Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 maggio 2018, n. 11472

Tributi - ICI - Fabbricati accatastati nel gruppo D in attesa di rendita definitiva - Determinazione della base imponibile - Criterio di cui all'art. 5, co. 3, del D.Lgs. n. 504 del 1992 - Operatività - Limiti

 

Esposizione dei fatti di causa

 

1. La Banca Monte dei Paschi di Siena impugnava il silenzio rifiuto del Comune di Roma formatosi relativamente alla istanza di rimborso delle imposte ICI dell'anno 1998 per complessivi euro 6.996,27, sul presupposto che per gli immobili di via (...), sprovvisti di rendita, il calcolo dell'imposta era stato effettuato dalla contribuente sulla base del valore contabile di bilancio, senza decurtare da detto valore le rettifiche Ici.

Il Comune di Roma si costituiva osservando che la rendita catastale attribuita da parte dell'Agenzia del territorio agli immobili suddetti indicati in cat. D/8 nel 2002, di valore inferiore a quello presunto dichiarato in precedenza dal contribuente, non poteva avere effetto retroattivo in relazione ad annualità pregresse.

La C.T.P. di Roma accoglieva il ricorso.

Interponeva gravame l'ente comunale, reiterando le difese svolte in primo grado.

La C.T.R. di Roma accoglieva l'appello aderendo alla tesi difensiva dell'amministrazione comunale.

Avverso la sentenza n. 200/14/11, l'azienda di credito propone ricorso per cassazione svolgendo cinque motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Roma.

Il P.G. ha concluso per l'accoglimento del quarto motivo.

 

Esposizione delle ragioni di diritto

 

2. Col primo motivo, si censura la sentenza impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. e art. 360 n. 4 c.p.c., lamentando l'omessa decisione dei giudici di appello in ordine all'eccezione di inammissibilità del gravame, proposta dalla banca, per aver l'ente comunale formulato l'atto di appello in contrasto con quanto prescritto dall'art. 53 d.lgs. 546/92.

3. Con il secondo motivo, l'istituto di credito censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 36 comma 2 del d.lgs. 546/92 in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c. che prevede la "succinta" esposizione dei motivi in fatto e in diritto, lamentando l'omessa motivazione in merito alle ragioni del rigetto della pregiudiziale eccezione.

4. Con il terzo motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 53 comma 1 d.lgs 546/92, per avere i giudici di appello, nel rigettare implicitamente l'eccezione di inammissibilità, violato il disposto citato che sancisce con l'inammissibilità la carenza degli specifici motivi dell'impugnazione.

La contribuente sostiene, al riguardo, che il comune di Roma, a fronte della pronuncia di primo grado, con la quale la Commissione aveva rilevato la sussistenza della prova dell'erroneità del calcolo dell'imposta, operato dalla Banca ai sensi dell'art. 5 comma 3 d.lgs. 504/92 - con riferimento a fabbricato sprovvisto di rendita e classificabile nella cat. "D" - l'amministrazione comunale si " era limitata a ribadire a sostegno del gravame le medesime argomentazioni dedotte in primo grado", omettendo di formulare critiche alla pronuncia impugnata.

5. Con la quarta censura, lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 5 comma 3 e dell'art. 13 d.lgs 504/92 nonché dell'art. 74 della I. 342/2000 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., censurando la sentenza per aver erroneamente individuato la fattispecie concreta, inquadrabile nelle variazioni catastali anteriori all'anno 2000 e per aver disapplicato i principi enunciati dalle S.U. (sentenza 2011/3160), secondo le quali l'individuazione dell'anno in cui deve ritenersi verificato il presupposto legislativo che impone di considerare non più il valore di libro, ma il valore catastale attribuito all'immobile della cat. D va operata con riferimento alla data di richiesta di accatastamento e non dalla successiva messa in atti né dalla data di notifica della rendita attribuita. Ciò in quanto, fino alla attribuzione della rendita catastale, l'art. 5 cit prevede un metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili valido fino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulato dal contribuente. Detta norma è stata poi modificata dall'art. 74 della I. 342/2000 che ha previsto che "a decorrere dal primo gennaio 2000" gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione ai soggetti intestatari della partita ... per gli atti adottati entro il 31.12.10999 e che siano stati recepiti in atti impositivi dell'amministrazione finanziaria e degli enti locali, non divenuti definitivi, non sono dovuti sanzioni ed interessi relativamente al periodo compreso tra l'attribuzione e modificazione della rendita e quella di scadenza del termine per la presentazione del ricorso avverso il suddetto atto; per gli atti modificati o attributivi della rendita adottati entro il 31.12.1999, non ancora recepiti in atti impositivi, i soggetti attivi dell'imposta provvedono alla liquidazione e all'accertamento dell'eventuale imposta dovuta sulla base della rendita catastale attribuita( terzo comma).

