Licenziamento disciplinare e condotta tipizzata estranea al rapporto

La condotta tipizzata, idonea a giustificare la sanzione espulsiva, attinente a fatti estranei al rapporto lavorativo, non richiede che il giudice di merito debba valutare l’incidenza determinante ai fini del venir meno della fiducia del datore al corretto temporaneo espletamento del rapporto lavorativo (Corte di Cassazione, ordinanza 20 marzo 2018, n. 6973)

Il caso giudiziario riguarda la domanda proposta da un lavoratore al fine di far acclarare l’illegittimità del suo licenziamento. Invero, il soggetto in questione era stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere per circa un mese, poi era collocato agli arresti domiciliari, ma comunque autorizzato ad allontanarsi dal luogo di detenzione domiciliare per svolgere attività lavorativa presso l'azienda; il rapporto di lavoro era proseguito per oltre sei anni, con l’azienda che aveva considerato il periodo di assenza dovuto alla limitazione della libertà personale come "permesso personale non retribuito". Successivamente, a carico del lavoratore era intervenuta una sentenza di condanna per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti; di qui al medesimo veniva contestato il comportamento per cui era stato condannato e infine irrogata la sanzione del licenziamento.
In sede giudiziaria, il lavoratore contestava così che l'esercizio del potere disciplinare dovesse considerarsi tardivo ed immotivato sia in relazione alla ritenuta lesione del vincolo fiduciario, sia in rapporto al principio della proporzionalità della sanzione irrogatagli. Tanto in sede di primo grado che di appello, il ricorso era respinto, In particolare, la Corte di appello riteneva la contestazione tempestiva, considerato che l'avvenuta conoscenza del fatto di rilevanza disciplinare non era da riferirsi all'illecito penale, bensì alla condanna con sentenza passata in giudicato. L'attesa della definizione del procedimento penale era giustificata da un'esigenza di maggior favore e di garanzia per il lavoratore stesso, cui era stato consentito di difendersi compiutamente nella sede naturale prima di subire qualsiasi provvedimento disciplinare. Altresì, si trattava di una ipotesi di violazione, con applicazione della sanzione espulsiva, tipizzata dalla contrattazione collettiva di riferimento: "condanna ad una pena detentiva comminata al lavoratore, con sentenza passata in giudicato, per azione commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro che leda la figura morale del lavoratore".
Ricorre così in Cassazione il lavoratore, lamentando che la deliberata decisione del datore di non interessarsi ai fatti costituenti illeciti commessi dal lavoratore, fosse stata espressione di assoluta fiducia che impediva di ritenere integrata una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento.
Per la Suprema Corte il ricorso non è fondato. Non è, infatti, configurabile una acquiescente rinuncia allo strumento disciplinare da parte datoriale, non imponendo la legge e tantomeno il CCNL di riferimento una immediatezza di reazione, ma una ragionevole plausibilità del differimento di quest'ultima, che nella specie deriva dal dovere considerare, in relazione alla condotta disciplinarmente sanzionata, il lasso di tempo intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza di condanna del lavoratore e la reazione datoriale. Peraltro, la condotta tipizzata, idonea a giustificare la sanzione espulsiva, attinente a fatti estranei al rapporto lavorativo, non richiede che il giudice di merito dovesse valutare l’incidenza determinante ai fini del venir meno della fiducia del datore al corretto temporaneo espletamento del rapporto lavorativo fino alla decisione di condanna con sentenza passata in giudicato. In ogni caso, tuttavia, se i fatti commessi fossero stati per loro natura di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità del rapporto, anche provvisoria, il datore di lavoro avrebbe potuto esercitare il diritto di recesso senza necessità di attendere la sentenza definitiva di condanna, indipendentemente dalla circostanza che il CCNL avesse previsto, come nella specie, la più grave sanzione espulsiva solo in tale circostanza.