Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 giugno 2018, n. 14534

Tributi - Indagini finanziarie - Avviso di accertamento - Notifica - Illeggibilità della firma del notificante - Indicazione della qualità di messo notificatore - Mera e ininfluente irregolarità - Nullità dell’atto - Esclusione

 

Fatti di causa

 

F.D., D.D. e A.C. propongono ricorso per cassazione con undici motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia che, accogliendo l'appello dell'Agenzia delle entrate, nel giudizio introdotto, rispettivamente, con l'impugnazione di due avvisi di accertamento - emessi "sulla scorta di indagini finanziarie, in virtù delle presunzioni di cui all'art. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. n. 600 del 1973" - con i quali venivano contestati redditi di capitale, per l'anno 2003 a fronte dell'omessa dichiarazione dei redditi, nonché per l'anno 2004;

con l'impugnazione dell'avviso di accertamento - emesso "sulla scorta di indagini finanziarie, in virtù delle presunzioni di cui all'art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R.. n. 600 del 1973" - con il quale per l'anno 2003 venivano contestati redditi di capitale ed un reddito da fabbricato;

con l'impugnazione dell'avviso di accertamento - emesso "sulla scorta di indagini finanziarie, in virtù delle presunzioni di cui all'art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973" - con il quale per l'anno 2003 veniva contestato reddito di capitale e rettificato il reddito di partecipazione dichiarato, ha riformato la pronuncia di primo grado che, una volta riuniti i ricorsi, li aveva accolti considerando inesistente la notifica degli avvisi di accertamento, ed ha ritenuto fondata nel merito la pretesa degli avvisi di accertamento.

Il giudice d'appello ha anzitutto rilevato come la notifica degli atti di accertamento era stata validamente e tempestivamente eseguita, osservando, tra l'altro, che a norma dell'art. 160 cod. proc. civ. la notifica di un atto è nulla solo quando non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia, o se vi è incertezza assoluta sulla persona cui è fatta o sulla data.

Quanto al merito, posto che l'accertamento dell'ufficio era stato legittimamente emesso e adeguatamente motivato, sulla scorta di indagini finanziarie, in virtù delle presunzioni di cui all'art. 32, comma 1, n. 2 del d.P.R. n. 600 del 1973, osservava che l'ufficio aveva notificato il questionario mod. 55 ai contribuenti, che tuttavia non ottemperavano all'invito a presentarsi per fornire le informazioni richieste, con conseguente inutilizzabilità in favore del contribuente della documentazione richiesta e non esibita.

Ha ancora rilevato come la documentazione prodotta in giudizio dai contribuenti non era idonea a disattendere l'operato dell'ufficio, non essendo stati forniti elementi analitici e attendibili idonei a giustificarla fonte delle risorse finanziarie; non era infatti idonea allo scopo l'affermata generica provenienza da altri componenti della famiglia, in anni precedenti coperti da condono.

Con riguardo, in particolare, al maggior reddito di partecipazione attribuita alla C., scaturente da un accertamento a carico della società E.C. sas di C. A., la Commissione regionale ha rilevato che la contribuente aveva affermato che era rinveniente dalla cessione di un suolo effettuata dalla società "e ne aveva dedotto l'inattendibilità della plusvalenza determinata dall'ufficio", ed ha in proposito rilevato che le argomentazioni dedotte dalla contribuente non erano idonee allo scopo, in quanto non supportate da documentazione di indiscussa attendibilità.

L'Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, denunciando violazione ed errata applicazione degli artt. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, 42 e 274 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, censura la decisione per non avere escluso "l'inesistenza giuridica degli avvisi di accertamento per l'illegittimità della loro notificazione", e ciò per la mancata individuazione, con nome e cognome, del sottoscrittore della relata di notifica degli avvisi, nonché per la mancata indicazione e produzione della delibera di nomina del messo comunale, unico atto in grado di provare la sussistenza in capo al sottoscrittore del potere di effettuare la notifica;

con il secondo motivo denunciano la giuridica inesistenza di due avvisi di accertamento "per fatti sopravvenuti.

Violazione dell'art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973", assumendo che la giuridica inesistenza di tali atti impositivi sarebbe la conseguenza della pretesa falsità materiale commessa dal messo comunale.

I motivi, da esaminare congiuntamente in quanto strettamente legati, sono infondati ed al limite della inammissibilità, non sembrando sia stata colta la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale merita condivisione.

Premesso che nella specie è incontroverso che le notifiche furono effettuate, e lo furono nelle date indicate nelle relate di notifica, osserva il Collegio che ai sensi dell'art. 160 cod. proc. civ. la notifica di un atto è nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia, o se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data, sicché l'identificazione del notificatore assume rilevanza solo quando è in discussione la competenza dell'ufficio che ha eseguito la notificazione (Cass. n. 9520 e 16033 del 2001), il che non è dato ravvisare nella specie, nella quale è incontroversa la competenza del messo comunale del Comune di Corato.

