Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 13 novembre 2017, n. 26719

Tributi - TARSU - Immobile sottoposto a vincolo storico artistico - Inidoneità alla produzione di rifiuti - Art. 62, comma 1, del d. lgs. 15 novembre 1993, n. 507 - Onere probatorio ai fini dell’esenzione - Sussiste

 

Fatto e diritto

 

Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 - bis del d.l.. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue:

La CTR della Campania, con sentenza n. 6475/47/2015, depositata il primo luglio 2015, non notificata, rigettò l’appello proposto nei confronti del Comune di Ischia dalla sig.ra K. B., avverso la sentenza della CTP di Napoli, che aveva rigettato il ricorso della contribuente avverso avviso di accertamento per TARSU richiesta dal Comune di Ischia per l’anno 2012, relativamente alla detenzione dell’area di mq 489 corrispondente ai ruderi della cd. Cattedrale dell’Assunta ubicata sull’isolotto denominato Castello Aragonese di Ischia.

Avverso la pronuncia della CTR la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

Il Comune di Ischia resiste con controricorso.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 36, nn. 2, 3 e 4, e 61, comma 2, del d. lgs. n. 546/1992, nonché degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; nonché violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e di quello del tantum devolutimi quantum appellatimi, ex art. 342 c.p.c., lamentando che la decisione impugnata avrebbe totalmente omesso di pronunciare sul motivo d’appello col quale la contribuente rilevava la nullità della pronuncia di primo grado perché inidonea a rivelarne la ratio decidendi, essendosi essa risolta nel mero richiamo ad altra pronuncia intercorsa tra le stesse parti, neppure coperta dal giudicato.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 61 del d. lgs. n. 546/1992, nonché degli artt. 132 e 324 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111 Cost.e 2909 c.c., avendo il giudice d’appello reiterato lo stesso modus operandi, pur oggetto di specifica denuncia di nullità della sentenza con il precedente motivo, della CTP, essendosi del pari limitata la CTR a richiamare, dichiarando di condividerne le argomentazioni, la precedente pronuncia intercorsa tra le stesse parti relativa alle annualità 2005-2010, pur dando atto che su di essa non si era ancora formato il giudicato.

Con il terzo motivo parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., e degli artt. 62, 63, 71 e 73 del d. lgs. n. 507/1993, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.

Con il quarto motivo, infine, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 59 del d. lgs. n. 507/1993 e dell’art. 2 del regolamento TARSU del Comune di Ischia, e - se e per quanto occorra - in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso altresì il diritto alla riduzione al 40% della tariffa, sul presupposto che la norma regolamentare attribuisse detto diritto quando l’area sia distante «oltre mille metri dal più vicino punto di raccolta», laddove l’art. 2, comma 3 lett. a) del regolamento TARSU vigente nell’anno oggetto di accertamento (approvato con delibera n. 24 del 30 maggio 2008 del Consiglio comunale), testualmente invece stabilisse la debenza del tributo in misura pari al 40% della tariffa «se la distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto non supera i 1000 metri».

I primi due motivi possono essere congiuntamente esaminati.

Essi sono entrambi manifestamente infondati.

Premesso che, per giurisprudenza costante di questa Corte, il vizio di omessa pronuncia è escluso quando la sentenza abbia assunto una decisione che comporti l’implicito rigetto della domanda od eccezione formulata dalla parte (cfr., tra le molte, Cass. sez. 1,11 settembre 2015, n. 17956; Cass. sez. 2, 4 ottobre 2011, n. 20311), diversamente da quanto dedotto dalla contribuente la sentenza impugnata non si è limitata al mero acritico richiamo all’altra decisione della CTR intercorsa tra le parti avente ad oggetto analoga questione, relativa alle annualità 2005- 2010, ma ne ha espressamente trascritto i passaggi essenziali, nel contesto della chiara indicazione delle doglianze manifestata avverso la sentenza di primo grado e dichiarando espressamente di condividerne le affermazioni, corroborando tale affermazione con il richiamo anche a precedenti di questa Corte di legittimità.

Risultano, quindi, pienamente soddisfatte, nella vicenda processuale in esame, le condizioni in presenza delle quali questa Corte ritiene legittima la cd. motivazione per relationem (cfr., tra le altre, Cass. sez. 1 19 luglio 2016, n. 14786).

