Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 aprile 2018, n. 9851

IVA - Compravendita di veicoli usati - Regime del margine

 

Fatti di causa

 

A.D. Srl impugnava l'avviso di accertamento per l'anno d'imposta 2004, ai fini Iva, emesso dall'Agenzia delle entrate sul presupposto dell'indebita applicazione del regime del margine alla rivendita di veicoli usati, acquistati dalla contribuente da cedente comunitario soggetto passivo Iva, nonché per l'indebita detrazione Iva per operazioni soggettivamente inesistenti in relazione all'acquisto di due vetture.

L'impugnazione, rigettata dalla Commissione tributaria provinciale di Modena limitatamente alla partecipazione alla frode carosello, era integralmente accolta in appello.

L'Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con quattro motivi, cui resiste la contribuente con controricorso.

La contribuente deposita altresì memoria ex art. 378 c.p.c., con la quale ha chiesto, in via subordinata, l'applicazione dello ius superveniens per la rideterminazione delle sanzioni.

 

Ragioni della decisione

 

1. È infondata, in primo luogo, l'eccepita violazione dell'art. 366, n. 3, c.p.c.: l'esposizione dei fatti di causa, che deve essere "sommaria", risulta adeguata ed idonea a fornirne una sufficiente rappresentazione avuto riguardo all'insorgere della pretesa erariale e alle fasi processuali, nonché alle doglianze dedotte, neppure potendosi contestare la riproduzione della sentenza d'appello, in sé meramente conclusiva dell'iter processuale.

2. Il primo motivo denuncia ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo in ordine all'applicazione del regime del margine.

2.1. Il secondo motivo denuncia, pure con riguardo all'applicazione del regime del margine, violazione e falsa applicazione degli artt. 36, d.l. n. 41 del 1995, conv. dalla I. n. 85 del 1995, modif. dal d.l. n. 415 del 1995 e 2697 c.c.

3. Il secondo motivo, assorbente del primo, è fondato.

3.1. La problematica, invero, è stata recentemente affrontata, e con riguardo a fattispecie in tutto similare a quella qui in esame, dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 21105 del 12/09/2017.

La Corte ha sottolineato, alla luce degli orientamenti della Corte di Giustizia (e, in ispecie, della recente sentenza 18 maggio 2017, Litdana, C-624/15) e dei coerenti orientamenti della Suprema Corte (Cass. n. 20089 del 24/9/2014; Cass. n. 24604 del 19/11/2014), che "qualora l'amministrazione tributaria ritenga che il contribuente abbia indebitamente fruito del regime del margine, deve contestarne l'esistenza dei presupposti, oggettivi o soggettivi, adducendo elementi specifici e concreti (anche, ovviamente, aventi efficacia meramente presuntiva) e non, quindi, in modo generico"; a fronte di ciò, quindi, spetta al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando "la propria buona fede, intesa come comprensiva sia dell'assenza di consapevolezza che il suo acquisto si iscriveva nel contesto di un'evasione dell'IVA, sia dell'uso della necessaria diligenza, ossia di aver adottato tutte le misure ragionevolmente esigibili da parte di un operatore accorto, al fine di assicurarsi che una tale evenienza dovesse escludersi".

3.2. Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, poi, le Sezioni Unite hanno specificamente affermato che "il cessionario ... deve provare la propria buona fede, cioè di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un'evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto - secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto - al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto", condotta che include "anche l'individuazione, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione in suo possesso, eventualmente integrati da elementi di agevole e rapida reperibilità, dei precedenti intestatari del veicolo, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l'IVA sia stata, o no, già assolta a monte da altri, nell'ambito della catena di fornitura, senza possibilità di detrazione". Ne deriva, correlativamente, che "in caso di esito positivo, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche qualora l'amministrazione dimostri, attraverso indagini e controlli inesigibili dal contribuente, che in realtà l'imposta, per qualsiasi motivo, non era stata detratta", mentre, quando "dalla verifica del contribuente emerga che i precedenti titolari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria, in base al criterio di normalità probabilistica) dell'avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell'IVA assolta a monte per l'acquisto dei veicoli stessi, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell'esercizio dell'attività propria dell'impresa, con conseguente negazione del diritto alla fruizione del trattamento fiscale più favorevole".

