Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 dicembre 2017, n. 55794

Reati tributari - Evasione fiscale - Consulente fiscale e amministratore di società di consulenza - Modelli di evasione - Compensazione di crediti tributari inesistenti - Responsabilità penale

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza del 16.05.2017, depositata in data 24.07.2017, il tribunale del riesame di Milano, in accoglimento dell'appello cautelare presentato dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano avverso il provvedimento con cui il GIP, in data 20.02.2017, respingeva la richiesta di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti della M., indagata per i reati di cui agli artt. 110, 81 cpv, c.p. e 10 quater, comma 2, 13 bis, comma 3, d. Igs. n. 74 del 2000 (indebita compensazione in concorso), applicava alla stessa la misura cautelare degli arresti domiciliari, ordinando alla medesima M. di non allontanarsi dal domicilio di Rovereto, e di non aver contatti con persone diverse da coabitati e difensori.

2. Giova precisare, per migliore intelligibilità dell'impugnazione proposta in questa sede, che il provvedimento cautelare in questione era stato emesso a fronte dell'imputazione di cui sopra con cui si contestava all'indagata ricorrente, unitamente ad altri soggetti non impugnanti in questa sede, di aver (la M. in qualità di consulente fiscale e di amministratore di diritto e/o di fatto della MDC s.r.l. e della Fiscal Focus Consulting s.r.l., società di consulenza alle imprese, alla stessa riconducibili), ideato e commercializzato "modelli di evasione fiscale" attraverso cui sarebbero stati commessi più reati di compensazione di crediti tributari inesistenti, per il totale di € 42.558.848,56 nel periodo dal 1.01.2013 al 2.9.2016, compensazioni che alcuni soggetti (M. Michela, sia nella qualità di titolare dell'omonima ditta individuale che quale legale rappresentante della MDC s.r.l. dal 27.05.2014 al 1.09.2015 e della Fiscal Focus Consulting s.r.l. dal 16.09.2015, Torti Fabio quale legale rappresentante della MDC s.r.l. fino al 27.05.2014 e P. A. quale legale rappresentante della MDC s.r.l. dal 1.09 al 31.12.2015) effettuavano mediante la trasmissione telematica di modelli F24, accollandosi il debito tributario riferibile a terzi, in ciò consentendo loro l'apparente regolarizzazione della propria posizione fiscale, il tutto utilizzando crediti fittizi.

3. Contro l'ordinanza emessa dal tribunale del riesame di Milano, ha proposto ricorso per cassazione la M., a mezzo del difensore di fiducia iscritto all'albo ex art. 613 c.p.p., prospettando due motivi, di seguito enunciati nei limiti stretta- mente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

3.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., per violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 310 c.p.p., 10 quater, d. Igs. n. 74 del 2000 e 48 c.p.

