Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 maggio 2018, n. 13596

Tributi - IRPEG - Base imponibile - Reddito complessivo - Redditi di impresa - Costi deducibili - Inerenza - Nozione - Estensione alla congruità dei costi - Configurabilità

 

Fatti di causa

 

La I. s.p.a., poi C. s.p.a., ora C. s.r.l., impugnava l'avviso di accertamento con il quale venivano recuperati costi non deducibili e conseguentemente rettificato l'imponibile ai fini dell'IRPEG, dell'IVA e dell'IRAP, per l'anno 1999, all'esito di una verifica generale della Guardia di Finanza, documentata da processo verbale di constatazione del 21/5/2001.

Secondo l'Agenzia delle Entrate, i compensi per consulenze erogati alla W. M. L.. di J., località definita nell'atto impositivo "paradiso fiscale", erano diretti a promuovere lo sviluppo di attività della società contribuente, anche tramite soggetti terzi remunerati con ampie quote dei costi fatturati alla W., come si evinceva da una lettera del 7/6/1999 della W. Ltd., trascritta nel p.v.c., riferita ad una commessa da acquisire in Grecia, in competizione con una società tedesca.

La Commissione tributaria provinciale di Pavia accoglieva il ricorso, e la decisione veniva appellata dall'Agenzia delle Entrate sia perché viziata da un'errata valutazione delle prove documentali acquisite e da una altrettanto errata interpretazione delle norme di legge, discendendo l'indeducibilità dei costi derivanti da fatture emesse dalla società straniera dall'impossibilità di distinguere le spese "riferibili all'attività lecita effettivamente resa (...) dalla Walker rispetto alle dazioni di danaro girate a terzi insider", queste ultime indeducibili per violazione del d.p.r. n. 917 del 1986, art. 75, trattandosi di negozi aventi causa illecita, sia perché la contribuente non aveva fornito la prova dell'inerenza dei costi dedotti che, sulla base del contenuto della lettera della Walker Ltd., si presumevano nascondere in realtà versamenti illeciti.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l'appello, ritenendo che l'Amministrazione finanziaria non aveva fornito una seria e valida prova a sostegno dell'accertamento effettuato a carico della allora società I. per l'anno d'imposta in esame, che non vi era la dimostrazione di un comportamento illecito della contribuente teso ad alterare la concorrenza, e che neppure la lettera del giugno 1999 della W. M. L.. - con la quale si chiedeva un aumento della percentuale di commissione per la dedotta necessità di compensare un insider allo scopo di acquisire una determinata commessa in Grecia vincendo la concorrenza di un'agguerrita società tedesca - conteneva una idonea prova al riguardo, in quanto non era corretto utilizzare il singolo episodio documentato dalla lettera, relativo alla commessa di Kamotini (Grecia) del 1999, "per ritenere che vi sia stato un comportamento scorretto da parte della I. né in quell'occasione, né per tutte le commesse acquisite nell'anno 1999 attraverso il lavoro della W.r".

Avverso la decisione, il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate proponevano ricorso per cassazione sulla base di un motivo, cui la società contribuente resisteva con controricorso, e questa Corte, con la sentenza n. 4558/2010, accoglieva l'impugnazione, cassava la sentenza impugnata e rinviava, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia, rilevando che, per costante giurisprudenza di legittimità, nell'accertamento delle imposte sui redditi, e con riguardo alla determinazione del reddito d'impresa, l'onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione di detto reddito, ivi compresa la loro inerenza e la loro imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del d.p.r. n. 597 del 1973 e del d.p.r. n. 598 del 1973, che del d.p.r. n. 917 del 1986, incombe al contribuente, che rientra altresì nei poteri dell'Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi "esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, nonché la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell'esercizio dell'impresa, con negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all'oggetto dell'impresa", che in presenza di una argomentata contestazione l'onere della prova dell'inerenza dei costi gravante sul contribuente ricomprende anche la congruità di quei costi, che infine non è determinante, né decisiva in sé, l'ipotizzata destinazione illecita delle risorse costituenti il costo dichiarato dalla società contribuente, bensì la contestata sproporzione delle somme erogate rispetto ad una mera attività di consulenza, e la mancata prova da parte della contribuente, in presenza di un siffatto rilievo, della loro adeguatezza, vale a dire del carattere economico delle attività svolte. Con la sentenza in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, quale giudice di rinvio, respingeva l'appello erariale e rilevava che la società contribuente ha dimostrato che per l'opera di reperimento di clientela all'estero, nonché di intermediazione nella conclusione dei contratti, era stata riconosciuta alla W., nell'anno d'imposta per cui è causa, una commissione media del 4% sugli importi fatturati, che si è trattato di attività sicuramente inerente alla formazione dei redditi d'impresa della contribuente, come si evince dal contratto di rappresentanza del 26/9/1994 versato in atti, che la misura del compenso è da ritenersi congrua, risultando notevolmente inferiore a quella del 10% "con cui normalmente si remunera l'intermediazione per la conclusione di contratti come risulta provato dalla 