3.3. Orbene, nella vicenda in esame le autovetture provenivano (con l'intermediazione della società nazionale R.C. Srl) da cessioni effettuate da numerose (e di rilevanza internazionale) società francesi, spagnole e tedesche di autonoleggio o comunque soggetti passivi Iva e tali indicazioni emergevano dalle carte di circolazione delle vetture.

Giova sottolineare, sul punto, che la circostanza è stata ritualmente dedotta e allegata dall'Agenzia ricorrente mediante la riproduzione dell'avviso di accertamento e, dunque, in osservanza del principio di autosufficienza, sicché è infondata l'eccezione di inammissibilità sollevata dal controricorrente.

3.4. Ne consegue che in relazione ai principi sopra esposti:

1) l'Agenzia delle entrate ha fornito specifici e concreti elementi (presuntivi) per escludere i presupposti per fruire del regime del margine e, per contro, per la peculiare veste professionale ed imprenditoriale ricoperta dal contribuente, questi aveva l'onere di esperire le necessarie verifiche sì da verificare la fruibilità del regime del margine;

2) l'esistenza del diritto alla detrazione Iva, pur non comportando necessariamente che l'avente diritto ne avesse effettivamente fruito, fa, tuttavia, ragionevolmente presumere, in base a criteri di economicità e alla natura ed al carattere neutrale dell'imposta, che l'imprenditore porti in detrazione l'Iva per i beni che utilizza per l'attività d'impresa, sicché spetta al contribuente la contraria prova, nella specie assente, della mancata detrazione, la quale assume rilievo quale fatto impeditivo della pretesa del fisco;

3) la verifica a cura del contribuente si relaziona non alla vigilanza e al controllo sull'osservanza di obblighi altrui ma alla compiuta ed adeguata osservanza di obblighi propri così da poter fruire di un regime oggettivamente più favorevole ma che resta subordinato a specifici presupposti, il cui riscontro costituisce, secondo principi di correttezza e buona fede, che trovano la loro fonte generale negli artt. 1175 e 1375 c.c., compito ed onere proprio (sia pure nei limiti dell'esigibile) del contribuente imprenditore professionale;

4) assumono rilievo - e la relativa verifica rientra nell'onere probatorio del contribuente - tutti i precedenti passaggi dei singoli veicoli poiché dal mero esame dei documenti di circolazione un operatore professionale, qual è quello in giudizio, è in grado di verificare se gli intestatari precedenti al primo acquirente nazionale rivestivano la natura di esercenti attività imprenditoriali in cui le autovetture avevano il carattere di bene strumentale, non assoggettabile al pagamento di Iva.

3.5. La CTR, nell'affermare che "non può imporsi alla acquirente D. di dispiegare un ulteriore controllo per il riesame delle carte di circolazione al fine di eventualmente escludere il regime del margine che il precedente soggetto operatore e suo dante causa ha attestato sulla provenienza non ivata dei beni usati", ossia nel non considerare rilevanti la precedente titolarità sui beni e nell'escludere l'onere di verifica incombente sulla società contribuente, attraverso, in particolare, la disamina della documentazione amministrativa e tecnica relativa ai mezzi, nella necessaria diretta disponibilità del contribuente attesa la sua qualità professionale, non si è attenuta ai principi sopra esposti, sicché la sentenza va cassata con rinvio alla CTR competente per un nuovo esame.

4. Il terzo motivo denuncia, in relazione alla frode carosello, violazione e falsa applicazione degli artt. 19, primo comma, e 54, secondo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, 2729, 2697 c.c., nonché dei principi indicati nelle sentenze della Corte di Giustizia.

