Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 febbraio 2017, n. 4564

Tributi - Imposta di successione - Riscossione - Omessa autoliquidazione

 

Svolgimento del processo

 

Nel 2004 la Commissione Tributaria Provinciale di Taranto accolse il ricorso proposto da L. e R.C. avverso gli avvisi di liquidazione relativi all’imposta principale di successione emessi per omessa autoliquidazione in considerazione della non ammissibilità del passivo ereditario indicato nella denuncia di successione dagli eredi di E.C. (tra cui le ricorrenti in primo grado), che avevano accettato l’eredità con beneficio d’inventario, non essendo stato tale passivo esposto analiticamente nel quadro D della detta denunzia. Ritennero in particolare i Giudici di primo grado che la motivazione dell’atto impositivo doveva ritenersi insufficiente e che le ricorrenti, avendo accettato, come già evidenziato, l’eredità con beneficio d’inventario ed avendo allegato il verbale redatto dal cancelliere attestante i debiti che ammontavano ad una somma maggiore dell’attivo, non avevano provveduto né erano tenute a corrispondere alcunché e compensarono tra le parti le spese di lite.

Avverso la sentenza di primo grado l’Ufficio propose ricorso cui resistettero le contribuenti.

Con sentenza depositata in data 18.5.2011 la Commissione Tributaria Regionale di Bari - Sezione distaccata di Taranto rigettò l’appello proposto e compensò le spese di quel grado.

Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo.

L. e R.C. hanno resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con l’unico motivo si lamenta "Violazione e falsa applicazione degli artt. 27, 31, 33, 36, 42 D.Lgs. 346/1990 nonché dell’art. 490 c.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.".

Sostiene l’Agenzia che la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, ritenendo illegittimo, nel caso all’esame, l’avviso di liquidazione dell’imposta principale di successione con cui sono state disconosciute le passività del patrimonio del de cuius, per essere sufficiente che gli eredi che hanno accettato con beneficio d’inventario dimostrino l’esistenza e l’ammontare di dette passività mediante il verbale di inventario redatto dal cancelliere del Tribunale, violerebbe gli artt. 23, 27 e 36 del D.Lgs 346/90 in combinato disposto con l’art. 2697 c.c. secondo cui solo i documenti indicati in maniera specifica ed analitica nell’art. 23 citato costituiscono prova dell’esistenza dei debiti deducibili dal patrimonio del de cuius.

1.1. Il motivo è fondato nei termini appresso precisati.

E stato da questa Corte già affermato che, ai fini della determinazione dell'imposta di successione, l'accettazione dell'eredità con beneficio di inventario non implica alcuna deducibilità delle passività diversa da quella ordinaria prevista per l'accettazione pura e semplice dagli artt. 20 e seguenti del d.lgs. 20 ottobre 1990, n. 346, ma rileva in sede di riscossione dell'imposta, essendo la responsabilità dell'erede (o del coerede) beneficiato, ai sensi dall'art. 36, secondo comma, del d.lgs. citato, contenuta "nel limite del valore della propria quota ereditaria", con la conseguenza che solo nel momento della riscossione dell'imposta le risultanze dello stato di graduazione civilistico, divenuto definitivo, possono assumere rilevanza per determinare il valore dei beni concretamente ed effettivamente pervenuti al predetto erede, nel rispetto del limite della sua responsabilità per l'imposta di successione, determinata secondo le regole fiscali ordinarie (Cass. 11/02/2011, n. 3349; v. anche Cass. 24/10/2008, n. 25670).

E stato altresì precisato che, in tema di imposta sulle successioni, il regime di deducibilità dei debiti della massa ereditaria - disciplinato dagli articoli da 20 a 24 del d.lgs. n. 346 del 1990 - va ricostruito nel senso che tali debiti sono deducibili, purché sussistano le condizioni previste dall’art. 21 e subordinatamente alle dimostrazioni, integranti sistema di prova legale, prescritte dall'art. 23 (v. Cass. 26/11/2007, n. 24547).

Alla luce dei principi sopra riportati, che vanno ribaditi in questa sede, risulta fondata la censura erariale relativa all’inidoneità della documentazione prodotta (verbale di inventario redatto dal cancelliere del Tribunale di Taranto) a supporto delle dedotte passività, non risultando tale documentazione tra quella analiticamente e specificamente indicata dall’art. 23 del d.lgs. n. 346 del 1990.

2. Il ricorso per cassazione proposto deve essere, pertanto, accolto.

La sentenza impugnata va conseguentemente cassata.

La causa si presta ad essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c. e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va, alla luce di quanto sopra evidenziato, rigettato il ricorso introduttivo proposto dalle contribuenti.

3. Tenuto conto della particolarità della questione esaminata, vanno compensate integralmente, tra le parti, le spese dell’intero giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso per cassazione; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalle contribuenti; compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.