Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 dicembre 2017, n. 29873

Tributi - Accertamento - Operazioni soggettivamente inesistenti per interposizione fittizia di società cartiere - Elementi presuntivi - Omessa prova di inesistenza delle operazioni - Illegittimità dell’atto impositivo

 

Fatti di causa

 

L'Agenzia delle Entrate Ufficio di Pisa, con ricorso ritualmente proposto, impugna la sentenza n. 22/5/07, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Pisa aveva accolto i ricorsi riuniti proposti dalla società Computer Shop di C. P. e C. snc, avverso due distinti avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 1999 e 2000 per Iva ed Irap e dei tre soci (C. P., C. V. E. e M. L.), propositi in proprio, contro avvisi di accertamento Irpef anni 1999 e 2000, per redditi di partecipazione. La CTP di Pisa aveva annullato gli avvisi di accertamento per aver ritenuto non dimostrata la pretesa dell'Amministrazione finanziaria di addebitare alla società violazioni tributarie relative alla contabilizzazione per gli anni 1999 e 2000, di costi per acquisto di merce in base a fatture riguardanti operazioni soggettivamente inesistenti, con interposizione fittizia di due società ritenute "cartiere" entrambe con sede in Dolceacqua (Imperia). La CTP, riconoscendo fondata la tesi difensiva dei ricorrenti, aveva negato valore probatorio agli elementi presuntivi addotti dall'Agenzia delle Entrate per avvalorare la fattispecie ipotizzata ed aveva valutato regolare la posizione della società appellata rispetto agli acquisti effettuati ed ai relativi costi.

L'Agenzia delle Entrate, con l'atto di appello, aveva lamentato l'omessa ed insufficiente motivazione in ordine a tutti i punti prospettati.

Si costituivano i ricorrenti ribadendo le argomentazioni già accolte dai primi giudici e chiedevano la conferma della sentenza. La Commissione Tributaria Regionale della Toscana con sentenza n. 21/04/09 rigettava l'appello dell'Agenzia delle Entrate e compensava integralmente le spese del giudizio. Secondo la CTR della Toscana, andava confermata la sentenza dei primi giudici perché l'Amministrazione finanziaria non aveva offerto la prova, e lo avrebbe dovuto fare, così come ha più volte affermato la Corte di Cassazione, dell'inesistenza dell'operazione oggetto di accertamento. Piuttosto, sempre secondo la CTR della Toscana, presso la società appellata nessun riscontro era risultato ricollegabile alla fatturazione di operazioni inesistenti ipotizzate dall'Amministrazione finanziaria e che in particolare, quanto agli ordini ai prezzi ed ai pagamenti della merce in questione la sentenza appellata aveva dato correttamente conto della loro regolarità.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dall'Agenzia delle Entrate con ricorso affidato a tre motivi. La società Computer Shop di C. P. e C. snc. e C. P., C. V. E. e M. L. hanno resistito con controricorso, illustrato con memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. = l'Agenzia delle Entrate Ufficio di Pisa lamenta:

a) con il primo motivo di ricorso la violazione degli artt. 2697 cod. civ. 39, primo comma, lett. d) del DPR n. 600 del 1073 , 75 (ora 109) del DPR n. 917 del 1986, 5 e 25 del Dlgs 446 del 1997, 19 e 54 del DPR 633 del 1972, 17 della Dir CEE 17 maggio 1977, 77/388/CEE, 167 e 168 della Dir. CEE del 28 novembre 2006 n. 2006/112/CEE in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. Secondo l'Agenzia delle Entrate Ufficio di Pisa, la CTR della Toscana avrebbe errato nel ritenere che, qualora l'Amministrazione contesti ad un contribuente l'indeducibilità di costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti e l'indetraibilità dell'Iva la stesa debba identificare il reale cedente e fornire la prova della sua esistenza, non tenendo conto che secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, l'Amministrazione assolverebbe il proprio onere di prova offrendo gli elementi necessariamente presuntivi dell'inesistenza dell'operazione.

b) con il secondo motivo, l'insufficienza della motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo del giudizio. Art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. Secondo la ricorrente in relazione al fatto controverso e decisivo del giudizio costituito dalla sussistenza dei presupposti della detraibilità dell'Iva relativa alle operazioni passive ritenute dall'ufficio

soggettivamente inesistenti, nonché per l'imputazione di dette componenti negative alla base imponibili Irpeg ed Irap si evidenzierebbe l'insufficienza della motivazione della sentenza impugnata che avrebbe respinto l'appello proposto, limitandosi a richiamare sic et sempliciter le valutazioni effettuate dal giudice di prime cure, in ragione della normalità del prezzo richiesto dai formali fornitori e della regolarità degli ordini e dei pagamenti. Ciò, tuttavia, senza considerare che era pacifica in giudizio la natura di mero "cartiere" dei predetti fornitori.