4.1. Il quarto motivo denuncia, in relazione al medesimo profilo, insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso.

5. Entrambe le doglianze investono la tematica della detraibilità dell'Iva nel caso di fatturazione per operazioni inesistenti o per operazioni comunque iscritte in un meccanismo negoziale attuato allo scopo di frodare il fisco, questione che, invero, è stata oggetto di numerose decisioni di questa Corte, che hanno investito - alla luce di ripetuti interventi della Corte di Giustizia - che cosa deve essere provato e come è ripartito l'onere della prova tra fisco e contribuente.

Appare opportuno, peraltro, riepilogare e meglio precisare l'assetto della materia (in ispecie, con riguardo alle ipotesi di inesistenza soggettiva), in linea, del resto, con l'approccio già operato da questa Corte con la sentenza n. 24426 del 30/10/2013.

6. Punto di partenza è l'esistenza di una fattura che sia conforme ai requisiti di forma e contenuto richiesti dalla vigente disciplina (art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972 e, con riguardo al diritto unionale, art. 22, par. 3, della Sesta direttiva): essa, in quanto tale, fa presumere la verità di quanto ivi rappresentato, sicché costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell'Iva.

L'art. 168, lett. a, della direttiva 2006/112 puntualizza le condizioni sostanziali per beneficiare di tale diritto: occorre, da un lato, che l'interessato sia un soggetto passivo ai sensi di tale direttiva e, dall'altro, che i beni o servizi invocati a base di tale diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e, a monte, che detti beni o servizi siano forniti da un altro soggetto passivo (v. tra le tante Corte di Giustizia 6 settembre 2012, Tóth, C-324/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14; Corte di Giustizia 19 ottobre 2017, SC Paper Consult, C-101/16).

6.1. La falsità della fattura è, peraltro, potenzialmente idonea ad escludere la riconoscibilità del diritto di detrazione.

Due, in linea generale, le possibili situazioni.

a) Le operazioni commerciali non sono (in tutto o in parte) mai state poste in essere, ossia sono oggettivamente inesistenti e la fattura è mera espressione cartolare di eventi non avvenuti.

b) Le operazioni sono state rese al destinatario, che le ha effettivamente ricevute, da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione rappresentata nella fattura (operazioni soggettivamente inesistenti): l'Iva non è, in linea di principio, detraibile perché versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all'obbligo di pagamento dell'imposta. In altri termini, non entrano nel conteggio del dare ed avere ai fini Iva le fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, in quanto tali fatture riguardano operazioni, per quanto lo riguarda, inesistenti, senza che rilevi che le stesse fatture costituiscano la "copertura" di prestazioni acquisite da altri soggetti (v. Cass. n. 20060 del 07/10/2015).

6.2. Entrambe queste modalità, finalizzate ad incamerare l'Iva addebitata al cliente nella fattura anziché riversarla all'erario, si inseriscono, in genere, in meccanismi frodatori definiti come frodi carosello, caratterizzati anche da una pluralità di scambi e passaggi fittizi ed imperniati sul ruolo delle cd. cartiere, mere "scatole vuote", il cui scopo è quello di emettere false fatture senza essere preposte ad alcuna reale attività economica (salvo non operino anche con società "filtro", sì da rendere più difficile l'individuazione degli autori dell'evasione).

6.3. In un simile contesto, ai fini della ripartizione dell'onere della prova, occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un'eccezione al principio di neutralità dell'Iva che tale diritto costituisce: incombe, dunque, in primo luogo, sull'Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell'esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione. Una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente.

6.4. La prova che deve essere fornita dall'Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti (in disparte l'ipotesi delle operazioni oggettivamente inesistenti, non rilevante nella vicenda in giudizio) si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale e in particolare:

a) l'alterità soggettiva dell'imputazione delle operazioni: il soggetto formale non è quello reale;

b) il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione Iva: non è necessaria la prova della partecipazione all'evasione ma è sufficiente, e necessario, che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole.

