Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 20 aprile 2018, n. 9852

Tributi - Disciplina in materia di società di comodo - Interpello disapplicativo - Provvedimento negativo dell'amministrazione - Impugnabilità - Sussiste

 

Rilevato che

 

l'A. S.r.l. ricorre con tre motivi contro l'Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 1318/1/14 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, del 12/5/2014, depositata il 9/6/2014 e non notificata, concernente l'impugnativa da parte del contribuente del provvedimento prot. n. 917-7317/2011 del 27 luglio 2011, con cui l'Agenzia delle Entrate aveva dichiarato inammissibile, per la "scarna rappresentazione" dei fatti, l'istanza di disapplicazione della normativa antielusiva, presentata dalla società in data 19/4/2011 ai sensi dell'art. 37-bis, comma 8, D.P.R. n. 600/73 e dell'art. 30, comma 4 bis, L. n. 724/1994;

2. con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Puglia, riformando la sentenza della C.T.P. di Bari (che aveva ritenuto non impugnabile il provvedimento negativo dell'amministrazione), sul presupposto della impugnabilità del provvedimento dell'Amministrazione, ha rigettato l'appello dell'A. s.r.l. per le carenze probatorie dovute alla documentazione, insufficiente e poco significativa, allegata all'istanza di interpello disapplicativo;

3. a seguito del ricorso della società contribuente avverso la sentenza della C.T.R. della Puglia, l'Agenzia delle Entrate si costituisce e resiste con controricorso notificato il 10/3/2015, contenente ricorso incidentale condizionato;

4. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 30 gennaio 2018, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n. 168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n. 197;

 

Considerato che

 

1.1. con il primo motivo di ricorso l'A. s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c. e dell'art. 324 c.p.c., con riferimento all'art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.; la società ricorrente ritiene opponibile all'Agenzia delle Entrate il giudicato esterno, rilevabile anche in sede di legittimità, perché formatosi in data 29/9/2014, successivamente alla sentenza di appello, e conseguente alla definitività della sentenza n. 346/10/14 della C.T.R. della Puglia, avente ad oggetto l'impugnativa dei giudizi riuniti, relativi agli avvisi di accertamento n. TVF030202622/2010 e n. TVF030202627/2010, notificati in data 2/7/2010;

con tali avvisi, l'Amministrazione aveva avviato nei confronti della A. s.r.l. il recupero di IRES ed IRAP per gli anni di imposta 2006 e 2007, motivando la ripresa a tassazione sulla base dei provvedimenti di improcedibilità emessi dalla Direzione Regionale della Puglia dell'Agenzia delle Entrate, in relazione alle istanze di disapplicazione della normativa antielusiva presentate dalla società ricorrente per gli anni 2006 e 2007;

in particolare, la sentenza n. 346/10/14 ha stabilito che "non è possibile ritenere detta società non operativa, ai fini dell'applicabilità delle norme antielusive", poiché "la documentata mancata realizzazione dell'opificio industriale ha comportato, come naturale conseguenza, l'impossibilità di poter conseguire alcun reddito di impresa, tanto meno quello minimo presuntivamente determinato ex lege per le società cd. non operative"; inoltre, continua la citata sentenza, "in assenza di reddito di impresa, comprovato dalla mancata realizzazione dell'opificio industriale che quel reddito avrebbe dovuto produrre, non è possibile ritenere la detta società non operativa ed assoggettarla alle presunzioni che accompagnano al normativa antielusiva";

secondo la ricorrente, tale decisione, divenuta definitiva per la mancata impugnazione dell'Agenzia delle Entrate, esplica l'efficacia preclusiva del giudicato nel giudizio attuale, stante l'evidente comunanza dei presupposti soggettivi ed oggettivi;

la ricorrente sul punto richiama anche la sentenza n. 13916/2006 delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui l'accertamento definitivo contenuto in una decisione, può estendersi anche ad un altro periodo di imposta, in ordine alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause;

conclude la ricorrente che nel caso di specie risulta evidente che entrambe le controversie vertono sul medesimo rapporto giuridico riguardante anni di imposta in cui la situazione della società è rimasta immutata;

1.2. il motivo è infondato e deve essere rigettato;

1.3. non risulta, infatti, la comunanza dei presupposti oggettivi, invocata dalla società ricorrente quale condizione per la riferibilità del giudicato esterno alla fattispecie in esame; in particolare, non sembra appropriato il riferimento alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 13916/2006, poiché il giudice di appello ha ritenuto che non vi fosse la prova della mancata realizzazione dell'opificio nell'anno 2010, né del fatto che effettivamente la situazione della società sia rimasta immutata (la C.T.R. non ritiene prova sufficiente le fotocopie di fotografie scattate in data 28/4/2008, riproducenti fabbricati non identificabili, nè il bilancio privo di relazione integrativa, da cui non si evincono le oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi); questa Corte, in tema di efficacia del giudicato esterno per diverse annualità di imposta, in diversa fattispecie ha precisato che " la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l'entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d'imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l'accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti ed a diverse annualità (Cass. Sent. n. 6953/2015; n. 4832/2015);

