Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 febbraio 2017, n. 9139

Dichiarazione dei redditi - Dichiarazione fraudolenta - Fatture inesistenti - Effettività delle prestazioni eseguite

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 15/2/2016, la Corte di appello di Genova, in riforma della pronuncia emessa il 28/11/2014 dal Tribunale di Savona, dichiarava (...) colpevole del delitto di cui agii artt. 81 cpv. cod. pen., 2, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, e lo condannava alla pena di un anno e nove mesi di reclusione; il Collegio di appello riteneva che la decisione di primo grado - che aveva assolto l'imputato dall'accusa di aver indicato nelle dichiarazioni dei redditi ed I.V.A. degli anni 2007 e 2008 (prescritta l'annualità 2006) elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti - fosse gravata da evidenti illogicità, risultando per contro che i lavori indicati nei documenti medesimi non fossero stati mai effettuati.

2. Propone diffuso ricorso per cassazione quest'ultimo, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi, così sintetizzati:

- vizio motivazionale ed erronea applicazione dell'art. 2, d. Igs. n. 74 del 2000. La Corte di merito, contrariamente all'oggetto della contestazione, avrebbe riconosciuto la responsabilità del ricorrente solo per aver concorso nella falsificazione delle fatture, in palese dissonanza con la lettera e la ratio della norma di cui alla rubrica; tale eventuale falsità, infatti, non sarebbe sufficiente ad integrare il reato;

- vizio motivazionale ed erronea applicazione degli artt. 1, 2, 8, comma 1, d. I. n. 16 del 2012. La sentenza avrebbe condannato l'(...)per aver indicato nelle dichiarazioni fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, a fronte di un'accusa avente ad oggetto fatture oggettivamente inesistenti; ipotesi del tutto diversa ed esclusa dalle risultanze dibattimentali, che avevano confermato la pacifica esecuzione dei lavori di cui ai documenti, e la congruità degli importi in essi indicati;

- vizio motivazionale e violazione di legge quanto all'affermazione di responsabilità. Il Collegio di appello - contrariamente all'insegnamento della Suprema Corte, oltre che della C.e.d.u. - avrebbe ribaltato la pronuncia di primo grado senza la necessaria motivazione "rafforzata" e, soprattutto, omettendo di escutere di nuovo i testi della difesa che - già ritenuti attendibili in primo grado;

- avevano confermato che le lavorazioni di cui trattasi erano state eseguite proprio dagli emittenti le fatture in oggetto. Attesa la diversa valutazione di queste deposizioni, la rinnovazione dell'istruttoria sarebbe stata necessaria; del resto, ad opinare diversamente - e cioè ritenere irrilevanti tali affermazioni - si ravviserebbe comunque una carenza motivazionale, atteso che delle stesse la pronuncia impugnata non avrebbe fatto alcuna menzione;

- vizio motivazionale e violazione di legge con riferimento agli artt. 192- 194 cod. proc. pen., con travisamento dei fatti. La condanna si fonderebbe su numerose petizioni di principio (quanto all'assenza di prove circa il subappalto delle opere; quanto alla capacità "imprenditoriale" delle ditte emittenti le fatture; quanto alla ragione della presenza di (...) e (...) sui cantieri) palesemente illogiche e, soprattutto, prive di ogni riscontro, come agevolmente confermato da numerosi passaggi dibattimentali, che il ricorso riporta in modo analitico (pagg. 19-20, 23);

- mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 27 Cost., 530, comma 2, cod. proc. pen., in forza di quanto precede, la condanna sarebbe stata pronunciata in spregio ai principio dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio" e con un'inammissibile inversione dell'onere della prova a carico del ricorrente, a fronte delle macroscopiche carenze investigative riscontrate e delle prove a discarico offerte dalla difesa;

- vizio motivazionale e violazione di legge con riguardo alle circostanze attenuanti generiche. Queste sarebbero state escluse con ragionamento incongruo e, soprattutto, ravvisando erroneamente il profitto del reato nell'intero importo di cui alle fatture e non nella minore imposta evasa;

- vizio motivazionale e violazione di legge in relazione agli artt. 240, 322- ter cod. pen.. La confisca sarebbe stata disposta senza alcuna verifica del rapporto tra valore dei beni in sequestro e provento del reato; che, peraltro, nel caso di specie risulterebbe assente, atteso che la fatturazione in esame sarebbe avvenuta In regime di "reverse charge".

 

Considerato in diritto

 

3. Il ricorso risulta fondato; al riguardo, peraltro, le doglianze in punto di responsabilità possono essere trattate congiuntamente, attesane la sostanziale identità di ratio.

In primo luogo, ed in ordine al rapporto tra le due difformi pronunce di merito, va innanzitutto rammentato che, ai fini della riforma di una decisione assolutoria, non è sufficiente "una diversa valutazione caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo Giudice", ma occorre che la sentenza di appello abbia "una forza persuasiva superiore, tale da far cadere ogni ragionevole dubbio, in qualche modo intrinseco alla stessa situazione di contrasto" (tra le altre, Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, Paparo e altri, Rv. 256869). La condanna, si è detto infatti, deve presupporre "la certezza della colpevolezza", mentre "l'assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza, ma la mera non certezza della colpevolezza" (Sez. 6, n. 40159 del 03/11/2011, Galante, Rv. 251066). Anche da ciò, pertanto, deriva la conseguenza, più volte anch'essa ribadita da questa Corte, secondo cui nel caso di riforma da parte de! Giudice di appello di una decisione assolutoria emessa dal primo giudice, il secondo giudicante ha l'obbligo di dimostrare specificamente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo Giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (da ultimo, tra le tante, Sez. 5, n. 35762 del 05/05/2008, P.G. in proc. Aleksi e altri, Rv. 241169).