In sintesi, sostiene, anzitutto, la difesa della ricorrente che, nel caso di specie, essendosi in presenza di un reato proprio, esso può essere commesso esclusiva- mente da parte del contribuente, alla luce della efficacia interna e non nei confronti del Fisco del rapporto terzo/contribuente (discendente dalla natura del c.d, accollo tributario ex art. 8, co. 2, I. n. 212 del 2000), con la conseguenza che l'accollante non potrebbe mai assumere la veste di contribuente o di soggetto passivo del rapporto tributario, non potendo ad esso applicarsi i principi di solidarietà tributaria ma semmai la sola veste di obbligato in forza del titolo negoziale sottoscritto solo nei confronti del debitore originario ovvero dell'accollato; si osserva, peraltro, che se è ben vero che in astratto potrebbe profilarsi una responsabilità per il terzo o per l'intermediario ex art. 110 c.p., non sarebbe ipotizzabile alcun concorso nel caso concreto, in assenza di una condotta penalmente imputabile al contribuente, soggetto destinatario della previsione normativa; si aggiunge che se il legislatore avesse voluto includere ed estendere la responsabilità del reato di cui all'art. 10- quater, d. Igs. n. 74 del 2000 a terzi soggetti diversi dal contribuente, lo avrebbe espressamente previsto, cosa che invece non è avvenuta laddove ha previsto all'art. 17, d. Igs. n. 241 del 1997 il contribuente quale soggetto passivo di imposta e non altri; quanto sopra sarebbe supportato dalla disciplina in tema di confisca tributaria di cui all'art. 12-bis, n. 2, d. Igs. n. 74 del 2000 dove il riferimento alla figura del "contribuente" non può essere estesa al terzo che in forza di uno schema negoziale sia accollato il debito fiscale, osservandosi che, diversamente, la legge avrebbe previsto anche per il coobbligato solidale la possibilità di avvalersi dei benefici previsti dall'art. 12-bis citato mentre, secondo la normativa attuale, anche se il contribuente originario pagasse il proprio debito tributario i benefici dell'art. 12-bis, n. 2, d. Igs. n. 74 del 2000 sarebbero paradossalmente inapplicabili al terzo accollante; le due figure, dunque, non sarebbero sovrapponibili, con la conseguenza che in capo all'accollante non potrebbe mai essere configurata una responsabilità per il delitto di cui all'art. 10-quater, d. Igs. n. 74 del 2000; per quanto, poi, concerne il profitto del reato tributario contestato, costituito dal risparmio di "spesa" rappresentato dall'ammontare del credito inesistente opposto in compensazione, si afferma che erronea è l'affermazione secondo cui il fatto sarebbe imputabile alla persona dell'accollante considerato nel caso di specie debitore solidale; sul punto si sostiene che l'autore della compensazione illecita, comunque soggetto diverso rispetto al contribuente, non potrebbe aver causato alcun danno all'Erario poiché non ha estinto alcun debito tributario, essendo rimasto in capo al debitore originario l'obbligo del pagamento del tributo, essendo irrilevante la circostanza del risparmio tributario sul debito originario ottenuta in seguito al contratto di accollo; infine, si sostiene che erroneo sarebbe il richiamo da parte del tribunale del riesame all'art. 48 c.p., ossia alla figura del c.d. autore mediato, ipotesi sostenuta in alternativa nell'ordinanza impugnata per individuare la responsabilità dell'indagata; l'affermazione sarebbe contraddittoria, in quanto da un lato, si affermerebbe la responsabilità diretta per il delitto in esame del c.d. accollante e, dall'altro, si richiama l'art. 48 c.p., prospettando comunque un'induzione in errore del contribuente che, a sua volta, integrerebbe la condotta di indebita compensazione; per affermare la responsabilità dell'autore mediato, si osserva, occorrerebbe pur sempre che l'altrui condotta integri il fatto punibile, laddove invece dalla motivazione del tribunale del riesame emergerebbe una ipotesi di reato impossibile.

3.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., per violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 310, 274 e 275 c.p.p.

