Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 gennaio 2018, n. 1590

Dichiarazioni dei redditi - Violazioni - Omessa presentazioni delle dichiarazioni fiscali - Sanzioni penali

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 26 settembre 2016 la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo del 15 febbraio 2016 e tenuto conto della recidiva specifica infra-quinquennale e reiterata, ha infine rideterminato in anni due mesi nove e giorni dieci di reclusione la pena complessivamente inflitta a P. V., in qualità di legale rappresentante della s.r.l. Alesa Industrie corrente in Milano, per i reati di cui all'art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 in relazione all'omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali per l'anno 2008, con le conseguenti sottrazioni d'imposta, e di cui all'art. 81 capoverso cod. pen. e 10-ter d.lgs. 74 del 2000 in relazione all'art. 10-bis d.lgs. 74 cit., atteso il mancato versamento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta per l'anno 2007.

2. Avverso la predetta sentenza il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Brescia e l'imputato hanno proposto separati ricorsi.

3. In particolare, con unico motivo di impugnazione il Procuratore Generale lombardo ha osservato, quanto al trattamento sanzionatorio, che l'aumento della pena base per il primo reato era stato quantificato, in violazione dell'art. 99, ult. comma, cod. pen., in dieci mesi di reclusione, laddove la somma delle pene inflitte con le condanne evocate in sentenza di appello ammontava, operato il ragguaglio a norma dell'art. 135 cod. pen., a mesi tre giorni venti di reclusione.

Stante la necessità di rideterminare la pena base, doveva quindi procedersi al successivo aumento per la continuazione a norma dell'art. 81, ult. comma, cod. pen..

4. L'imputato ha proposto due motivi di ricorso.

4.1. Col primo motivo ha dedotto l'omessa valutazione delle doglianze difensive, sì che il provvedimento recava una mera apparenza di motivazione, basata sulla sola constatazione che l'imputato fosse il legale rappresentante della società.

In particolare, l'istruttoria dibattimentale aveva confermato l'insussistenza della prova della consapevolezza in capo all'imputato, mentre le attenuanti generiche erano state negate unicamente sulla base dei precedenti penali a carico del medesimo ricorrente.

4.2. Col secondo motivo veniva riproposta, in ordine al trattamento sanzionatorio, la medesima censura già formulata dal Procuratore generale distrettuale.

5. Il Procuratore Generale ha concluso in udienza nel senso dell'annullamento senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio, da rideterminarsi in anni due mesi uno di reclusione.

 

Considerato in diritto

 

6. I ricorsi sono fondati nei termini di seguito indicati.

6.1. Osserva preliminarmente la Corte che l'esame dei motivi di ricorso può essere effettuato prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e ciò in quanto i giudici di merito hanno adottato, quanto al profilo della responsabilità dell'imputato, decisioni e percorsi motivazionali comuni che possono essere valutati congiuntamente, ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente.

E' infatti appena il caso di ricordare che qualora il giudice d'appello abbia accertato e valutato, come in specie, il materiale probatorio con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado, le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella d'appello (Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Scardaccione, Rv. 197250). Invero, allorché le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (ex plurimis, Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906).

6.2. In relazione all'impugnazione proposta dal V., il provvedimento impugnato ha dato espressamente conto, ed al riguardo non vi è censura di sorta, che in sede di appello la difesa dell'odierno ricorrente ha richiesto l'assoluzione assumendo che gli emolumenti percepiti dalla s.r.l. Alesa Industrie erano del tutto virtuali e non effettivi, e che la stessa operava come cartiera emettendo fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, al fine di giustificare contabilmente gli acquisti di merce in nero effettuati da altra società, la s.r.l. Gruppo 2000 corrente in Molfetta. In ragione di ciò, il V. stesso aveva assunto il ruolo di mera testa di legno, laddove l'amministrazione di fatto delle due società era riconducibile ad altro soggetto, che aveva materialmente conseguito i proventi dell'attività illecita.

Ciò premesso, del tutto correttamente la Corte territoriale ha osservato che tutto ciò non esimeva dagli obblighi fiscali, legati alla presentazione delle dichiarazioni annuali ed al pagamento dell'imposta sul valore aggiunto. Tanto più che il Tribunale di Bergamo aveva osservato che le condotte omissive erano preordinate all'evasione fiscale, in quanto l'omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali era stata accompagnata dal mancato versamento dell'Iva proprio in relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti, e che in ogni caso per l'imputato, amministratore di diritto ma comunque operativo nella gestione della società, era sufficiente la ricorrenza del dolo eventuale.