1.1. = I motivi che per la loro innegabile connessione vanno esaminati congiuntamente, sono infondati ed essenzialmente perché si risolvo nella richiesta di una nuova valutazione dei dati processuali non proponibile nel giudizio di cassazione se, come nel caso in esame, la valutazione compiuta dal Giudice del merito non presenta vizi logici e/o giuridici.

E' giusto il caso di osservare che, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente che la fatturazione attenga ad operazioni (solo) soggettivamente inesistenti e neghi il diritto del contribuente a portare in detrazione la relativa imposta, deve provare che la prestazione non è stata resa dal fatturante, spettando, poi, al contribuente l'onere di dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all'attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l'ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti. Né, a tal fine, è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poiché trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un'operazione soggettivamente inesistente (Cass. n. 20059 del 2014). Sotto altro aspetto, non può revocarsi in dubbio che l'Amministrazione possa fornire la prova, anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l'IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2 (analoga previsione è contenuta, per le imposte dirette, nel D.P.R n. 917 del 1986, art. 39, comma 1, lett. d), e mediante elementi indiziari (ex multis cfr. Cass. 27718/13)

1.2. = Ora, il Giudice tributario, investito della controversia oggetto del giudizio, ha correttamente osservato questi principi e soprattutto, con propria valutazione di merito, non suscettibile di sindacato in cassazione, se, come nel caso in esame, la valutazione dei dati processuali, operata dal Giudice del merito, non presenta vizi logici e/o giuridici, ha escluso che l'Amministrazione finanziaria avesse assolto il proprio onere di prova. Infatti, il Giudice tributario ha osservato: "(...) che da una diversa e più ampia angolazione ed alla luce di tutte le considerazioni fin qui svolte, la Commissione rileva che gli elementi su indicati non possono essere considerati, nel loro complesso, gravi ed univoci né significativamente concordanti tra loro al fine di fornire la prova presuntiva idonea a far ritenere integrata la fattispecie dell'interposizione soggettiva. Essi, infatti, si rivelano insufficiente a tanto, in quanto ( ) avulsi dalla figura di un soggetto cedente reale che costituisce elemento indispensabile a giustificare l'interposizione soggettiva essendo esso stesso l'origine ed il fondamento e perché la sua mancanza o per equivalenza, la sua indimostrata esistenza, rendono impossibile la concreta realizzazione della fattispecie in questione (...)".

2. = Con il terzo motivo la ricorrente lamenta l'insufficienza della motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo del giudizio. Art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. Secondo la ricorrente avrebbe errato la CTR nel ritenere che (...) in caso di acquisto a distanza non può imporsi al contribuente altro obbligo che quello della verifica delle risultanze dei pubblici registri; che gli elementi di fatto a dimostrazione della consapevolezza da parte del contribuente delle frodi commesse dai fornitori potevano essere conosciute mediante i poteri di indagine tributaria, non tenendo conto che l'esigua struttura e la breve durata in vita delle due società fornitrici succedutesi l'una all'altra, nell'arco di quasi meno di un anno, con la sola variazione della denominazione, che le trattative di acquisto venivano sempre con la stessa persona, che le società avevano accumulato, in poco tempo, un consistente debito Iva non onorato, avrebbe potuto avvertire consapevolmente il contribuente che le operazioni di cui si dice si inserivano in un ambito di frode fiscale.

2.1. = Anche questo motivo è infondato ed, essenzialmente, perché si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali non proponibile nel giudizio di cassazione se come nel caso in esame la valutazione effettuata dalla CTR non presenta alcun vizio logico e/o giuridico.

Il compito di valutare le prove e di controllarne l'attendibilità e la concludenza - nonché di individuare le fonti del proprio convincimento scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti - spetta in via esclusiva al giudice del merito; di conseguenza la deduzione con il ricorso per Cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, restando escluso che le censure concernenti il difetto di motivazione possano risolversi nella richiesta alla Corte di legittimità di una interpretazione delle risultanze processuali, diversa da quella operata dal giudice di merito.

In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cod. proc. civ., condannata a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in €. 7.000,00 oltre spese generali pari al 15% del compenso e accessori come per legge.