6.5. L'elemento sub a) individua la prova dell'evasione fiscale, che si concretizza una volta accertata, anche solo in via presuntiva, la natura di interposto o "cartiera" del soggetto emittente le fatture.

6.6. Quanto all'elemento sub b), va premesso che, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, la circostanza che l'operazione si inserisca in una fattispecie fraudolenta di evasione dell'Iva non comporta ineludibilmente la perdita, per il cessionario, del diritto di detrazione.

È, infatti, configurabile una esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se «non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l'operazione interessata si collocava nell'ambito di un'evasione commessa dal fornitore o che un'altra operazione facente parte della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell'Iva» (Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahagében e David, C-80/11 e C-142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14).

In sintesi, dunque, l'Amministrazione tributaria è tenuta a provare, sia pure anche solo in base a presunzioni, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l'uso dell'ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente, con l'emissione della relativa fattura, aveva evaso l'imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale dubbio ovvero, con espressione efficace, "a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente" (Corte di Giustizia 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C-277/14, par. 50).

6.7. Occorre, peraltro, meglio definire due profili direttamente conferenti l'onere della prova incombente sull'Amministrazione.

6.8. Con riguardo al "tipo" di prova, essa può ritenersi raggiunta se l'Amministrazione fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova "certa" e incontrovertibile di ogni operazione e dettaglio: l'Amministrazione può assolvere al suo onere probatorio anche mediante presunzioni, come prevede per l'Iva l'art. 54, secondo comma, d.P.R. n. 633 del 1972 (analogamente per le imposte dirette: v. art. 39, primo comma, lett. d, d.P.R. n. 600 del 1973) e mediante elementi indiziari (v. Cass. n. 14237 del 07/06/2017; Cass. n. 20059 del 24/09/2014; Cass. n. 25778 del 05/12/2014; Cass. n. 10414 del 12/05/2011; nello stesso senso Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahagében e David, C-80/11 e C-142/11).

È sufficiente, dunque, che gli elementi forniti dall'Amministrazione si riferiscano anche solo ad alcune fatture o circostanze rilevanti per la qualificazione della società interposta come cartiera (quali ad es. la mancanza di sede, la mancanza di iscrizione, l'omesso versamento delle imposte, ...) ovvero a singole indicazioni significativamente riferibili alla sfera di conoscenza o conoscibilità dell'imprenditore.

6.9. In ordine alla prova sull'elemento soggettivo del cessionario-committente (punto b) non è poi ipotizzabile un automatismo probatorio a suo detrimento.

La Corte di Giustizia (22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14) ha infatti espressamente escluso la compatibilità con il diritto unionale di una previsione di legge nazionale che consideri inesistente, in base a criteri predeterminati, il soggetto emittente la fattura e, conseguentemente, neghi al destinatario il diritto a detrazione.

La citata decisione ha evidenziato che "il criterio dell'esistenza del fornitore dei beni o del suo diritto ad emettere fatture ... non figura tra le condizioni del diritto alla detrazione", rilevando esclusivamente che egli abbia "la qualità di soggetto passivo"; né, in ogni caso, possono essere individuate, in termini aprioristici, circostanze oggettivamente preclusive del diritto di detrazione (ossia che consentano di "pervenire automaticamente alla conclusione dell'assenza di un'attività economica" ovvero "dell'assenza della qualità di soggetto passivo") ben potendo esse, di per sé, rinvenire anche altra e congrua giustificazione. È necessario, dunque, tenere conto della concreta vicenda e delle circostanze di volta in volta presenti, spettando all'Amministrazione dimostrare, ed al giudice verificare, "alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal destinatario della fattura verifiche che non gli incombono, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata per fondare il suo diritto alla detrazione si iscriveva in un'evasione dell'Iva".