In sintesi, sostiene, anzitutto, la difesa della ricorrente che dalla motivazione del tribunale del riesame sembrerebbe evincersi che, in assenza della certificazione medica, sarebbe stata applicata la misura custodiale detentiva carceraria anziché quella degli arresti domiciliari, criterio di scelta che violerebbe il disposto dell'art. 275 c.p.p.; in sostanza, senza alcuna motivazione, il tribunale avrebbe ritenuto applicabile la misura degli aa.dd. e in costanza di specifiche ragioni medico-sanitarie, ha applicato la misura custodiale in questione; si tratterebbe di una motivazione apparente; quanto alle esigenze cautelari, si censura l'impugnata ordinanza sotto tutti e tre i profili indicati dal tribunale: a) quanto al pericolo di inquinamento probatorio, si censura il riferimento da parte del tribunale alla sistemazione della contabilità, alla risoluzione di alcuni rapporti per inadempimento dei clienti o, in ultimo, nella trasformazione di alcune voci a bilancio da crediti esigibili a inesigibili, in particolare riferendosi alle conversazioni intercettate tra l'indagata el coindagato P. e tra quest'ultimo ed una terza persona a cui il primo esterna alcune perplessità sulla natura ed esistenza dei crediti (sarebbe stato violato il principio secondo cui l'esigenza cautelare presuppone la verifica della attualità e della concretezza del pericolo di fuga e/o del pericolo di reiterazione del reato o di altri gravi delitti; si sarebbe compiuta una sorta di astrazione dell'elemento temporale, sicché, suggestivamente, ciò che afferisce a fatti risalenti ad oltre un anno fa possa sembrare riproducibile nel presente o nel futuro prossimo; l'evidenza e l'oggettività del dato storico risiedono nella circostanza che l'attività sarebbe cessata nel maggio 2016 e che da allora non vi sarebbero stati segni di contatto con chicchessia e per qualsiasi finalità, sicché la mancanza di concretezza ed attualità del pericolo di inquinamento delle prove renderebbe l'ordinanza affetta dal vizio di motivazione apparente, contraddittoria e mancante, ciò che sarebbe comprovato dal deposito della motivazione del provvedimento a distanza di tre mesi dalla sua decisione); b) quanto al pericolo di fuga, si censura il richiamo contenuto nell'ordinanza impugnata, al viaggio alle Isole Cayman che l'indagata avrebbe compiuto in data prossima al mese di novembre/dicembre 2016, insieme al suo compagno dell'epoca (si osserva che tale "criticità" sarebbe solo suggestiva, ma renderebbe evidente la mancanza di attualità e concretezza dell'esigenza cautelare richiamata, come sarebbe dimostrato dal fatto che dal novembre 2016 l'indagata non si è mai allontanata dall'Italia ma si trova sempre a Rovereto presso l'abitazione della madre; dopo l'arresto del novembre 2016 e la sua scarcerazione del 2.12.2016, la stessa indagata ebbe a comunicare al PM i riferimenti per la sua pronta reperibilità in Italia, come dimostrato dal fatto che tutte le notifiche sono state alla stessa consegnate a mani); c) quanto, infine, al pericolo di reiterazione del reato, si censura il riferimento contenuto nell'ordinanza impugnata al complesso meccanismo fraudolento in cui l'indagata avrebbe assunto un ruolo centrale e di referente per tutti, meccanismo sviluppatosi sin dal 2012 con un incremento esponenziale, con la creazione di nuove società, apporto di nuovi soci e che, nonostante l'intervento dell'Agenzia delle Entrate, si sarebbe protratto sino a maggio 2016; nonostante l'intervento dell'Agenzia, secondo il tribunale, non sarebbe venuto meno il rischio del perpetrarsi della condotta illecita, in relazione alla scarsa capacità di controllo di tali meccanismi fraudolenti, aggiungendo anche che la stessa indagata si era trasferita a Roma dove avrebbe continuato ad operare con nuovi collaboratori (si tratterebbe di motivazione generica, in quanto il lasso temporale di crescita esponenziale sarebbe stato solo enunciato ma non definito; inoltre vi sarebbe una palese contraddizione, laddove, da un lato, si esalta la capacità di replicazione/riproposizione e, dall'altro, contraddittoriamente si definisce l'attività dell'indagata come un complesso meccanismo fraudolento, atteso che se si tratta di un meccanismo complesso con grande difficoltà lo stesso sarebbe riproponibile; si sarebbe dunque in presenza di un richiamo astratto ad un pericolo solo potenziale e non concreto, come anche in relazione al trasferimento a Roma dell'indagata, in quanto dalla motivazione dell'ordinanza emergerebbe che l'attività possa essere reiterata ovunque e, in ogni caso, si sarebbe trattato di sparute operazioni conclusive; evidente dunque, anche per tale esigenza cautelare, la mancanza di concretezza ed attualità, basata su un pericolo di reiterazione scarsamente probabile e meramente ipotetico); conclusivamente, il tribunale del riesame avrebbe affermato la sussistenza delle predette esigenze cautelari esclusivamente in ragione della gravità del reato per cui si procede, violando apertamente ciò che invece la novella del 2015 tendeva ad evitare, essendo comunque palese che lo stato avanzato delle indagini e la natura e qualità dell'attività d'indagine svolta, escluderebbero in radice qualsiasi esigenza cautelare, come del resto confermato dai tempi dell'attuale procedimento, essendo datato il provvedimento del tribunale 16.05.2017, ossia a distanza di un anno dall'ultima operazione asseritamente illecita, peraltro con provvedimento depositato dopo tre mesi dalla decisione, a comprova dell'inesistenza di qualsiasi ragione cautelare.

 

Considerato in diritto

 

4. Il ricorso è infondato e dev'essere rigettato.

5. Il tribunale del riesame, in accoglimento dell'appello del PM, ha infatti esaminato i profili oggetto di doglianza, pervenendo a conclusioni del tutto corrette in diritto.

Ed invero, così procedendo ad esaminare i profili di doglianza illustrati in sede di primo motivo, ha anzitutto escluso la tesi dell'estraneità della ricorrente; in particolare, sotto il profilo materiale, ha sottolineato come la M. abbia fornito un apporto essenziale al meccanismo fraudolento descritto, posto che la stessa indagata personalmente e la MDC s.r.l. risultavano aver esposto nei modelli di dichiarazione relativi agli ultimi anni di imposta ingenti crediti di imposta inesistenti, creati mediante semplice indicazione nei modelli fiscali, nei quali erano indicate altresì acquisizioni di crediti d'imposta trasferiti sia alla M. che alla MDC s.r.l. da parte di soggetti societari sprovvisti dei crediti ceduti; risultavano poi ben 47 i soggetti che avevano fatto ricorso alla M. con trasmissione di ben 229 modelli di pagamento per compensazioni per milioni di euro; inoltre, si legge sempre nell'ordinanza, risulta pacifico come la creazione del meccanismo fosse pacificamente riconducibile alla M., come anche pacifica fosse la fattiva attività da questa svolta per convincere i potenziali clienti della bontà ed esistenza dei crediti, mediante la falsa documentazione loro esibita.

