Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 novembre 2017, n. 27075

Tributi - Imposte sui redditi - Reddito d’impresa - Accertamento - Movimentazioni sui conti correnti - Prova analitica

Rilevato che

La CTR del Piemonte, con la sentenza in epigrafe indicata, a parziale conferma della prima decisione, ha riconosciuto la legittimità dell'avviso di accertamento relativo ad IVA, IRPEF ed IRAP, emesso per l'anno di imposta 2000 nei confronti di E.F., imprenditore, in rettifica del reddito di impresa all'esito degli accessi ai conti correnti bancari intestati al coniuge ed alla madre, accogliendo solo la domanda del contribuente di rideterminazione dell'aliquota IVA in misura pari all'aliquota media.

Il contribuente propone ricorso per cassazione fondato su quattro motivi, ai quali replica con controricorso l'Agenzia delle entrate.

Il ricorso è stato fissato per l'adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.

Il P.G. ha depositato conclusioni scritte.

 

Considerato che

 

1.1. Il primo motivo - con il quale si denuncia la violazione e carenza di motivazione in riferimento al combinato disposto dell'art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973 e degli artt. 32 del d.P.R. n. 600/1973 e 51 del d.P.R. n. 633/1972, nonché dell'art. 2697 cod. civ. (art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.) per avere la CTR, erroneamente, ritenuto corretta l'imputazione al ricorrente delle somme movimentate sui conti correnti bancari intestati a terzi (moglie e madre) - è infondato.

Sostiene il ricorrente che le circostanze di fatto valorizzate dalla CTR, e cioè la mancanza di redditi propri dei terzi, titolari dei c/corr. e le dichiarazioni rese dal contribuente sul fatto che le movimentazioni sui conti provenivano da lui stesso non costituivano presunzioni gravi, precise e concordanti, idonee a sostenere l'interposizione fittizia.

1.2. Va ricordato che, con consolidata giurisprudenza alla quale si aderisce, questa Corte ha affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall'art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell'esercizio dell'attività d'impresa), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell'affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell'estraneità delle stesse alla sua attività (di recente, Cass. n. 4829/2015) e che tale principio si applica, in presenza di alcuni elementi sintomatici, come la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l'amministratore, o i soci, ed i congiunti intestatari dei conti bancari sottoposti a verifica, poiché in tal caso, infatti, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci, e perfino dei loro familiari, debbano - in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario - ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica (Cass. nn. 12276/2015, 428/2015).

1.3. Ciò posto, va rilevato che la CTR si è attenuta a tali principi e che il contribuente sostanzialmente sollecita una revisione del merito inammissibile in sede di legittimità, ove non passi attraverso una congrua censura motivazionale.

2.1. Il secondo motivo, con il quale si denuncia la omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, primo comma, n.5, cod. proc. civ.) per avere ritenuto inconferenti le spiegazioni offerte in merito ai versamenti da lui dichiaratamente eseguiti sui c/corr. dei familiari, a sua dire volti alla restituzione di pregressi finanziamenti., è inammissibile.

2.2. Il motivo è privo di decisività, posto che la ratio espressa dalla CTR, e cioè la circostanza che i familiari erano privi di reddito, risulta in conflitto anche con la capacità a concedere finanziamenti e, pertanto, non ne viene inficiata; il motivo è, inoltre, privo di autosufficienza, posto che la parte privata non chiarisce con quali elementi probatori avesse inteso concretamente avvalorare tale assunto difensivo.

3.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.) per non essersi pronunciata la CTR sulla richiesta di riduzione del quantum accertato dall'Amministrazione, mediante il riconoscimento di un importo forfettario a titolo di costi sulla base del fatto noto che l'attività di impresa comporta dei costi.

3.2. La medesima doglianza è proposta anche sotto il profilo della omessa motivazione (art. 360, primo comma, n.5, cod. proc. civ.)

3.3. I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per connessione, sono infondati.

3.4. La statuizione impugnata, nel respingere la richiesta di deduzione dei costi, perché non provati, spiega in maniera chiara perché non ha ritenuto di addivenire al riconoscimento di costi in via presuntiva e forfettaria, laddove segnatamente considera che, essendo stati accertati sia prelevamenti che versamenti, il contribuente avrebbe potuto provare che i prelevamenti corrispondevano a pagamenti di acquisti registrati e quindi sottratti alla presunzione di ricavo. Precisa altresì che solo in presenza esclusiva di prelevamenti avrebbe potuto considerare la sussistenza di costi in via presuntiva, da cui desumere anche i maggiori ricavi.

Orbene, in tal modo la CTR ha affermato un principio incompatibile con la domanda avanzata dal contribuente, da intendersi pertanto implicitamente rigettata per assorbimento, in quanto ha ritenuto che, in presenza di maggior reddito ricostruito in base ad accertamenti bancari concernenti prelevamenti e versamenti, solo i costi documentali potevano essere dedotti e che la parte non aveva assolto tale prova.

4.1. In conclusione il ricorso va rigettato, infondati i motivi primo, terzo e quarto, inammissibile il secondo. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

- rigetta il ricorso;

- condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida nel compenso di €. 8.000,00=, oltre spese prenotate a debito.