contribuente con fac-simili di contratti adottati tanto nel settore pubblico che nel settore provato", che la presunzione, ricavata dalla lettera del giugno 1999, con la quale la W. pretendeva un aumento percentuale della predetta commissione per compensare un insider nell'acquisizione della commessa in Grecia, secondo cui la provvista non poteva non servire "anche per effettuare dazione di denaro a terzi (...) è smentita dal fatto che la percentuale di intermediazione non è sproporzionata rispetto a quanto viene praticato sul mercato, né è provato l'asserito comportamento illecito posto in essere dalla società offshore di cui la contribuente sarebbe a conoscenza", che infine l'Ufficio non poteva considerare indeducibile l'intero compenso corrisposto sol perché sarebbe impossibile discernere la percentuale lecita, da quella asseritamente illecita.

L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui resiste la contribuente con controricorso e memoria.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, denuncia violazione dell'art. 384 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacché la CTR non ha considerato che l'onere della prova dei costi deducibili spetta al contribuente e non all'Amministrazione finanziaria, e che la presunzione ricavabile dalla circostanza che una parte del compenso fosse destinata all'illecito pagamento di un insider doveva essere adeguatamente contrastata dalla società contribuente, onerata della prova anche sotto tale profilo.

Con il secondo motivo, denuncia violazione dell'art. 394 c.p.c., comma 2, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacché la CTR ha considerato che la misura del compenso corrisposto alla Walker fosse congruo sulla base di documentazione ("fac- simili di contratti") prodotta dalla contribuente soltanto nel giudizio di rinvio, e dunque non utilmente esaminabile.

Con il terzo motivo, denuncia motivazione illogica, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacché la sentenza della CTR ha considerato deducibile il costo relativo alla dazione di denaro a favore di un insider senza affrontare il profilo dell'inerenza, trattandosi di compenso illecito.

Con il quarto motivo, denuncia motivazione illogica ed insufficiente, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacché la CTR ha ritenuto la misura del compenso in linea con quella normalmente corrisposta per attività similari, conclusione tratta da documentazione proveniente dalla stessa contribuente.

Con il quinto motivo, denuncia violazione dell'art. 384 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacché la CTR non ha considerato che alla contribuente era stato chiesto di provare non la ragionevolezza della misura (4%) del compenso provvisionale pagato, ma la corrispondenza del relativo costo ad una effettiva attività economica espletata in favore della medesima.

Le suesposte censure, scrutinabili congiuntamente in quanto strettamente connesse, sono fondate per le ragioni di seguito esposte.

Con la sentenza di questa Corte che ha originato il rinvio viene posta l'attenzione sugli oneri probatori a carico del contribuente, relativamente "ai presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d'impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi", nonché sul potere dell'Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, di valutare "la congruità di quei costi", e sulla valenza di prova presuntiva attribuibile al "fatto noto" rappresentato "dal contenuto della lettera del giugno 1999 della W. Ltd. indirizzata alla contribuente", con la quale, per una commessa da acquisire in Grecia, "si chiedeva la maggiorazione della percentuale di commissione (...) per destinarla in parte a favore di un terzo", documento da vagliare non tanto in relazione alla "ipotizzata destinazione illecita delle risorse costituenti il costo dichiarato dalla società contribuente", profilo di per sé non determinante e neppure decisivo, quanto piuttosto in relazione alla "contestata sproporzione delle somme erogate rispetto ad una mera attività di consulenza" alla società sita nel B. di J., nel corso del 1999, in forza del contratto di rappresentanza del 26/9/1994, "da cui si evince la molteplicità degli incarichi conferiti e le modalità di corresponsione delle commissioni, subordinate alla clausola salvo buon fine".