A tal proposito, è stato osservato che del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA l'amministratore di fatto risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l'azione dovuta, mentre l'amministratore di diritto, quale mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell'evento (artt. 40, comma secondo, cod. pen. e 2392 cod. civ.), a condizione che ricorra l'elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015, Biffi, Rv. 264971), ossia che il prestanome abbia agito col fine specifico di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l'evasione fiscale di terzi (Sez. 3, n. 15900 del 02/03/2016, Gagliotta, Rv. 266757).

In specie, il ricorrente, cui il Tribunale orobico ha comunque riconosciuto altresì una non contestata forma di partecipazione attiva alla vita societaria, è risultato pienamente coinvolto nella gestione sociale invero operando sui relativi conti bancari, così palesando la sua piena ed esperta consapevolezza dei meccanismi e dell'operatività illecita della società (in proposito il ricorso non spende parola, laddove comunque anche nel provvedimento direttamente impugnato è stata infatti annotata l'esistenza di numerose condanne per fatti di analoga natura).

Tra l'altro lo stesso Giudice lombardo ha appunto evocato la sufficienza del dolo eventuale, ed infatti nelle occasioni in cui questa Corte si è occupata di reati, anche omissivi, commessi in nome e per conto della società, ha individuato nell'amministratore di fatto il soggetto attivo del reato e nel prestanome il concorrente per non avere impedito l'evento che in base alla norma citata aveva il dovere di impedire. Proprio perché il più delle volte il prestanome non ha alcun potere d'ingerenza nella gestione della società per addebitargli il concorso, questa Corte ha fatto ricorso alla figura del dolo eventuale; si è sostenuto cioè che il prestanome accettando la carica ha anche accettato i rischi connessi a tale carica (così cfr. in motivazione Sez. 3, n. 38780 cit., con richiami ad es. a Sez. 5, n. 7208 del 26/01/2006, Filippi ed altro, Rv. 233637; da ult. ad es. Sez. 5, n. 7332 del 07/01/2015, Fasola, Rv. 262767).

6.3. In relazione poi alla mancata concessione delle attenuanti generiche, e contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la ratio della disposizione di cui all'art. 62-bis cod. pen. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto - come in specie - in base ai precedenti penali dell'imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826).

Alla stregua di ciò, perde all'evidenza consistenza ogni ragione di censura proposta dal ricorrente, che ha invece sostenuto che la Corte territoriale avrebbe dovuto giustificare le ragioni del diniego. Ma in proposito la Corte di Appello aveva invece motivato in modo del tutto sufficiente e coerente con l'insegnamento richiamato.

6.4. Fondato è invece il rilievo legato al trattamento sanzionatorio, in ordine al quale l'imputato e il Pubblico Ministero territoriale hanno svolto identica censura.

Al riguardo, infatti, a norma dell'art. 99, ultimo comma, cod. pen., l'aumento di pena per effetto della recidiva non può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo.

In specie, invece, l'aumento di pena calcolato per la recidiva è stato operato nei giudizi di merito senza porre riferimento al temperamento di cui alla norma richiamata, sì che detto aumento sulla pena base di anni uno e mesi tre, inflitta per il reato più grave di cui all'art. 5 cit., va rideterminato in mesi tre e giorni venti di reclusione, corrispondente alla somma delle pene inflitte in forza delle condanne citate in sentenza d'appello, tali da radicare la recidiva.

Su detta pena base di anni uno mesi sei e giorni venti di reclusione va infine applicato l'aumento per la continuazione, nella non contestata misura di un terzo a norma dell'art. 81, comma 4, cod. pen., per una determinazione finale di anni due e giorni ventisei (18 mesi e 20 giorni di pena base, pari a 560 giorni più un terzo ex art. 81, comma 4 cit., e quindi 186 giorni ossia mesi sei e giorni sei, per un totale appunto di 24 mesi e 26 giorni, ossia anni due e giorni ventisei).

7. Alla stregua di ciò, la sentenza - disatteso nel resto il ricorso dell'imputato ed accolta così l'impugnazione del Pubblico Ministero - va annullata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio, rideterminato nei termini che precedono.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio, che ridetermina in complessivi anni due giorni ventisei.

Rigetta nel resto il ricorso del V..