondo motivo d'impugnazione in quanto la plusvalenza va tassata in ragione dei periodi di imposta di percezione del prezzo e non di stipula dell'atto, discende necessariamente l'annullamento integrale degli avvisi di accertamento, in quanto l'attribuzione di una plusvalenza maggiore ha determinato l'applicazione di un'aliquota IRPEF maggiore e perciò errata, atteso che la determinazione della stessa avviene con l'applicazione di diverse aliquote per ogni scaglione.

I motivi sono fondati.

Infatti, con riferimento in particolare al primo motivo di ricorso, questa Corte ha affermato, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, che «l'art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015 - che, quale norma di interpretazione autentica, ha efficacia retroattiva - esclude che l'Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro» (Cass. 11 maggio 2018, n. 11503; Cass. 2 agosto 2017, n. 19227; Cass. 17 maggio 2017, n. 12265; Cass. 6 giugno 2016, n. 11543).

Inoltre, e con riferimento in particolare al secondo motivo, se da un lato è stato affermato che nella cessione a titolo oneroso di immobili, contemplata nell'art. 81 del d.P.R. n. 917 del 1986 "ratione temporis" vigente, l’imponibilità della plusvalenza è regolata dal principio di cassa in virtù dell'art. 82, primo comma, del d.P.R. cit. anch'esso "ratione temporis" vigente (Cass. 24 luglio 2013, n. 17960), è stato però anche sostenuto che ai sensi dell’art. 76 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, atteso che la norma fa riferimento alla "conclusione delle operazioni", la quale si realizza con la stipulazione del contratto, il computo della plusvalenza realizzata a fini speculativi va effettuato operando il raffronto tra la somma dichiarata come prezzo di vendita dell'immobile e la somma dichiarata all'atto dell'acquisto dell'immobile medesimo, e perciò in base al principio di competenza e non di cassa (Cass. 15 dicembre 2010, n. 25326).

Nel caso di specie, tuttavia, come sostenuto dal ricorrente, trova applicazione il primo dei due principi citati e quindi l'art. 82, primo comma, del d.P.R. n. 917 del 1986 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi, nel testo anteriore alla riforma del 2004) il cui comma 1 così recita: «Le plusvalenze di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell'art. 81 sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta, al netto dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili, e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto> aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo»] il successivo comma 6 afferma che «Agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze... f) nei casi di dilazione o rateazione del pagamento del corrispettivo la plusvalenza è determinata con riferimento alla parte del costo o valore di acquisto proporzionalmente corrispondente alle somme percepite nel periodo d'imposta» (comma aggiunto dall'art. 4, comma 1, lett. b), D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, a decorrere dal 1° luglio 1998).

Non trova invece applicazione l’art. 76 cit. (secondo cui «Le plusvalenze conseguite mediante operazioni poste in essere con fini speculativi e non rientranti fra i redditi d'impresa concorrono alla formazione del reddito complessivo per il periodo d'imposta in cui le operazioni si sono concluse»), in quanto tale norma si riferisce ad operazioni speculative, circostanza che nella controversia in oggetto non è emersa, dovendosi pertanto applicare la disciplina più generale ef temporalmente successiva di cui al citato art. 82 del d.P.R. n. 917 del 1986, nel testo applicabile "ratione temporis", con la conseguenza che la plusvalenza andava imputata al momento in cui è effettivamente è stato incassato il prezzo della vendita, ossia parte nel 2000 e parte nel 2001.

Pertanto, e con riferimento in particolare al terzo motivo di ricorso, ne discende che effettivamente dall'accoglimento del secondo motivo d'impugnazione, e quindi accogliendo il principio secondo cui la plusvalenza va tassata in ragione dei periodi di imposta di percezione del prezzo e non di stipula dell'atto, discende necessariamente l'annullamento integrale degli avvisi di accertamento, in quanto l'attribuzione di una plusvalenza maggiore ha determinato l'applicazione di un'aliquota IRPEF maggiore e perciò errata, atteso che la determinazione della stessa avviene con l'applicazione di diverse aliquote per ogni scaglione. Trova quindi applicazione il consolidato principio secondo cui «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'avviso di accertamento che non riporti l'aliquota applicata, ma solo l'indicazione delle aliquote minima e massima, viola il principio di precisione e chiarezza delle indicazioni che è alla base del precetto di cui all'art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, il quale richiede che sia evidenziata l'aliquota applicata su ciascun importo imponibile, al fine di porre il contribuente in grado di comprendere le modalità di applicazione dell'imposta e la ragione del suo debito, senza dover ricorrere all'ausilio di un esperto. L'omissione di tale indicazione determina la nullità dell'atto, ai sensi del terzo comma dell'art. 42 cit., senza che sia consentita una valutazione di merito circa l'incidenza che essa abbia avuto, in concreto, sui diritti del contribuente» (Cass. 20 febbraio 2009, n. 4187; Cass. 2 luglio 2008, n. 18095; Cass. 11 giugno 2008, n. 15381).

Il ricorso dei contribuenti va dunque accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio, affinché quantifichi l'imposta dell'IRPEF relativa alla eventuale plusvalenza di cui è causa alla luce dei suddetti principi.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.