Secondo la ricorrente, dunque, solo in presenza di denuncia di variazione anteriore al primo gennaio 2000, assente nella fattispecie, la data di attribuzione della rendita coincide con quella di presentazione della denuncia da parte del contribuente.

In altri termini, la C.T.R. avrebbe applicato erroneamente alla fattispecie le disposizioni di cui al secondo e terzo comma dell'art. 74 I. 342/2000 che regolano ipotesi diverse.

6. Con il quinto motivo lamenta omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso del giudizio in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., lamentando l'omessa valutazione dell'unico motivo posto a fondamento dell'istanza di rimborso, vale a dire l'errore di calcolo.

In particolare, benché l'istanza di rimborso non fosse fondata sull'applicazione del metodo catastale, bensì sull'erroneo calcolo di quello storico contabile, i giudici di appello hanno motivato l'accoglimento del gravame sul rilievo che l'attribuzione della rendita catastale non poteva esplicare effetti retroattivi.

7. Il primo motivo è infondato.

Secondo pacifico insegnamento della giurisprudenza di legittimità non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (v. in tal senso Cass. 2017/29191; Cass. 2015/2197; Cass. 2015/17956; Cass. n. 5351/2017, in casi in cui la S.C. ha ravvisato il rigetto implicito dell'eccezione di inammissibilità dell'appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame).

Dalla sentenza qui impugnata emerge infatti come la commissione tributaria regionale abbia implicitamente ritenuto di disattendere l'eccezione di inammissibilità dell'appello; ravvisando nei motivi di gravame proposti dalla società contribuente - da essa individuati e ricostruiti nello svolgimento del fatto - i requisiti necessari e sufficienti a dare ingresso alla revisione della sentenza di primo grado.

Va d'altra parte richiamato, in proposito, l'orientamento secondo cui "in tema di contenzioso tributario, la riproposizione, a supporto dell'appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l'onere di impugnazione specifica imposto dall'art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell'appello, mezzo quest'ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito" (Cass. 1200/16, ord.); si è inoltre affermato che: "nel processo tributario, la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado - in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere - assolve l'onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dall'art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza" (Cass. 14908/14, ord. ed altre).

8. Il secondo motivo è assorbito nel rigetto del primo, poiché l'implicita reiezione dell'eccezione di inammissibilità, proprio perché non espressamente enunciata, non può esternare le ragioni della motivazione.

9. Il quarto motivo del ricorso è fondato.

Come è noto, infatti, il contrasto emerso in seno alla giurisprudenza di legittimità in ordine alla natura dichiarativa o costitutiva della rendita con riferimento ad immobili classificabili in categoria D ai fini della determinazione della base imponibile dell'io, tributo per il quale i precedenti versamenti siano stati provvisoriamente effettuati secondo il valore contabile, è stato risolto dalle Sezioni Unite di questa Corte, che hanno affermato il seguente principio di diritto: «In tema di ICI, il metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili, previsto dall'art. 5, comma 3, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all'anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, vale sino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, mentre, dal momento in cui fa la richiesta, il proprietario, pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall'adesione al sistema generale della rendita catastale, sicché può essere tenuto a pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tali sensi), o avere diritto di pagare una somma minore, potendo, quindi, chiedere il relativo rimborso nei termini di legge». (Cfr. Cass. sez. unite 9 febbraio 2011, n. 3160 e Cass. civ. S.U. 15 febbraio 2011, n. 3666, alle quali si è uniformata la successiva giurisprudenza).

Detto principio, reso riguardo ad immobili classificabili in categoria D non ancora iscritti in catasto, risulta a fortiori estensibile ad immobile già accatastato ed in attesa di attribuzione di rendita definitiva nella categoria D.

Difatti, gli immobili oggetto dell'imposizione, benché iscritti in catasto erano privi di rendita catastale (fino al provvedimento del Comune di Roma dell'anno 2002) e per essi non risulta presentata alcuna istanza di attribuzione della rendita.

Non essendo stati formulati nuovi rilievi che possano indurre ad una rimeditazione del suddetto indirizzo, ad esso va data in questa sede ulteriore continuità, sicché deve essere cassata la decisione impugnata che non si è attenuta al suddetto principio di diritto, rigettando l'istanza di rimborso delle somme versate in eccesso a titolo d'ICI per l'anno 1998, fondata sull'erroneo calcolo del valore dell'immobile al quale non erano state detratte le rettifiche (circostanza giammai contestata dall'amministrazione comunale).

Il ricorso va dunque accolto con riferimento al quarto motivo, assorbiti il terzo ed il quinto.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Sussistono i presupposti, in considerazione delle alterne vicende del giudizio di merito, per compensare le relative spese.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso con riferimento al quarto motivo, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l'originario ricorso della contribuente;

compensa le spese del giudizio di merito; condanna l'amministrazione comunale alla refusione delle spese di lite sostenute dall'istituto di credito che liquida in euro 2.900,00 per compensi, oltre rimborso forfettario, iva e c.p.a., come per legge.