6. Nessun dubbio, poi, in ordine alla corretta qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell'art. 10 quater, co. 2, d. Igs. n. 74 del 2000.

Anche su tale punto, il tribunale del riesame si sofferma osservando correttamente come il reato de quo sia un reato proprio, in cui l’agente - intraneus viene descritto dalla norma come "chiunque", essendo essenziale rimarcare ad avviso del tribunale che la norma pone l'accento non tanto su una qualifica soggettiva ma su un soggetto qualsiasi che peraltro si qualifica in base a ciò che compie, ossia non versa le somme dovute utilizzando in compensazione crediti inesistenti.

Il richiamo è alla norma dell'art. 17, d. Igs. n. 241 del 1997, che così recita: "1. I contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva. La compensazione del credito annuale o relativo a periodi inferiori all'anno dell'imposta sul valore aggiunto, per importi superiori a 5.000 euro annui, può essere effettuata a partire dai decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell'istanza da cui il credito emerge". La norma in questione fa necessariamente riferimento al concetto di contribuente, poiché muove dal presupposto che colui che ricopre una posizione passiva versoi il Fisco (appunto, il contribuente), può scegliere di compensare crediti anziché versare le imposte: il contribuente è, cioè, nella normalità il debitore, che, se assomma su di sé anche la posizione di creditore verso il Fisco, può compensare le due poste; l'art. 10 quater, riferendosi a chi "non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione" crediti inesistenti si riferisce ai soggetti legittimati, ex artt. 17 ss. d. Igs. n. 241 del 1997, ad effettuare pagamenti di imposta utilizzando in compensazione crediti verso l'Erario, ed in tale categoria devono farsi necessariamente rientrare anche coloro che, in virtù del contratto di accollo, agiscono come debitori proprio in virtù del fatto che, con l'accollo, si sono volontariamente fatti carico di debiti altrui.

7. Trattasi, peraltro, di operazione fiscalmente illecita e penalmente rilevante.

In sostanza, detta operazione prevede che il debito del contribuente (accollato) venga pagato da una terza società (accollante), che lo onora non pagandolo direttamente bensì mediante compensazione con un proprio credito, credito che a sua volta l'accollante ha acquistato da soggetti che, per varie ragioni, non potevano monetizzarlo. Nel modello F24, vengono indicati due codici fiscali, inserendo il codice "62", denominato "soggetto diverso dal fruitore del credito" (ris. Agenzia delle Entrate 22 dicembre 2009 n. 286). Infine, il contribuente (accollato) corrisponde aN'accollante una percentuale del valore del proprio debito, risparmiando così la differenza.

Ad ulteriore conferma di quanto sopra, ai fini della configurabilità del reato, peraltro, deve essere evidenziato come la stessa Agenzia delle Entrate, con la recente risoluzione n. 140 pubblicata in data 15 novembre 2017 (la cui rilevanza ha in questa sede solo valenza interpretativa), nel prendere posizione sulla legittimità del pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d'imposta a seguito del c.d. "accollo fiscale", ha fornito una risposta negativa. L'operazione in questione, osserva l'Ufficio, deve infatti essere ritenuta elusiva (e, nel caso di specie, precisa il Collegio, ha rilevanza penale, essendo stato commesso il fatto attraverso l'elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale) non solo della disciplina sulla compensazione, ma anche di quella relativa alla cessione dei crediti d'imposta. L'Agenzia delle Entrate richiama innanzitutto l'art. 8, comma 2, della L. 212/2000, secondo cui è ammesso l'accollo del debito d'imposta, senza liberazione del contribuente originario. Tuttavia, nel momento in cui l'accollante paga mediante compensazione con un proprio credito, entra in gioco la compensazione, disciplinata dalla normativa tributaria di riferimento (in primis dall'art. 17 del D.lgs. 241/97), che, allo stato attuale, non solo non prevede il caso dell'accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti. Come rammentato più volte dalla giurisprudenza, peraltro, l'estinzione del debito mediante compensazione può avvenire, nel settore tributario, solo ove la legge lo ammetta espressamente. Si è infatti affermato che, in materia tributaria, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, riscossione e rimborso ed ogni deduzione sono regolate da specifiche e inderogabili norme di legge. Tale principio non può considerarsi superato per effetto dell'art. 8, comma primo, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (cd. statuto dei diritti del contribuente), il quale, nel prevedere in via generale l'estinzione dell'obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti l'estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall'anno di imposta 2002 (Sez. 6-5, Ordinanza n. 17001 del 09/07/2013, Rv. 627180 - 01; Sez. 5, Sentenza n. 10207 del 18/05/2016. Rv. 639988 - 01). Dunque, non essendo tale modalità consentita dalla legge, l'operazione è illecita e, nei casi come quello qui esaminato, assume anche rilevanza penale, atteso che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, l'istituto dell'abuso del diritto di cui all'art. 10-bis I. 27 luglio 2000, n. 212, che, per effetto della modifica introdotta dall'art. 1 del D.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, esclude ormai la rilevanza penale delle condotte ad esso riconducibili, ha applicazione solo residuale rispetto alle disposizioni concernenti comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, cosicché esso non viene mai in rilievo quando i fatti in contestazione integrino le fattispecie penali connotate da tali elementi costitutivi (v., sul punto: Sez. 3, n. 40272 del 01/10/2015 - dep. 07/10/2015, Mocali, Rv. 264950; Sez. 3, n. 38016 del 21/04/2017 - dep. 31/07/2017, Ferrari, Rv. 270550).

8. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto:

«Integra il delitto di indebita compensazione di cui all'art. 10-quater, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d'imposta a seguito del c.d. "accollo fiscale" ove commesso attraverso l'elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale, in quanto l'art. 17 del D.lgs. 241/97 non solo non prevede /'/ caso dell'accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti».

9. Orbene, proprio analizzando i modelli F24, il c.t. del PM, ricorda il tribunale del riesame, evidenzia come nella sezione "contribuente" vengono riportati sia i dati identificativi del soggetto debitore d'imposta, sia i dati del soggetto coobbligato, ossia del soggetto che effettua il pagamento delle imposte, mediante compensazione, in veste di coobbligato, figura, quest'ultima, prevista dal modello F24 che prevede anche l'utilizzo di un codice che identifichi l'operazione (in particolare, il cod. 62 si riferisce a "soggetto diverso dal fruitore del credito", ossia quando il debito tributario venga pagato da un soggetto diverso dall'effettivo debitore, come nel caso dell'accollo); è dunque evidente come nello stesso modello F24 è espressamente indicato un soggetto coobbligato, che riveste necessariamente la posizione di debitore, anche se, in via derivata, tanto da operare la compensazione con i propri crediti.

10. Quanto, poi, al profilo afferente al profitto del reato il tribunale ritiene condivisibile l'impostazione del PM; si osserva, in particolare, che se nei reati tributari il profitto del reato si identifica nel c.d. risparmio di spesa, nel caso in esame esso coincide con il totale dell'importo portato a compensazione, ossia con il 100% del debito, proprio perché il credito è inesistente; con la compensazione, cioè, l'agente ottiene un beneficio, il risparmio totale di spesa, utilizzando crediti inesistenti; tale 100% indebitamente risparmiato viene ripartito tra accollante e accollato con una regolamentazione tra privati antecedente rispetto alla materiale compensazione; essa infatti, precisa il tribunale, costituisce il comportamento tipico che fa conseguire il risparmio del 100%, che viene ripartito anticipatamente, nella misura del 30% all'accollato, pari al risparmio ottenuto con l'accollo, e nella misura del 70 % all'accollante, con il pagamento ottenuto dall'accollato.

Orbene, che di tale meccanismo e, dunque, del danno cagionato all'erario, debba rispondere anche la ricorrente, deriva dall'impostazione sopra data alla partecipazione della stessa alla commissione del reato, quale autore diretto in quanto il soggetto agente è soggetto che assomma in sé la figura di debitore coobbligato e creditore, a prescindere dal rapporto di debito originario tra debitore ed Erario. Se, cioè, il debitore ritorna a essere per l'Erario, l'unico referente per il debito tributario originario (non essendo l'accollo liberatorio), l'autore dell'indebita compensazione, e, dunque, l'autore del reato, dovrà comunque rispondere verso l'Erario per le conseguenze economiche derivanti dal fatto—reato da lui commesso, per un quantum determinato in base al debito totale indebitamente compensato. L'Erario, dunque, potrebbe essere legittimato nel processo di merito a costituirsi parte civile nei confronti degli autori del reato, soggetti diversi dall'originario debitore, rispetto al quale la pretesa resta ancorata al titolo originario, in quanto responsabili di una condotta fraudolenta penalmente rilevante che ha comportato l'indebito azzeramento della propria pretesa verso il debitore originario, estraneo alla condotta fraudolenta medesima. Sarebbe del tutto illogico, del resto, ipotizzare che sia proprio l'autore della condotta fraudolenta, cui il debitore è estraneo, a beneficiare della permanenza del debito in capo al debitore accollato, quando, invece, è proprio la condotta fraudolenta da lui posta in essere ad avere cagionato un danno all'Erario.