Del tutto inconferente è poi la denuncia della violazione dell’art. 2909 c.c. — nel contesto peraltro di una censura riferita a preteso error in procedendo — laddove la stessa pronuncia impugnata dà conto che sulle annualità d’imposta oggetto della precedente richiamata decisione della CTR non si era ancora formato il giudicato.

Ugualmente è manifestamente infondato il terzo motivo.

La contribuente lamenta che la sentenza impugnata avrebbe violato le norme in tema di riparto dell’onere probatorio, non avendo mai il Comune di Ischia fornito la prova dell’utilizzazione dell’area a fini commerciali, assumendo che di per sé la destinazione dell’area impressa dal vincolo storico artistico escluderebbe l’idoneità del sito alla produzione di rifiuti.

In ordine al primo profilo la censura, proposta nell’ambito di motivo con il quale si deduce la plurima violazione o falsa applicazione di norme di diritto, si palesa inammissibile, a fronte di un accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito, collegato ad una valutazione ed interpretazione di un atto del processo, che avrebbe potuto essere sindacata nel solo ambito dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (cfr., tra le molte, Cass. sez. 3, 14 marzo 2016, n. 4893; Cass, sez. 2, 14 novembre 2012, n. 19921), norma non invocata e neppure invocabile nel presente giudizio, in presenza di c.d. doppia conforme.

Nel resto il ragionamento di parte ricorrente, che ipotizza il superamento della presunzione legale relativa di produzione di rifiuti desumibile dall’art. 62, comma 1, del d. lgs. n. 507/1993, in ragione della mera sottoposizione a vincolo storico — artistico dell’area scoperta in questione, non può essere condiviso sul piano logico portando all’affermazione, del tutto irrazionale, che qualunque immobile sottoposto a detto vincolo (si pensi a casa di abitazione in immobile soggetto a vincolo storico—artistico o a qualsiasi complesso museale aperto al flusso dei turisti, con annesse aree di ristoro e servizi igienici) sia inidoneo in sé alla produzione di rifiuti.

Questa Corte ha più volte espresso il principio in forza del quale «l’art. 62, comma 1, del d. lgs. 15 novembre 1993, n. 507, pone a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti, sicché, ai fini dell’esenzione dalla tassazione prevista dal secondo comma del citato art. 62 per le aree inidonee alla produzione di rifiuti per loro natura o per il particolare uso, è onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni d’inutilizzabilità e provarle in giudizio in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione» (cfr., tra le molte, Cass. sez. 6-5, ord. 15 settembre 2014, n. 19469; Cass. sez. 6-5, ord. 5 settembre 2016, n. 17622); onere probatorio certamente non assolto dalla contribuente sulla base della sola mera allegazione del fatto che l’area scoperta in oggetto sia soggetta a vincolo storico- artistico.

Del pari è manifestamente infondato anche il quarto motivo.

La Corte osserva in proposito come la mera interpretazione letterale della disposizione regolamentare in oggetto patrocinata dalla difesa della ricorrente condurrebbe ad un’applicazione indiscriminata della riduzione tariffaria al 40%, in evidente contrasto con la norma primaria dell’art. 59, comma 2, del d. lgs. n. 507/1973, comportandone la disapplicazione.

Ne consegue la correttezza dell’interpretazione logico -sistematica svolta dalla CTR della disposizione regolamentare alla stregua del contenuto della norma primaria, affinché la disposizione regolamentare non risultasse privata di contenuto alcuno, in ragione del palese contrasto con la disciplina primaria frutto di evidente improprietà lessicale nella stesura della disposizione regolamentare; ciò che è, peraltro, agevolmente rilevabile anche alla stregua del confronto con la disposizione prevista dall’art. 23, comma 1 del successivo regolamento TARES, approvato con delibera del Consiglio comunale n. 42 dell’8 novembre 2013, che legittima la riduzione del tributo al 30% «per le utenze poste ad una distanza superiore a 1000 metri dal più vicino punto di conferimento, misurato dall’accesso dell’utenza alla strada pubblica».

In relazione alle censure di cui ai motivi tre e quattro, questa Corte ha già avuto modo di esprimersi in senso conforme tra le stesse parti con riferimento ad analogo contenzioso quanto alla debenza della TARSU relativamente allo stesso sito per l’anno 2011 (cfr. Cas. Sez. 6-5, or. 4 luglio 2017, n. 16140).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del Comune controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 qua ter del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 — bis dello stesso.