La impugnata pronuncia appare meritevole delle censure ad essa rivolta in quanto la ratio decidendi si incentra sul rilievo che il dato della media (4%) dei compensi percentualmente calcolati sugli "importi fatturati relativi ai contratti conclusi con clienti esteri", il quale "trova conferma nell'avviso di accertamento e negli scritti difensivi dell'Ufficio", ha la forza di elidere la valenza probatoria, di segno opposto, del contenuto della sopra citata corrispondenza che, per quanto riferito dalla W., ricollega parte del compenso concernente un affare da concludere in Grecia alla necessità di remunerare persona addentro alla organizzazione di una impresa concorrente, laddove questa Corte aveva chiesto al giudice di rinvio di valutare detto "fatto noto", nel contesto complessivo delle risultanze probatorie e dunque in relazione ad altri fatti concreti, secondo le regole dettate dall'art. 2729 c.c., avuto riguardo alla rilevata sproporzione delle somme corrisposte alla W. a fronte di una non meglio specificata attività di consulenza, posto che l'oggettivo contenuto della lettera del giugno 1999, militando nel senso che le somme corrisposte alla W. non erano univocamente destinate a remunerare solo tale attività, era stato legittimamente allegato dall'Ufficio a sostegno della rilevata sproporzione di dette somme, corrisposte in esecuzione di un rapporto, quello contenuto nel contratto di rappresentanza con la società straniera, unico e continuativo, espressivo del medesimo modus operandi.

Giova osservare che, in tema di imposte sui redditi delle società, la nozione di inerenza che connota i costi deducibili, fondata sul richiamo all'art. 75, comma 5, d.p.r. n. 917 del 1986, esprime la riferibilità dei costi sostenuti, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, all'attività d'impresa propriamente detta, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea a tale attività, e secondo un consolidato orientamento di questa Corte, al quale la sentenza n. 4558/2010 ha chiaramente inteso dare continuità, la nozione di inerenza implica quella di congruità, sicché deve escludersi la deducibilità di costi sproporzionati o eccessivi, in quanto non inerenti; un costo, pertanto, non è deducibile se non è funzionale all'attività della impresa, ed è inerente nella misura in cui può dirsi congruo.

Spetta, dunque, al contribuente l'onere di provare l'esistenza, l'inerenza e, ove contestata dall'Amministrazione finanziaria, la coerenza economica dei costi deducibili, "ed a tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall'imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l'importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all'oggetto dell'impresa" (Cass. n. 13300/2017, n. 10269/2017, n. 10914/2015, n. 21184/2014, in senso parzialmente difforme n. 450/2018).

Tale principio va, quindi, applicato nel caso in esame, se è vero che l'Amministrazione finanziaria ha negato alla società I., nel periodo d'imposta per cui è causa, la deducibilità di costi considerati sproporzionati rispetto ai ricavi e all'oggetto dell'impresa, in mancanza della prova certa della inerenza e della congruità degli stessi, avuto riguardo a servizi di consulenza commerciale non chiaramente definiti per qualità e misura dei correlati corrispettivi, stante il non "tranquillante" contenuto della più volte citata lettera del giugno 1999.

Ai fini della deducibilità, inoltre, va considerato che un bene o servizio è strumentale rispetto all'attività d'impresa non in virtù della volontà espressa dalla contribuente, nella specie, quella di accedere "al mercato internazionale intessendo relazioni commerciali con la clientela estera", come da contratto di rappresentanza del 26/9/1994 intercorso con la W., ma "in virtù della sua correlazione con un'attività potenzialmente idonea a produrre utili" (Cass. n. 20049/2017), sempre che venga rispettato, nei termini sopra precisati, il requisito dello stretto collegamento funzionale rispetto all'attività da cui derivano i ricavi o gli altri proventi che concorrono a formare il reddito d'impresa (Cass. n. 16853/2013).