11. Alla stregua di quanto sopra, pertanto, deve anzitutto respingersi il primo motivo di ricorso che ruota attorno alla presunta estraneità della M. rispetto ai fatti contestati, essendo evidente per le ragioni esplicitate quindi che la responsabilità della stessa discenda proprio dalla natura dell'operazione di accollo fiscale posta in essere, dovendosi differenziare l'ascrivibilità a titolo diretto o per effetto del disposto dell'art. 48 c.p. a seconda che il debitore sia o meno consapevole dell'inesistenza del credito da compensare; nel primo caso, infatti, come evidenziato nell'ordinanza, è il soggetto agente che assomma in sé la figura di debitore coobbligato e creditore, dunque non è necessario il ricorso al c.d. autore mediato (come, ad esempio, si legge nell'ordinanza, nel caso del P. A., debitore iscritto nel registro degli indagati per cui è stato ritenuto ipotizzabile il concorso, insieme al P. ed alla M.); diversamente, ove il debitore sia inconsapevole, trova applicazione l'art. 48 c.p., in quanto, in quest'ultimo caso, l'accollante stipula il contratto con il debitore accollato ingannandolo sull'esistenza dei crediti, con ciò inducendolo in errore circa la liceità dell'operazione; in tal modo, agendo attraverso l'apporto del debitore inconsapevole della fraudolenza del meccanismo - essendo stato appositamente ingannato attraverso una vera attività truffaldina basata su documentazione falsa - questi pone in essere la condotta di indebita compensazione quale autore mediato, in quanto il debitore originario opera la compensazione perché ingannato dal suo coobligato/accollante circa l'esistenza dei crediti, condotta di cui deve rispondere ex art. 48 c.p. colui che l'ha indotto in errore; nessun vizio di quelli evocati dalla ricorrente, dunque, è ipotizzabile nel richiamo "alternativo" operato dal tribunale alla responsabilità diretta o per effetto dell'art. 48 c.p., operando quest'ultima previsione con riferimento ai debitori non iscritti nel registro degli indagati essendo stati ritenuti inconsapevole dell'inesistenza dei crediti.

12. Parimenti infondato è il motivo afferente alla sussistenza delle esigenze cautelari.

Sul punto è sufficiente richiamare quanto esposto nelle due pagine finali dell'ordinanza, in cui i giudici del riesame descrivono dettagliatamente gli elementi di sostegno rispetto alle tre diverse esigenze cautelari su cui la misura si fonda.

13. Quanto al pericolo di reiterazione, anzitutto, si precisa - in particolare sotto il profilo dell'attualità e della concretezza dell'esigenza di cui alla lett. c) dell'art. 274 c.p.p. - come l'operatività non siasi arrestata a seguito dell'intervento dell'Agenzia delle Entrate considerato che il meccanismo fraudolento descritto è stata utilizzato fino al mese di maggio 2016; a ciò i giudici del riesame aggiungono come nemmeno la scoperta del meccanismo da parte dell'Ufficio abbia completamente eliso il rischio di reiterazione, non solo perché la operatività indisturbata per anni getta non pochi sospetti sulle capacità di controllo dell'Agenzia di tali complessi meccanismi fraudolenti, ma anche, e soprattutto, rileva il dato che l'indagata, nonostante fosse pienamente a conoscenza delle contestazioni mosse dall'Ufficio ai clienti (che al lei si rivolgono per avere delucidazioni e che la stessa tranquillizza, ancora, sulla bontà dei crediti), si fosse trasferita a Roma, luogo dove proseguiva la sua attività come desumibile da alcune conversazioni intercettate ed indicate nell'ordinanza, anche con vecchi clienti, con PC da remoto ed anche utilizzando nuovi collaboratori, come emerge da altre conversazioni.

