Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 25 luglio 2017, n. 18321

Tributi - Accertamento - Procedimento - Atti processuali - Notifica a mezzo PEC

Rilevato che

Con sentenza in data 7 ottobre 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, respingeva l'appello proposto da A.M.U. srl in liquidazione e N.A. avverso la sentenza n. 505/13/13 della Commissione tributaria provinciale di Salerno che ne aveva dichiarato rispettivamente inammissibili il ricorso contro l'avviso di accertamento IRAP IRES ed altro, IVA 2007 e l'atto di intervento nel relativo procedimento.

La CTR osservava in particolare che la modalità notificatoria a mezzo PEC di tali atti processuali effettuata dal procuratore delle parti in forza della legge 53/1994 non era consentita dalla legge e, realizzando una tipologia sub-procedimentale difforme dal modello legale, doveva considerarsi insanabilmente inesistente.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente e la M. deducendo quattro motivi.

Resiste con controricorso l'Agenzia delle entrate.

La ricorrente ha presentato memoria.

 

Considerato che

 

Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione della legge 53/1994, poiché la CTR ha confuso le notificazioni "dirette" effettuate nel caso di specie dal difensore della ricorrente e della interveniente di prime cure ai sensi di detta legge con quella "a mezzo posta".

Con il secondo motivo la ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione dell'art. 15, preleggi, poiché la CTR ha applicato una disposizione normativa (art. 16, comma 4, d.P.R. 68/2005) successivamente superata da altre (art. 48, comma 2, d.lgs. 82/2005 e successive modifiche; art. 26, legge 183/2011).

Con il terzo motivo vi è doglianza per violazione/falsa applicazione dell'art. 156, terzo comma, cod. proc. civ., poiché la CTR ha ritenuto l'insanabililità del rilevato vizio della procedura notificatoria.

Con il quarto motivo la ricorrente lamenta l'omessa pronuncia mentale sulle proprie eccezioni.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono infondate.

Va infatti ribadito che «In tema di contenzioso tributario, la notifica della sentenza effettuata a mezzo PEC dal difensore del contribuente, munito dell'autorizzazione del Consiglio dell'Ordine di appartenenza, all'Amministrazione finanziaria, in data 5 dicembre 2014, è inesistente e insuscettibile di sanatoria, per cui non è idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione, atteso che, ai sensi dell'art. 16 bis, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, che richiama il d.m. 23 dicembre 2013, n. 163, le notifiche tramite PEC degli atti del processo tributario sono previste in via sperimentale solo a decorrere dal 1° dicembre 2015 ed esclusivamente dinanzi alle commissioni tributarie della Toscana e dell'Umbria, come precisato dall'art. 16 del d.m. 4 agosto 2015» (Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 17941 del 12/09/2016, Rv. 640801 - 01) .

Più ampiamente, vi è in particolare da osservare che:

- l'art. 1 della legge n. 53/1994, secondo periodo, nel testo da ultimo risultante a seguito della modifica apportata dall'art. 46, comma 1, lett. a), n. 2) del dl. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, dispone che, quando ricorrono i requisiti di cui al periodo precedente della stessa norma, fatta eccezione per l'autorizzazione del Consiglio dell'Ordine, «la notificazione degli atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale può essere eseguita a mezzo di posta elettronica certificata»;

- da tale disposizione si ricava, tuttavia, a contrario, avuto riguardo alla specialità delle disposizioni che regolano il processo tributario dinanzi alle commissioni tributarie provinciali e regionali, che detta forma di notifica, come di seguito disciplinata dall'art. 3 bis della citata legge n. 53/1994, come inserito dall'art. 16 quater del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni nella legge 7 dicembre 2012, n. 221, che ha abrogato il comma 3 bis dell'art. 3 della legge n. 53/1994, non e ammessa per la notificazione degli atti in materia tributaria, se non espressamente disciplinata dalle specifiche relative disposizioni;

- deve quindi considerarsi pienamente e tuttora vigente in parte qua, l'originaria previsione dell'art. 16, comma 4, del d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, avente ad oggetto Regolamento recante disposizioni per l'utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell'articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, per la quale «le disposizioni di cui al presente regolamento non si applicano all'uso degli strumenti informatici o telematici nel processo tributario»;

- l'ultimo comma dell'art. 3 bis della legge n. 53/1994, quale introdotto dall'art. 46, comma 2 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014, n., 114, in vigore dal 26 giugno 2014, stabilisce che sono escluse dalla disciplina dettata dai commi 2 e 3 del suddetto art. 3 bis della legge n. 53/1994 le notifiche relative al giudizio amministrativo, restando anche attraverso detta disposizione confermato che le norme tecniche per la notifica mediante posta elettronica certificata dettata per il processo civile non possano trovare applicazione nel processo tributario neppure quale giudizio d'impugnazione sull'atto amministrativo tributario.

