Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 20 aprile 2018, n. 9848

Tributi - IVA - Commercio auto usate - Regime del margine - Presupposti di applicazione del regime agevolativo - Onere di prova a carico del contribuente

 

Rilevato che

 

- con sentenza n. 226/65/2010 depositata il 25 novembre 2010, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, ha respinto l'appello proposto dalla Agenzia delle entrate nei confronti di A. s.r.l. avverso la sentenza n. 183/15/2007 della Commissione tributaria provinciale di Brescia, accogliendo, in riforma di quest'ultima, il ricorso introduttivo del contribuente avverso l'avviso di accertamento R0S0100187 con il quale l'Agenzia delle entrate, Ufficio di Salò, sulla base di p.c.v. della G.d.F. di Crema e di p.v.c. redatto dai funzionari dell'Ufficio di Salò, aveva contestato alla società A. s.r.l. una maggiore materia imponibile, per l'anno di imposta 2001, per illegittima applicazione del regime del margine di cui all'art. 36 del D.L. n. 41 del 1995, come convertito, e per maggiori ricavi emersi a seguito di accertamento induttivo ex art. 55 del D.P.R. n. 633 del 1972;

- il giudice a quo, in punto di fatto, premetteva che: 1) la società A. s.r.I., eccependo il difetto di motivazione dell'atto impositivo e l'illegittimità degli accertamenti effettuati, aveva proposto dinanzi alla CTP di Brescia ricorso avverso l'avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle entrate - Ufficio di Salò, aveva recuperato a tassazione maggiore materia imponibile ai fini Iva per illegittima applicazione del regime del margine e aveva contestato maggiori ricavi ricostruiti induttivamente; 2) la CTP aveva accolto parzialmente il ricorso nella parte relativa all'Iva, non risultando provato in ordine all'applicazione del regime del margine che la società fosse a conoscenza della frode fiscale; 3) l'Agenzia delle entrate aveva proposto appello sostenendo la inapplicabilità del regime del margine, potendo la contribuente accertare con la normale diligenza la inesistenza in capo al cedente dei requisiti ex art. 36 del d.l. n. 41 del 1995, e deducendo, altresì, la contraddizione tra motivazione e dispositivo che accoglieva il ricorso per la parte Iva, pur vertendosi esclusivamente in materia di Iva; 4) Ia A. s.r.l. aveva controdedotto che la CTP aveva sostanzialmente accolto interamente il ricorso, e che, in ogni caso, ricorrevano i presupposti per l'applicazione del regime del margine e le violazioni accertate nella ricostruzione dei ricavi erano mere irregolarità formali;

- la CTR, in punto di diritto, per quanto interessa, affermava che la sentenza della CTP era nulla ex art. 156 c.p.c. per insanabile contrasto tra la motivazione e il dispositivo, e che, conseguentemente, la causa doveva essere decisa nel merito;

- quanto al regime del margine, il giudice di appello affermava che «lo stesso processo verbale di constatazione della Guardia di finanza dà atto che gli acquisti delle vetture da parte della A. s.r.l. erano accompagnati dalla dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata dal venditore circa l'applicabilità del regime del margine» e che «A fronte di tale documentazione, era onere dell'ufficio provare la fondatezza delle proprie riprese. In particolare, l'Amministrazione Finanziaria avrebbe dovuto dimostrare che la falsità di tali dichiarazioni fosse imputabile alla società qui accertata ovvero che questa ne fosse quanto meno a conoscenza. Prova che (nel) caso in esame manca. Né, d'altra parte, può ascriversi alla società contribuente l'obbligo di effettuare verifiche circa la correttezza della documentazione in proprio possesso nonché circa il regime fiscale che ha caratterizzato le operazioni precedenti, non avendo la parte privata potere alcuno per esercitare siffatti controlli presso terzi soggetti e ciò a maggior ragione allorquando si tratti di società ubicate all'estero»;

- quanto all'utilizzabilità dell'accertamento induttivo per la determinazione dei maggiori ricavi, dopo avere richiamato il contenuto dell'art. 55, comma 2, del D.p.r. n.633 del 1972, il giudice di appello ha affermato che «presupposto dell'operato dell'ufficio è in primis la mancata indicazione di tre autoveicoli acquistati tra le rimanenze finali, ma tale assunto è smentito documentalmente da parte contribuente mediante allegazione dei documenti fiscali che attestano che detti veicoli non andavano inseriti tra le rimanenze finali perché venduti prima del 31.12.2001 oppure acquistati dopo il 01.01.2012. Né le ulteriori contestazioni quali la presenza in azienda di un soggetto non inserito nel libro matricola ovvero le irregolarità sugli acquisti di prezzi di ricambio (neppure rilevanti perché non portate in detrazione in sede di dichiarazione annuale) rappresentano elementi tali da comportare una totale inattendibilità delle scritture contabili. Per tutte tali ragioni, risulta inutilizzabile il metodo induttivo»;

- contro la sentenza della CTR, l'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, che affida a due motivi, cui la società contribuente resiste con controricorso;

- la società ricorrente deposita procura speciale notarile di nomina di nuovo difensore in sostituzione e memoria ex art. 380bis1 c.p.c. con la quale insiste nel rigetto del ricorso principale;

- il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 375, secondo comma, e dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall'art. 1 - bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, 197.