Premessa ancora la citazione di Corte cost., sent. n. 346 del 1998 ("funzione propria della notificazione è quella di portare l'atto a conoscenza del destinatario, al fine di consentire l'instaurazione del contraddittorio e l'effettivo esercizio della difesa"), il giudice d'appello ha correttamente richiamato il principio (Cass. n. 16407 del 2003, n. 7838 del 2015) secondo cui l'illegibilità della firma non dà luogo alla nullità dell'atto amministrativo quando dall'atto risulti la qualità di organo della persona giuridica pubblica dell'autore della sottoscrizione e non venga dimostrata dall'interessato la non autenticità della sottoscrizione o la non appartenenza all'ufficio del suo autore.

Ciò posto, il giudice d'appello ha ritenuto che la notifica degli atti di accertamento era stata validamente e tempestivamente eseguita: e tanto avendo constatato che nella relata di notificazione vi è la sottoscrizione di chi l'ha redatta, che è indicata la qualità di messo comunale, è apposto il timbro del Comune di Corato, non è stata dimostrata dai contribuenti l'insussistenza della suddetta qualifica del redattore della relata; nella documentazione in atti, inoltre, risulta la copia del provvedimento di nomina di Francesco Pastore, unico messo comunale del Comune di Corato, che ha eseguito la notifica degli atti accertativi. L'illeggibilità della firma, conclude il giudice d'appello, costituisce una mera e ininfluente irregolarità, che non ha impedito ai contribuenti una completa difesa in giudizio.

Col terzo motivo denunciando "art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. violazione ed errata applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 32, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973" (sic), assumono che la preclusione di cui alla disposizione in rubrica non poteva operare in quanto l'ufficio non aveva provato l'avvenuta notifica a tutti essi contribuenti dell'invito al contraddittorio, il questionario mod. 55.; con il quarto motivo denunciano la violazione ed errata applicazione dell'art. 115 cod. proc. civ., assumendo che gli atti impositivi oggetto di causa sarebbero illegittimi, avendo essi contribuenti dimostrato di possedere la capacità finanziaria necessaria al sostenimento degli incrementi patrimoniali rilevati: la documentazione prodotta, in quanto non contestata, anziché essere considerata inammissibile, avrebbe dovuto essere necessariamente considerata come prova processuale ai sensi della disposizione in rubrica.

I due motivi, da trattare congiuntamente perché legati, sotto la veste del vizio di violazione di legge, contestano a ben vedere l'accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito ("l'accertamento dell'ufficio è stato legittimamente emesso e adeguatamente motivato, sulla scorta di indagini finanziarie, in virtù delle presunzioni di cui all'art. 32, comma 1 e 2 del d.P.R. n. 600/73 dalla documentazione in atti si rileva inoltre che l'ufficio ha notificato ai contribuenti il questionario mod. 55, invitandoli a presentarsi in ufficio per fornire informazioni relativamente ai rapporti ed alle operazioni di natura finanziaria. L'invito contiene anche l'avvertenza circa le conseguenze della mancata ottemperanza allo stesso, e i contribuenti non hanno adempiuto"; "la documentazione prodotta in giudizio dai contribuenti, peraltro, non è idonea a disattendere l'operato dell'ufficio, i contribuenti non hanno fornito elementi analitici e attendibili idonei a giustificare la fonte delle risorse finanziarie. Non è certo idonea allo scopo l'affermata generica provenienza da altri componenti della famiglia, in anni precedenti coperti da condono"), postulano una diversa ricostruzione dei fatti, senza censurare adeguatamente quella compiuta dal giudice d'appello, e si rivelano perciò inammissibili.

Col quinto motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 38, comma 8, del d.P.R. n. 600 del 1973, e 2697 cod. civ., assumono, con riguardo all'accertamento sintetico, di avere assolto all'onere della prova contraria su di essi gravante, sostenendo che a fronte della produzione documentale di essi ricorrenti, l'ufficio, oltre ad aver omesso di depositare agli atti il questionario mod. 55, non avrebbe prodotto alcuna documentazione atta a provare la propria pretesa impositiva. I documenti depositati, insomma, permetterebbero di superare la presunzione di cui alla norma in rubrica; con il sesto motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 32, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 600 del 1973, assumono che nei loro confronti non valeva la preclusione processuale di cui alla norma in rubrica, e si dolgono che, "trincerandosi dietro di essa", la CTR avesse "omesso di valutare l'ampia produzione documentale prodotta da essi ricorrenti, ed addirittura di prendere posizione sulle argomentazioni di merito proposte dai ricorrenti".

Il quinto motivo è in parte inammissibile, dove, sia pure in termini vaghi cerca di contestare l'accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito in ordine alle conseguenze della mancata risposta al questionario, ed in parte è infondato, laddove sostiene la non incidenza della mancata risposta al questionario - accompagnata, nella specie, dall'avvertenza circa le conseguenze della mancata ottemperanza all'invito, cui i contribuenti non hanno adempiuto - sulla preclusione probatoria processuale; il sesto motivo è, del pari, in parte infondato ed in parte inammissibile, per le considerazioni già svolte.

