Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 giugno 2017, n. 14967

Tributi - Accertamento - Reddito d’impresa - Versamento soci infruttifero - Contenzioso tributario

 

Fatti di causa

 

C.L. e la F.T.A. 20000 srl propongono ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti dell'Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 2423/17/2016, depositata in data 11/03/2016, con la quale - in controversia concernente le riunite impugnazioni di avvisi di accertamento emessi, uno, per maggiori IRES, IRAP ed IVA dovute dalla società, in relazione all'anno d'imposta 2008, a seguito di rideterminazione del reddito d'impresa, previo controllo delle movimentazioni del conto "versamento soci infruttifero" (avendo l'Ufficio ritenuto che le somme erogate in contanti dai soci, essendo inidonei i redditi dagli stessi dichiarati, fossero riconducibili a ricavi non - contabilizzati dalla società), altro, per maggiori IRPEF ed addizionali, regionali e comunali, dovute, per lo stesso anno 2008, dalla socia, a titolo di maggior reddito da partecipazione sociale, - è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della contribuente.

In particolare, i giudici d'appello, nel respingere i riuniti gravami delle contribuenti (società e socia), hanno sostenuto che, stante la complessiva inattendibilità della contabilità della società (non avendo i soci dimostrato la legittima disponibilità delle ingenti somme versate nel sotto-conto della società), l'Ufficio, anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette, era legittimato a procedere ad accertamento analitico-induttivo, ai sensi dell'art. 39 comma 1° lett. d) DPR 600/1973, offrendo presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, con spostamento dell'onere della prova a carico del contribuente. Nella specie, la genericità dei motivi di appello non consentiva di confutare le argomentazioni già espresse dai giudici di primo grado.

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l'adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

 

Ragioni della decisione

 

1. I ricorrenti lamentano, con unico motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., degli artt. 39 comma 1 lett. d) del DPR 600/1973, 54 comma 2 del DPR 633/1972, 2697 e 2729 c.c., nonché dell'art. 132 c.p.c., avendo i giudici della C.T.R., con affermazioni "apodittiche" e motivazione apparente, affermato la complessiva inattendibilità della contabilità aziendale, pur non essendo emersa dal PVC alcuna irregolarità contabile.

2. La censura è infondata.

2.1 Anzitutto è infondata la denuncia di motivazione apparente. Questa Corte (Cass. 28113/2013) ha, da ultimo, ribadito che "in tema di processo tributario, è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del d.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell'illustrazione delle critiche mosse dall'appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare "per relationem" alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l'individuazione deI "thema decidendum" e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l'esame e la valutazione dell'infondatezza dei motivi di gravame". Con riferimento alla tecnica della motivazione delle sentenze "per relationem", questa Corte ha già avuto modo di chiarire (Cass. 7347/12), che "la motivazione della sentenza "per relationem" è ammissibile, purché il rinvio venga operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione, essendo necessario che si dia conto delle argomentazioni delle parti e dell’indentità di tali argomentazioni con quelle esaminate nella pronuncia oggetto del rinvio". Il giudice di appello, richiamando nella sua pronuncia gli elementi essenziali della motivazione della sentenza di primo grado, non si deve limitare solo a farli propri, ma deve confutare le censure contro di essi formulate con i motivi di gravame, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto. In sostanza, la sentenza d'appello deve essere cassata allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione alla sentenza appellata, non consenta in alcun modo dì ritenere che all'affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l'esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. 2268/06, 15483/08).

Alla stregua di tali premesse, la sentenza gravata risulta:

motivata in maniera comunque autonoma e non attraverso mero richiamo al decisum dei giudici di primo grado.

2.2. Neppure ricorrono le lamentate violazioni di legge.

Questa Corte (da ultimo, Cass. 26036/2016; Cass. 17952/2013) ha costantemente ribadito che l'Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile, può desumere in via induttiva, ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell'art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente, utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest'ultimo l'onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni.

Nella specie, conforme a tali principi è la decisione impugnata, laddove, con accertamento in fatto, non censurabile in questa sede, ha accertato che erano emerse incongruenze sulla base della circostanza che i soci, nel periodo interessato, non avevano dimostrato di possedere redditi significativi, congrui con i versamenti effettuati in favore della società.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 5.000,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi dall'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.