Orbene, la sentenza impugnata si è discostata dai principi di diritto in precedenza illustrati in quanto si regge sulla affermazione, sinteticamente motivata, che il costo in questione "deve ritenersi inerente alla formazione dei redditi d'impresa" sol perché i compensi corrisposti dalla contribuente alla Walker trovano titolo nel "contratto stipulato il 26/9/1994", e che può dirsi congruo perché la percentuale del 4% sugli importi fatturati è inferiore a quella del 10% con il quale "normalmente si remunera l'intermediazione per la conclusione di contratti (...) tanto nel settore pubblico che nel settore privato", com'è ricavabile dai "fac-simili di contratti" prodotti dalla medesima contribuente nel giudizio di rinvio, circostanza che smentisce anche la ipotizzata correlazione dei costi, o di parte di essi, ad una attività illecita.

Questa Corte, nella sentenza n. 4558/2010, dopo aver chiarito il criterio di riparto degli oneri probatori, aveva tuttavia affidato al giudice di rinvio il compito di verificare l'assolvimento, da parte della società contribuente, dell'onere della dimostrazione della inerenza e congruità dei costi effettivamente sostenuti, attraverso documentazione di supporto e in una prospettiva più ampia atteso che l'assolvimento di siffatto onere probatorio non può ridursi alla mera produzione del contratto o delle fatture, le quali al più attestano la spesa e non - anche - la sussistenza del requisito dell'inerenza, in quanto "non è sufficiente (...) che la spesa sia stata dall'imprenditore riconosciuta e contabilizzata, considerato che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l'importo, la ragione della stessa" (Cass. n. 6650/2006, e più di recente Cass.n.11241/2017).

E neppure assume di per sé rilievo la circostanza, alquanto enfatizzata dalla CTR lombarda, che le percentuali indicate dalla contribuente risultano ragionevoli, ed in linea con quelle generalmente riconosciute per similari attività di consulenza ed intermediazione.

La contribuente, in altri termini, deve fornire aliunde la prova in questione, all'uopo non bastando né i documenti di spesa da essa offerti nel giudizio di merito, né tantomeno il richiamo ai "fac-simili di contratti", documenti prodotti peraltro solo nel giudizio di rinvio, e senza che la parte avesse dedotto di non averli potuti depositare in precedenza per causa di forza maggiore, i quali, come pure eccepito dall'Agenzia delle Entrate, provengono dalla stessa parte interessata, ed in ogni caso nulla aggiungono rispetto alla soluzione della problematica della inerenza dei costi sostenuti dall'imprenditore nell'esercizio di riferimento, dovendo la valenza indiziaria della lettera del giugno 1999 della W., elemento indiziario utilizzato dall'Amministrazione finanziaria per ricostruire in via presuntiva un reddito maggiore di quello dichiarato, essere affrontata, ed eventualmente superata, dalla contribuente offrendo idonea prova contraria, dell'esistenza di costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d'impresa, dimostrazione in cui è compresa l'inerenza di detti costi e la loro imputazione ad attività produttive di ricavi.

È appena il caso di osservare, per compiutezza d'indagine, che l'art. 63, d.lgs. n. 546 del 1992, il quale detta la disciplina del giudizio di rinvìo nel processo tributario, riproduce con opportuni adattamenti le regole previste per il processo civile dagli art. 392 e 394 c.p.c., ed è costante l’indirizzo di questa Corte secondo cui "Nel giudizio di appello tributario, riassunto a seguito di rinvio della Corte di cassazione, è inammissibile la produzione di nuovi documenti, fatta eccezione per quelli che non si siano potuti depositare in precedenza per causa di forza maggiore, stante la natura di "giudizio chiuso" riconosciuta al grado di rinvio." (Cass. n. 20535/2014).

Si deve quindi ribadire la vigenza, anche nel processo tributario, della preclusione connessa con la natura di "giudizio chiuso" che va riconosciuta al grado di rinvio, specie ove la sentenza che ha originato il rinvio, come nel caso in esame, neppure ha richiesto di reimpostare, secondo un diverso angolo visuale, i termini giuridici della con traversia (Cass. n. 16180/2013).

Conseguentemente, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio alla medesima CTR, in altra composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in altra composizione, anche per le spese del presente giudizio.