Col settimo motivo, denunciando violazione ed errata applicazione degli artt. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992, 115 e 346 cod. proc. civ., censurano la sentenza di secondo grado per non aver rilevato il giudicato interno prodottosi per effetto della mancata riproposizione nell'appello dell'ufficio - basato esclusivamente sull'asserita sanabilità ex art. 156 cod. proc. civ. della nullità della notifica degli avvisi di accertamento - delle eccezioni di merito formulate in primo grado, richiamando genericamente le argomentazioni in fatto e le motivazioni in diritto oggetto dell'avviso di accertamento impugnato.

Il motivo è infondato, in quanto "nel processo tributario, l’art. 56 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 cod. proc. civ., all'appellato e non all'appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l'onere dell'espressa riproposizione riguarda, nonostante l'impiego della generica espressione "non accolte", non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato (ad esempio, perché ritenute assorbite), non essendo ipotizzabile, in relazione alle domande o eccezioni espressamente respinte, la terza via - riproposizione/rinuncia - rappresentata dagli artt. 56 del citato d.lgs. e 346 del codice di rito, rispetto all'unica alternativa possibile dell'impugnazione - principale o incidentale - o dell'acquiescenza, totale o parziale, con relativa formazione di giudicato interno" (Cass. n. 7702 del 2013).

Con l'ottavo motivo, denunciando violazione ed errata applicazione degli artt. 32, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973, 51, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972 e 3 della legge n. 212 del 2000, si dolgono che l'ufficio abbia applicato retroattivamente, ad accertamenti aventi ad oggetto l'anno 2003, le norme sulle indagini finanziarie così come novellate (nelle prime due disposizioni in rubrica) dall'art. 1, commi 402, 403 e 404 della legge n. 311 del 2004, e segnatamente, par di capire, che le indagini poste a base degli atti impositivi non siano state affatto motivate; con il nono motivo, denunciando la violazione e l'errata applicazione dell'art. 32, comma 1, n. 7), del d.P.R. n. 600 del 1973, si dolgono della mancata allegazione all'avviso e del mancato richiamo nella motivazione dello stesso, sia dell'autorizzazione concessa da parte del direttore regionale dell'Agenzia delle entrate, sia della richiesta indirizzata agli intermediari finanziari.

I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto legati, si palesano anzitutto inammissibili, rivolgendosi le censure formulate non alla sentenza impugnata, ma direttamente agli atti impositivi; anche a voler trascurare tale rilievo, si osserva che con il primo di essi, inoltre, non vengono indicate le norme di cui si predica l'irretroattività, in violazione del principio di specificità dei motivi.

Con riguardo alla natura generalmente procedimentale delle norme sull'accertamento tributario, è appena il caso di osservare che questa Corte ha affermato il principio secondo cui "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la disciplina in materia di accesso ai dati bancari introdotta dall'art. 18 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 - il quale ha, fra l'altro, modificato l'art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 -, non interferisce sul rapporto tributario, non introduce infrazioni o sanzioni prima non previste, né tocca l'onere dell'amministrazione finanziaria di provare la pretesa impositiva, ma ha natura meramente procedimentale e si occupa soltanto dell'attività d'indagine ed accertamento. Ne consegue che tale disciplina deve ritenersi pienamente applicabile anche alle iniziative ispettive che, posteriori alla sua entrata in vigore, siano tuttavia relative a periodi d'imposta anteriori" (Cass. n. 10598 del 2002, n. 25909 del 2017).

Con il decimo motivo, denunciando omessa motivazione con riferimento alle sanzioni irrogate, i ricorrenti lamentano che la CTR "abbia del tutto omesso la valutazione di tale motivo relativo alla disapplicazione delle spese (sic) irrogate per violazione dell'art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997". Sul punto la CTR si sarebbe "limitata... a pag 14 dell'opposta sentenza" a rilevare che non era ricorrente l'obiettiva incertezza normativa ... per l'esclusione dei ricorrenti dalle sanzioni".

Il motivo va disatteso, in quanto privo del requisito dell'autosufficienza. Nella sentenza impugnata, che consta di dieci pagine, non si rinviene infatti la pag. 14, né viene indicato - a parte il riferimento "in primo grado" -, e neppure viene riprodotto il luogo negli atti di causa in cui era stata invocata la disapplicazione delle sanzioni, domanda che non figura tra le conclusioni dei contribuenti nello svolgimento del processo della sentenza oggi impugnata.

Con l'undicesimo motivo, denunciando violazione ed errata applicazione degli artt. 15 e 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 criticano il regolamento, ad opera della CTR, delle spese di lite.

Il motivo è inammissibile in quanto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte "in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell'ipotesi di concorso di altri giusti motivi" (Cass. n. 15317 del 2013).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio liquidate in euro 15.000 oltre alle spese prenotate a debito.