2.1. con il secondo motivo di ricorso, la società deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., dell'art. 30 comma 1 L.n. 724/1994, nonché dell'art. 37 bis, comma 8, D.P.R. n.600/1973, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.; in particolare, la ricorrente deduce la violazione della ripartizione dell'onere probatorio, poiché l'Amministrazione aveva l'onere di dimostrare la ricorrenza dei presupposti di una pratica elusiva e non lo aveva fatto, mentre la società aveva fornito idonea prova in ordine ai motivi per i quali era impossibilitata a svolgere l'attività di impresa;

2.2. anche il secondo motivo è infondato e deve essere rigettato;

2.3. la disciplina vigente in materia di società di comodo, infatti, prevede che il contribuente, che avanzi l'interpello per la disapplicazione delle norme antielusive, dia la dimostrazione della sussistenza dei presupposti per l'invocata disapplicazione; nella fattispecie in esame la contribuente doveva provare la propria operatività, ovvero i motivi per i quali era impossibilitata a svolgere l'attività imprenditoriale; non si ravvisa , quindi, alcuna violazione delle norme in tema di riparto dell'onere probatorio, perché i giudici di appello, con un giudizio di fatto insindacabile in questa sede, hanno ritenuto che la società ricorrente non avesse ha fornito tale dimostrazione;

3.1. con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 6, comma 4, dell'art. 30, commi 1, 3, 4 e 4 bis, L. n. 724/1994, nonché dell'art. 72 D.P.R. n. 917/86 e dell'art. 53 Cost., in relazione all'art. 360, comma 1, n.3, c.p.c., poiché la documentazione ritenuta dall'Amministrazione indispensabile ai fini dell'esame e dell'eventuale accoglimento dell'istanza di disapplicazione (certificazione di inagibilità degli immobili di proprietà della contribuente, ovvero la nota integrativa al bilancio) era in possesso di altre amministrazioni pubbliche e non poteva essere richiesta alla società;

3.2. anche tale ultimo motivo risulta infondato, poiché la società istante aveva l'onere di allegare alla propria richiesta i documenti necessari al suo esame e, secondo il giudice di merito, non ha provveduto a tanto; ogni ulteriore valutazione in ordine alla prova è preclusa in sede di giudizio di legittimità, come già rilevato sopra, al punto 2.3.; per quanto riguarda, poi, la "ratio" della disciplina antielusiva e la sua coerenza con il sistema e con l'art. 53 Cost., deve rilevarsi che l'art. 30, comma 1 della legge n. 724/1994 ha introdotto una presunzione legale relativa in base alla quale una società si considera "non operativa" se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati in conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società (cosiddetto test di operatività dei ricavi); siccome l'art. 30 della Legge n. 724/1994 individua la società "non operativa" esclusivamente sulla base del criterio quantitativo del test, indipendentemente dalle intenzioni e dal comportamento dei soci, il comma 4 bis dell'art. 30 della Legge n. 724/1994 ha previsto la possibilità di presentare istanza di interpello (chiedendo la disapplicazione delle "relative disposizioni antielusive") in presenza di situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell'imprenditore) che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui al comma 1 dell'art. 30; tale normativa, rispondente a fini antielusivi, è funzionale alla realizzazione piena del principio di capacità contributiva, cui è stato geneticamente collegato con la sentenza n. 30055/08 delle Sezioni Unite di questa Corte; l'esigenza di coniugare l'equilibrio nel riparto del carico fiscale e il diritto di difesa del contribuente appare sufficientemente garantita dagli strumenti del contraddittorio e della necessaria motivazione puntuale della condotta elusiva nell'avviso di accertamento; la decisione impugnata fa corretta applicazione dei principi sopra esposti e non lede in alcun modo i diritti del contribuente, attenendosi alle previsioni di legge;

4.1. atteso il rigetto del ricorso, rimane assorbito il ricorso incidentale dell'Agenzia delle Entrate, avanzato solo in via subordinata all'accoglimento del ricorso principale;

5.1. la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in dispositivo;

5.2. sussistono i presupposti, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, per la condanna della ricorrente al versamento del doppio del contributo unificato;

 

P.Q.M.

 

Assorbito il ricorso incidentale condizionato, rigetta il ricorso principale e condanna la ricorrente al pagamento in favore dell'Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 oltre spese prenotate a debito;

sussistono i presupposti, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, per la condanna della ricorrente al versamento del doppio del contributo unificato.