4. Orbene, tutto ciò premesso, ritiene il Collegio che la Corte di merito non abbia fatto buon governo di questi principi, concludendo per la responsabilità dell’(...) in forza di una motivazione incongrua e, soprattutto, non "rafforzata" nei termini anzidetti.

In particolare, la sentenza di appello ha mosso dalle dichiarazioni rese da (...) e (...) (titolari di due delle ditte che avevano emesso le fatture di cui alla rubrica, in apparente subappalto dei lavori commissionati all'(...) da terzi) e - condividendo l'assunto del primo Giudice - le ha ritenute inattendibili; dal che la conclusione circa la falsità delle fatture medesime, aventi ad oggetto lavori che le ditte in esame - in uno con quella in capo a (...) - non avevano mai eseguito. Questa conclusione è stata tratta dalla Corte di merito in ragione di numerose emergenze probatorie, che avevano evidenziato che 1) il (...) ed il (...) non avevano alcuna struttura imprenditoriale idonea a svolgere i lavori fatturati ed asseritamente subappaltati dal ricorrente, anche alla luce della consistenza degli stessi come desumibile dai relativi importi (...) svolgeva attività di imbianchino e piastrellista, senza dipendenti e con semplici attrezzi da muratore; lo stesso, peraltro, aveva negato di aver svolto i lavori fatturati. (...), per suo contro, era un autotrasportatore, e parimenti aveva negato di aver svolto i lavori di cui alla fattura n. (xxxxx) peraltro patteggiando relativa la pena ex art. 8, d. Igs. n. 74 del 2000); 2) (...) non aveva ricordato di aver eseguito le opere fatturate (peraltro, quanto al 2006, per quasi 70 mila euro), affermando di aver alle dipendenze due ignoti cittadini extracomunitari, giammai regolarizzati. Lo stesso, peraltro, aveva riferito - quanto alla fattura n. (xxxxx), per quasi 40 mila euro - di esser stato pagato in contanti e con assegni, ma di non esser in grado di documentare alcunché, in quanto mai titolare di un conto corrente bancario o postale. Da ultimo. (...) aveva affermato di aver lavorato come artigiano edile soltanto nel 2005 e 2006, poi cessando l'attività senza formali comunicazioni; 3) tutte le fatture di cui trattasi, sempre di importi considerevoli (fino a 110.000,00 euro, la n. (xxxxx) emessa apparentemente da (...) pagate dall'(...) in contanti, senza alcun riscontro documentale. Una modalità del tutto anomala, dunque, ed assolutamente non credibile attese le somme interessate.

5. Elementi oggettivi, questi che precedono, e peraltro mai contestati con il presente ricorso, in forza dei quali la Corte di merito - con motivazione non certo manifestamente illogica - ha dunque concluso per la palese falsità delle fatture in oggetto, atteso che le prestazioni ivi indicate non potevano ritenersi effettuate dalle ditte emittenti.

6. Pervenuto, sino a questo punto, ad identica conclusione già raggiunta dal primo Giudice, il Collegio si è però poi distinto dal Tribunale, ed in tal senso la motivazione risulta viziata nei termini anzidetti; in particolare, mentre la sentenza di primo grado aveva concluso che i lavori - accertati nella loro materiale esistenza - erano stati verosimilmente eseguiti da imprese diverse da quelle facenti capo a (...) (...) e (... ) la corte di appello ha negato tale assunto, affermando che le stesse opere non sarebbero mai state realizzate, sì da confermare l'originaria imputazione nei termini dell'utilizzo in dichiarazione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.

Tale differente conclusione, tuttavia, non appare congruamente motivata. In particolare, neppure un accenno risulta compiuto alle emergenze dibattimentali - in sé non manifestamente illogiche, in forza delle quali il Tribunale aveva riconosciuto l'esistenza delle opere: 1) i rilievi fotografici di cui ad una consulenza tecnica               della difesa, che «forniscono una rappresentazione dei fabbricati interessati dai lavori che, pur non consentendone una stima, dà conto, senza trovare smentita in alcun elemento contrario, della loro concreta esecuzione»; 2) l'assenza di «alcuna contestazione in ordine al fatto che l’(...) abbia a sua volta fatturato ai clienti finali i lavori eseguiti, il che depone ancora nel senso dell'effettività degli stessi».

Argomenti, questi che precedono, ai quali la Corte di appello non ha dedicato nessun passaggio, neppure di segno critico, trattandoli tamquam non essent; la sentenza, infatti, si è concentrata soltanto sulla falsità delle fatture di cui all'imputazione, come già ricordato, non anche sull'effettività delle opere in esse indicate. Argomenti, per contro, che risultano decisivi per l'affermazione del giudizio di responsabilità, atteso che l'utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti - contestato, con precisione, nella rubrica in esame - richiede per certo che i lavori o le prestazioni ivi contenuti non abbiano mai avuto luogo, in tutto o in parte; quel che la sentenza di primo grado aveva affermato in ragione delle indicate emergenze processuali, e l'altra ha invece negato, senza alcun confronto con la precedente motivazione. Con assorbimento di ogni ulteriore censura.

La decisione, pertanto, deve esser annullata con rinvio alla Corte di appello di Genova in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Genova in diversa composizione.