14. Analogamente, quanto al pericolo di fuga ex art. 274, lett. b), c.p.p., i giudici del riesame evidenziano non solo il dato richiamato dalla ricorrente relativo al viaggio compiuto alla Isole Cayman, ma soprattutto la circostanza che la stessa

possa trasferirsi all'estero, come emerge da conversazioni intercettate tra l'indagata e tale S. M. nell'ottobre 2016, dalle quali emerge come l'indagata, in quel momento a Nassau, isole Bahamas, si trovasse in quel luogo non solo per fine di piacere, tant'è che parlando con l'amica, l'indagata chiede se sta facendo la cosa giusta, commentando la reazione negativa della madre alla notizia, venendo tranquillizzata dall'amica che le dice "magari vi ambientate...magari la fai venire...", circostanza questa dimostrativa dell'intenzione di trasferirsi all'estero, non concretizzatasi per non aver ottenuto il compagno siriano dell'indagata il visto per poter entrare alle Cayman; significativo, peraltro, nell'ottica della valutazione anche dell'esigenza cautelare di cui alla lett. c), anche la circostanza che la M., pur trovandosi all'estero, continuasse a gestire la solite attività, come emergerebbe dai riferimenti ai bonifici, ai contratti, agli F24, nascondendo all'interlocutore di essere all'estero, ma anzi affermando che a Milano fa freddissimo.

15. Parimenti logica e immune da vizi è la ritenuta sussistenza dell'esigenza cautelare del pericolo di inquinamento probatorio di cui all'art. 274, lett. a), c.p.p., laddove i giudici del riesame valorizzano le molteplici conversazioni in cui gli indagati cercano di "rimediare" e tamponare gli accertamenti in corso e la ricostruzione delle loro responsabilità; il riferimento è ai colloqui M./P. in cui gli stessi concordano di predisporre lettere di risoluzione contrattuale con clienti che non avevano pagato per la cessione dei loro debiti, concordano modifiche alla contabilità (nell'ordinanza si riportano alcune frasi eloquenti circa la natura illecita delle attività, quali: "falli diventare crediti inesigibili....io ti mando il bilancino, ti mando l'elenco che ho dei clienti, tu li guardi, e facci una X, quindi io sistemo l'IVA, poi preparo un verbale magari così decidiamo prima della redazione del bilancio, dice M. a P. nella conversazione del 6.06.2016, n. 4029), a predisporre contratti di accollo riferiti a rapporti preesistenti con clienti della MDC, da depositare nel caso tali clienti avessero ricevuto contestazioni dell'Agenzia delle Entrate.

16. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le censure difensive risultano del tutto sfornite di pregio, i quanto appaiono meramente contestative e non tengono conto della puntuale analisi svolta dal tribunale in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari. Dimentica la difesa della ricorrente, sul punto, che l'ordinamento non conferisce alla Corte di cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive degli indagati, ivi compreso l'apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del giudice cui è stata richiesta l'applicazione delle misura cautelare e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è perciò circoscritto all'esclusivo esame dell'atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l'altro di carattere negativo, il cui possesso rende l'atto insindacabile: 1) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l'assenza nel testo dell'esposizione di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (v., tra le tante: Sez. 4, n. 2050 del 17/08/1996 - dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104).

Controllo di legittimità nella specie agevolmente superato dall'ordinanza impugnata, anche per quanto concerne i profili di attualità e concretezza delle esigenze cautelari.

17. Ed invero, quanto al pericolo di reiterazione del reato, gli elementi dianzi descritti nell'ordinanza impugnata rendono evidente la sussistenza dell'esigenza di cui alla lett. c). Non deve sul punto essere infatti dimenticato che il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato richiede una valutazione prognostica circa la probabile ricaduta nel delitto, fondata sia sulla permanenza dello stato di pericolosità personale dell'indagato dal momento di consumazione del fatto sino a quello in cui si effettua il giudizio cautelare, desumibile dall'analisi soggettiva della sua personalità, sia sulla presenza di condizioni oggettive ed "esterne" all'accusato, ricavabili da dati ambientali o di contesto - quali le sue concrete condizioni di vita in assenza di cautele - che possano attivarne la latente pericolosità, favorendo la recidiva. Ne consegue che il pericolo di reiterazione è attuale ogni volta in cui sussista un pericolo di recidiva prossimo all'epoca in cui viene applicata la misura, seppur non imminente (Sez. 2, n. 53645 del 16/12/2016, Lucà, Rv. 268977, fattispecie in cui la S.C. ha precisato che la valutazione prognostica non può estendersi alla previsione di una "specifica occasione" per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice). E, nel caso di specie, gli elementi descritti nell'ordinanza rendevano del tutto attuale, oltre che concreto, detto pericolo di reiterazione desunto sia dalla mancata cessazione dell'operatività nonostante l'intervento dell'Agenzia delle Entrate, sia dal fatto che il meccanismo fraudolento descritto è stato utilizzato fino al mese di maggio 2016, sia, infine, in considerazione del trasferimento a Roma dell'indagata, luogo dove aveva proseguito la sua attività illecita.