Sulla scorta di tale pronuncia, questa Corte ha ritenuto che in alcuni casi "l'onere probatorio dell'amministrazione finisce con l'appesantirsi, in quanto, di norma, non è possibile esigere che il cessionario/committente, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni nella catena delle cessioni, verifichi che l'emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi ne disponesse e fosse in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell'Iva, o che disponga dei relativi documenti" (Cass. n. 24490 del 02/12/2015; v. successivamente anche Cass. n. 17290 del 13 luglio 2017), rimarcando, tuttavia, che continua a prospettarsi un obbligo di verifica in capo al cessionario a fronte di indizi che gli consentano di sospettare l'esistenza di irregolarità o di evasione.

Va peraltro rilevato che l'orientamento unitario e consolidato della Corte di Giustizia individua al centro del sistema il principio della neutralità dell'Iva, che esige, qualora siano rispettati i requisiti sostanziali, che la detrazione dell'imposta pagata a monte sia riconosciuta, e da cui deriva, sul piano logico e giuridico, l'impossibilità di fissare in via astratta e preventiva circostanze che ostino al riconoscimento del diritto di detrazione, esclusa, dunque, ogni predeterminata ed astratta inversione dell'onere della prova (v. oltre alle decisioni già citate Corte di Giustizia 15 novembre 2017, Rochus e Finanzamt, C-374/16 e C-375/16; v. anche Corte di Giustizia 7 settembre 2017, Equiom, C-6/16, che, seppure con riferimento ad una diversa questione, precisa che "le autorità nazionali competenti non possono limitarsi ad applicare criteri generali predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, a un esame complessivo dell'operazione interessata").

6.10. L'onere dell'Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va dunque ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta all'Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l'operazione si inseriva in una evasione all'Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell'ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell'affare ed afferenti alla sua sfera di azione.

6.11. Va osservato, in particolare, che (come già sottolineato da Cass. n. 24490 del 2015 cit.), se al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell'esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell'operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell'imprenditore nel settore di mercato in cui opera e l'aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo.

6.12. In via meramente esemplificativa, poiché la valutazione va in ogni caso ancorata alla concreta vicenda, possono costituire elementi di rilevanza sintomatica: l'acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato; la limitatezza dell'eventuale ricarico; la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione; la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato (che esige una più attenta e approfondita valutazione dei propri interlocutori, proprio per verificarne l'effettività), poco importa se giustificata da esigenze di accelerazione e di margini produttivi; la tempistica dei pagamenti, in ispecie se incrociati od operati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali, ovvero se effettuati cash; la qualità del concreto intermediario con il quale sono state intrattenute le operazioni commerciali; il numero, la qualità e la durata delle transazioni, in ispecie a fronte di rapporti contigui e frequentazioni reiterate con i titolari della cartiera, ovvero nel caso in cui il contribuente abbia rapporti commerciali con una pluralità di soggetti aventi la quantità di cartiera; ... .

6.13. Refluisce in questa stessa considerazione anche l'ipotesi di operazione triangolare "semplice", rispetto alla quale la sentenza n. 24426 del 2013 (cui hanno dato seguito Cass. n. 10120 del 21/04/2017, Cass. n. 3474 del 13/02/2018) aveva ritenuto che «l'onere probatorio dell'amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all'esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sé, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poiché l'immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l'ignoranza incolpevole del contribuente».

Esclusa, infatti, una connotazione aprioristica e generalizzante di idoneità probatoria sul piano soggettivo alla sola qualità oggettiva di cartiera del soggetto interposto (in ciò superando il rigore dei citati precedenti), non può peraltro escludersi che l'effettività, suffragata da obbiettivi riscontri, dell'immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti possa rientrare nel novero degli elementi, afferenti alla sfera del destinatario, su cui assolvere l'onere probatorio dell'Amministrazione.