Dalle considerazioni che precedono consegue l'impossibilità che nella fattispecie possa assumersi l'equivalenza della trasmissione del documento informatico per via telematica alla notificazione per mezzo della posta, stabilita dall'art. 48, comma 2, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, solo «salvo che la legge disponga altrimenti».

Inoltre il quadro normativo di riferimento alla data dell' 8 gennaio 2013, epoca di avvenuta notifica degli atti processuali de quibus porta a rilevare che l'art. 16 del d.lgs. n. 546/1992 nel testo allora vigente (quale modificato, con l'aggiunta del comma 1 bis, dall'art. 39, comma 8 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111 e modificato dall'art. 49, comma 1 del 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114), prevedeva che le sole comunicazioni di segreteria potessero essere effettuate mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata.

La materia risulta oggi ridefinita, a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156 di revisione, tra l'altro, della disciplina del contenzioso tributario.

Abrogato il comma 1 bis dell'art. 16, è stato aggiunto, infatti, l'art. 16 bis al d.lgs. n. 546/1992, il cui attuale 3° comma, per quanto qui specificamente rileva, prevede che «le notificazioni  tra le parti e i depositi presso la competente Commissione tributaria possono avvenire in via telematica secondo le decisioni contenute nel decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 23 dicembre 2013, n. 163 e dei relativi decreti di attuazione».

L'art. 3, comma 3 del d.m. n. 163/2013 ha demandato, in particolare, per quanto qui rileva, a successivi decreti del Ministero dell'economia e delle finanze d'individuare le regole tecnico operative per le operazioni relative all'abilitazione al S.I.Gi.T. (Sistema informativo della giustizia tributaria), alla costituzione in giudizio mediante deposito, alla comunicazione e alla notificazione, alla consultazione e al rilascio di copie del fascicolo informatico, all'assegnazione dei ricorsi e all'accesso dei soggetti di cui al comma 2 del suddetto articolo, nonché alla redazione e deposito delle sentenze, dei decreti e delle ordinanze.

Il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 4 agosto 2015 ha quindi previsto, in attuazione della disposizione dell'art. 3, comma 3 del d.m. n. 163/2013, le specifiche tecniche volte alla disciplina dell'uso di strumenti informatici e telematici nel processo tributario.

Così ricostruito il sistema normativo, ne deriva che le notifiche a mezzo posta elettronica certificata nel processo tributario sono consentite solo laddove è operativa la disciplina del c.d. processo tributario telematico.

Al riguardo va precisato che, in deroga alla generale previsione di entrata in vigore della riforma di cui al d.lgs. n. 156/2015 del contenzioso tributario, fissata al 1° gennaio 2016 dal comma 1 dell'art. 12 dello stesso decreto, il comma 3 del medesimo articolo 12 prevede che le «Le disposizioni contenute nel comma 3 dell'art. 16 - bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 ... si applicano con decorrenza e modalità previste dai decreti di cui all'art. 3, comma 3, del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 23 dicembre 2013, n. 163».

Infine, l'art. 16 del d.m. 4 agosto 2015, emanato, come si è detto, in attuazione dell'art. 3 comma 3 del d.m. n. 163/2013, ha previsto l'entrata in vigore delle disposizioni relative al processo tributario telematico in via sperimentale per i ricorsi dinanzi alle Commissioni tributarie provinciali e regionali dell'Umbria e della Toscana a partire dal primo giorno del mese successivo al decorso del termine di 90 giorni dalla pubblicazione dello stesso d.m. 4 agosto 2015, vale a dire dal 1° dicembre 2015.

Pertanto, anche tenuto conto della evoluzione normative recente, deve concludersi, riguardo allo specifico problema dibattuto nel presente giudizio, che nella fattispecie in esame, alla data dell' 8 gennaio 2013 la notifica tramite PEC effettuata dal difensore delle contribuenti all'amministrazione finanziaria del ricorso introduttivo della lite e parallelo intervento nella stessa non era conforme ad alcun modello legale e pertanto deve ritenersi giuridicamente inesistente, in quanto tale non sanabile.

Tale considerazione, così anche replicandosi alle deduzioni di cui alla memoria ex art. 380 bis, secondo comma, cod. proc. civ., porta ad escludere sia la pertinenza delle statuizioni di SU 7665/2016, poiché riguardano non la legittimità in astratto della notifica a mezzo PEC, quanto la sua regolarità (tecnica) in concreto sia la validità "ultrattiva" dell'intervento volontario della socia M., poiché l'inammissibilità del ricorso originario non può che travolgerne gli effetti processuali, incidendo sulla validità "genetica" del rapporto processuale.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma articolo 13.