18. Analogamente, quanto al pericolo di fuga, gli elementi dianzi descritti nell'ordinanza impugnata rendono evidente la sussistenza dell'esigenza di cui alla lett. b). La giurisprudenza di questa Corte, infatti, dopo la novella attuata con la legge n. 47 del 2015, ha chiarito che il pericolo di fuga di cui all'art.274 comma primo, lett.b), cod.proc.pen. deve essere non più solo concreto, ma anche attuale e tale ultimo requisito può essere desunto da una condotta prodromica ad un imminente trasferimento all'estero (Sez. 2, n. 44526 del 13/10/2015 - dep. 04/11/2015, Ca- stillo Quintana, Rv. 265042). Nella specie, i giudici del riesame non hanno fondato il relativo giudizio su valutazioni astratte ma hanno desunto da intercettazioni telefoniche dal tenore equivoco, peraltro, eseguite in un momento storico in cui l'indagata si trovava all'estero e che aveva manifestato l'intento di non rientrare più in Italia, la sussistenza di tale esigenza cautelare.

19. Infine, quanto all'ultima esigenza cautelare rappresentata, costituita dal pericolo di inquinamento probatorio, gli elementi dianzi descritti nell'ordinanza impugnata rendono evidente la sussistenza dell'esigenza di cui alla lett. a). Sul punto, questa Corte ha chiarito che la concretezza ed attualità del pericolo di inquinamento probatorio di cui all'art. 274, lett. a), cod. proc. pen., deve essere esclusa solo ove l'indagato non abbia tenuto, per un protratto lasso temporale dal momento della conoscenza delle indagini, alcuna condotta volta a pregiudicare l'integrità o la genuinità della prova (Sez. 2, n. 31340 del 16/05/2017 - dep. 22/06/2017, F, Rv. 270670). Diversamente, nel caso di specie, i giudici del riesame hanno richiamato le molteplici conversazioni in cui gli indagati cercano di "rimediare" e tamponare gli accertamenti in corso e la ricostruzione delle loro responsabilità (v. supra, § 15), a predisporre contratti di accollo riferiti a rapporti preesistenti con clienti della MDC, da depositare nel caso tali clienti avessero ricevuto contestazioni dell'Agenzia delle Entrate. Non senza dimenticare che, per come emerge dalla contestazione, i fatti si sarebbero protratti sino al settembre 2016, non incidendo sulla legittimità del titolo custodiale né, tantomeno, su alcuna delle esigenze cautelari rappresentate, il dato relativo al ritardo nell'emissione della misura, atteso che lo stesso è dipeso fisiologicamente dalla sua applicazione a seguito di appello cautelare del P.M., e dalla conseguente ineseguibilità della misura medesima per effetto del disposto dell'art. 310, co. 3, c.p.p., circostanza di cui la parte non può dolersi essendo chiaramente posta a garanzia della stessa la regola processuale, atteso che il provvedimento del Tribunale che, a seguito dell'appello del Pubblico Ministero ex art. 310 cod. proc. pen., applichi la misura cautelare coercitiva ovvero la ripristini dopo la revoca, costituisce un "novum" incidente sullo "status libertatis" dell'indagato, per il quale l'esecuzione è sospesa fino all'esaurimento dei termini di gravame o all'esito negativo di esso (Sez. 6, n. 1816 del 22/04/1994 - dep. 13/08/1994, Solombrino, Rv. 199287).

20. Infine, quanto alla presunta illegittimità del criterio di scelta della misura custodíale, è sufficiente richiamare quanto correttamente esposto dai giudici del riesame, laddove giustificano adeguatamente le ragioni della misura custodíale attenuata rispetto a quella massima richiesta dal PM, così mostrando di fare bon governo dei principi affermati da questa Corte in relazione al profilo dell'adeguatezza della misura scelta (v., per tutte: Sez. U, n. 16085 del 31/03/2011 - dep. 22/04/2011, P.M. in proc. Khalil, Rv. 249324), nel contempo mostrando anche di tenere in debito conto le condizioni di salute dell'indagata medesima, che, pur non raggiungendo un grado di gravità elevato, se tutelate in ambiente domiciliare consentono di essere curate con terapie coordinate, come esposto nell'ordinanza.

21. Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, dunque, rigettato. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 cod. proc. pen., nonché la comunicazione alla cancelleria per l'esecuzione ex art. 28, reg. esec. c.p.p.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda la cancelleria per l'esecuzione ai sensi dell'art. 28, reg. esec. c.p.p.