6.14. Raggiunta tale prova, è quindi onere del contribuente dimostrare - oltre all'effettività del suo interlocutore - la propria buona fede, ossia, mutuando i principi affermati da Sez. U, n. 21105 del 2017 e propri della giurisprudenza della Corte di Giustizia, "di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un'evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto - secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto - al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto", non permettendo una diversa conclusione neppure gli accertamenti eventualmente effettuati ed attesa l'inesigibilità di ulteriori e più approfondite verifiche.

6.15. L'onere probatorio incombente sul destinatario può, invero, essere articolato su una pluralità di livelli.

6.16. Può, infatti, investire sia l'asserito carattere di anomalia degli elementi posti in evidenza dal Fisco, sia l'attività conoscitiva preventiva eventualmente posta in essere da cui emergeva, in ordine all'effettività ed operatività dell'impresa interposta, un esito tranquillizzante, mentre non potevano essere esperibili, né tantomeno esigibili, accertamenti più incisivi.

In via meramente esemplificativa, può rilevare, a fronte della contestata carenza di una sede compatibile con l'attività, che essa era utilmente svolta in luoghi diversi dalla sede sociale, e ciò, in ispecie, in caso di esercizio dell'attività in forma dematerializzata o con modalità e-commerce (v. anche Corte di Giustizia 15 novembre 2017, Rochus e Finanzamt, C-374/16 e C-375/16).

6.17. È invece priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale delle scritture, quanto sulle evidenze contabili dei pagamenti quanto, infine, sull'inesistenza di un dimostrato vantaggio perché i prezzi di vendita erano conformi o superiori alla media di mercato. Si tratta, invero, di circostanze, le prime, già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente (e relative a dati e documenti facilmente falsificabili), e, l'ultima, perché riferita ad un dato di fatto esterno alla fattispecie tipica ed inidoneo di per sé a dimostrare l'estraneità alla frode (v. Cass. n. 20059 del 2014 cit.; Cass. n. 428 del 14/01/2015; Cass. n. 29002 del 05/12/2017; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14, sopra citata, che precisa che «in circostanze del genere il soggetto passivo deve essere considerato ... partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall'utilizzo dei servizi nell'ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle»).

7. Vanno dunque affermati i seguenti principi di diritto:

"in tema di Iva, l'Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta" "la prova della consapevolezza dell'evasione richiede che l'Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l'ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l'operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente" "incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un'evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la  diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi".

8. Nella specie, la CTR ha ritenuto "carenti di prova sia la partecipazione della D. alla frode carosello ... sia la sua locupletazione per l'Iva (non potendosi dare per scontato, stante la correntezza del prezzo pagato ... che questa avrebbe dovuto sapere o capire che, a monte, chi aveva ricevuta da lei Iva, non l'avrebbe poi riversata all'erario)".

Ha poi sottolineato che "non è quindi solo un problema di buona fede (che potrebbe anche risultare inefficace ...) ma di assenza di un dimostrato vantaggio della D. in presenza del quale (e soltanto in presenza del quale) potrebbe sorgere la sua compartecipazione al danno all'erario ...".

8.1. Il giudice d'appello, dunque, non si è attenuto ai principi sopra esposti poiché ha ritenuto elemento integrante la condotta rilevante "la partecipazione" alla frode carosello e non, invece, se il contribuente, anche in relazione alla qualità professionale ricoperta e alle concrete modalità di scelta e realizzazione dell'operazione commerciale, "sapeva o avrebbe dovuto sapere con l'uso dell'ordinaria diligenza" che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta, ed ha ritenuto elemento costitutivo della (richiesta) partecipazione l'esistenza "di un dimostrato vantaggio", circostanza, invece, estranea alla struttura della fattispecie.

9. Il quarto motivo resta conseguentemente assorbito.

10. In accoglimento del secondo e del terzo motivo, assorbiti il primo ed il quarto, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione, che provvederà altresì a valutare l'eventuale applicazione dello ius superveniens ai fini della determinazione delle sanzioni.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo ed il terzo motivo, assorbiti il primo ed il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR dell'Emilia Romagna in diversa composizione.