 

Considerato che

 

- con il primo motivo di ricorso, l'Agenzia ricorrente, denunciando, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 37 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito dalla legge 22 marzo 1995, n. 85 e dell'art. 2697 c.c. censura la sentenza impugnata per avere il giudice a quo, disconoscendo i principi di diritto enunciati da questa Corte nella sentenza n. 3427 del 2010 (e in altre successive), ritenuto legittima l'applicazione da parte della A. s.r.l. del regime del margine in materia di IVA, relativamente ad una pluralità di operazioni di rivendita di autoveicoli usati acquistati da altro rivenditore nazionale, a sua volta cessionario di una società estera, tutti soggetti passivi d'imposta;

- in particolare, l'Agenzia delle entrate contesta la ratio decidendi della sentenza impugnata - con la quale, come indicato in narrativa, il giudice di appello ha ritenuto sufficiente ai fini anzidetti la dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata, all'atto degli acquisti, dal cedente circa la previa applicabilità alle cessioni in questione del regime del margine, con conseguente onere a carico dell'Amministrazione finanziaria di provare le proprie pretese - sul rilievo che, a fronte della contestazione dell'amministrazione, basata su elementi oggettivi e specifici, la contribuente - cessionaria non aveva assolto l'onere probatorio in ordine alla sussistenza in capo all'originario cedente-operatore comunitario dei "requisiti soggettivi" di cui all'art. 36, comma 1, del D.L. n. 41 del 1995, e, dunque, in ordine alla condizione indefettibile di applicabilità del regime speciale del margine concretantesi nella indetraibilità dell'Iva versata "a monte" da un soggetto appartenente ad una delle categorie indicate dalla legge;

- il primo motivo è fondato alla luce dell'orientamento espresso dalle sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., 12 settembre 2017, n. 21105) secondo cui «In tema di IVA, il regime del margine - previsto dall'art. 36 del d.l. n. 41 del 1995, conv. con modif. in I. n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d'occasione, di oggetti d'arte, da collezione o di antiquariato - costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell'imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi. Pertanto, qualora l'amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest'ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un'evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto. Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, dunque, rientra nella detta condotta diligente l'individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l'IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione. Nel caso di esito positivo della verifica, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche quando l'amministrazione dimostri che, in realtà, l'imposta è stata detratta. Nell'ipotesi, invece, in cui emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria) dell'avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell'IVA, assolta a monte per l'acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell'esercizio dell'attività propria dell'impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole»;

- nella sentenza impugnata, il giudice a quo, nel valutare il comportamento della A. s.r.I., non si è attenuto al principio di diritto sopra richiamato;

- infatti, a fronte di una oggettiva e specifica contestazione dell'erario circa la presunta mancanza dei requisiti soggettivi per l'applicazione del regime del margine, il giudice di appello, nel ritenere sufficiente ai fini dell'applicazione del regime del margine la dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata, all'atto degli acquisti, dal cedente circa il previo assoggettamento delle cessioni a tale trattamento fiscale derogatorio, non ha fatto ricadere sulla contribuentecessionaria la prova della propria buona fede, e, cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un'evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto);

- pertanto, il giudice a quo, in violazione del principio di diritto sopra richiamato, non ha fatto rientrare nell'ambito delle precauzioni che si potevano senz'altro richiedere alla contribuente-cessionaria di veicoli d'occasione l'esame della "storia" dei veicoli, quantomeno con riferimento all'individuazione dei precedenti intestatari del mezzo, risultanti dalla carta di circolazione, documento in possesso dell'acquirente in quanto indispensabile per il perfezionamento dell'operazione; ciò al fine di verificare, eventualmente mediante l'acquisizione di ulteriori dati di rapido reperimento, se essi fossero, o meno, soggetti legittimati ad esercitare il diritto di detrazione dell'IVA ;

- alla luce di quanto sopra, ricadendo sul cessionario l'onere della prova in ordine ai presupposti dell'applicazione del regime agevolativo, risultano prive di pregio le eccezioni sollevate dalla società A. s.r.l. in ordine al fondamento della pretesa dell'erario su "mere presunzioni", per non essere stati allegati in atti da parte dell'Agenzia delle entrate né i processi verbali di constatazione né i libretti di circolazione, dai quali ultimi il contribuente-cessionario avrebbe dovuto desumere l'impossibilità di fruire del regime del margine;

- con il secondo motivo l'Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell'art. 55 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 per avere erroneamente il giudice di appello ritenuto inutilizzabile, nella fattispecie in questione, il metodo di accertamento induttivo, sul presupposto che le diverse contestazioni mosse dall'ufficio non rappresentassero «elementi tali da comportare una totale inattendibilità delle scritture contabili»;

- il motivo è inammissibile;

- uno dei presupposti richiesti per il ricorso all'accertamento induttivo è quello di fatto concretantesi nella inattendibilità delle scritture contabili del contribuente (art. 55, comma 2, n. 3 del D.P.R. n. 633 del 1972; in materia di imposte dirette, art. 39, comma 2, lett. d) D.P.R. 29 settembre del 1973, n. 600);

- lo stabilire se «le omissioni e le false o inesatte indicazioni (...) ovvero le irregolarità formali dei registri e delle altre scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione, sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibile la contabilità del contribuente» costituisce oggetto di un apprezzamento in facto, non di una valutazione de iure;

- ne consegue che l'apprezzamento con il quale il giudice di merito non ha ritenuto sussistere quel presupposto di fatto non è censurabile in questa sede, se non sotto l'aspetto motivazionale (in tal senso, da ultimo, Cass. 2 agosto 2017, n. 19194);

- in definitiva, va dichiarato inammissibile il secondo motivo del ricorso; va accolto il primo motivo e cassata la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, in diversa composizione, affinché esamini il merito della vicenda.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo del ricorso; dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, in diversa composizione.