Il regime fiscale degli assegni divorzili

A seguito delle richieste di chiarimenti pervenute dalle sedi territoriali, l’Inps fornisce indicazioni in merito al corretto regime fiscale dell’assegno divorzile ed alla sua rilevanza reddituale (Inps, messaggio 18 maggio 2017, n. 2074).

Come noto, in caso di separazione, scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, l’Autorità giudiziaria può stabilire l’obbligo in capo ad uno dei coniugi di provvedere al mantenimento dell’altro attraverso la corresponsione di assegni periodici, di solito mensili, di un determinato importo. Da un punto di vista fiscale, l’assegno di mantenimento all’ex coniuge costituisce, in capo al beneficiario, reddito assimilato a quello di lavoro dipendente. Il Legislatore, infatti, ha tenuto conto del fatto che lo stesso viene corrisposto con cadenza periodica e, come tale, assimilabile al pagamento di una retribuzione stabilita a tempo e potenzialmente vitalizia, pur in assenza di un collegamento con una prestazione lavorativa (Agenzia delle Entrate, risoluzione n. 153/E/2009). Di qui, l’assegno di mantenimento costituisce reddito assimilato a quello di lavoro dipendente imponibile ai fini Irpef con il riconoscimento delle detrazioni d’imposta (art. 13, co. 5-bis, TUIR), purchè erogato con cadenza periodica. L’assegno corrisposto in unica soluzione, invece, rappresenta sostanzialmente una transazione in ordine alle pregresse posizioni patrimoniali dei coniugi e non ha natura reddituale, per cui per essi non è prevista alcuna tassazione in capo al beneficiario; tantomeno è rilevante, al riguardo, la rateizzazione del pagamento, che costituisce solo una diversa modalità di liquidazione dell’importo pattuito tra le parti e non va quindi confuso con la corresponsione periodica dell’assegno, il cui importo è invece rivedibile nel tempo (Agenzia delle Entrate, risoluzione n. 153/E/2009).
In capo al soggetto erogante, l’assegno costituisce un onere deducibile dal reddito nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria (art. 10, co. 1, lett. c), TUIR), ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili; in caso di mancata distinzione nel provvedimento giudiziario, il beneficio fiscale viene riconosciuto al 50% (art. 3, D.P.R. n. 42/1988; Agenzia delle Entrate, circolare n. 95/2000). Le somme corrisposte al coniuge a titolo di adeguamento Istat dell’assegno, possono essere dedotte solo nel caso in cui la sentenza del giudice preveda un criterio di adeguamento automatico, mentre resta esclusa la possibilità di dedurre somme corrisposte dal coniuge volontariamente (Agenzia delle Entrate, risoluzione n. 448/E/2008). L’assegno di mantenimento all’ex-coniuge, poi, può essere dedotto dal reddito a condizione che sia corrisposto periodicamente. L’interpretazione letterale della normativa, infatti, impedisce la deduzione dal reddito complessivo del contribuente delle somme corrisposte al coniuge in un’unica soluzione, considerato anche che una diversa interpretazione contrasterebbe con il principio di tassatività degli oneri deducibili (Agenzia delle Entrate, circolare n. 50/E/2002). Di contro, gli assegni periodici pregressi scaduti o rimasti insoluti, che vengano corrisposti in unica soluzione, sono comunque deducibili, in quanto tale modalità di corresponsione non ne modifica la natura di "assegno periodico" (Corte di Cassazione, ordinanza n. 4402/2014). In ogni caso, per il percettore, gli assegni per alimenti percepiti a titolo di arretrato non possono essere assoggettate a tassazione separata, ma a quella ordinaria nell’anno di percezione, in quanto la nozione di emolumenti arretrati è riferibile soltanto ai lavoratori dipendenti e ad altre specifiche categorie di lavoratori assimilati. Chiaramente, oltre che per la valenza reddituale, anche ai fini della collocazione temporale del riconoscimento della deduzione dal reddito rileva il criterio di cassa (Ministero dell’economia e delle finanze, nota n. 984/1997).