Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 gennaio 2017, n. 2256

Imposta evasa - Differenza tra imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine - Il sostituito non è sottratto dagli obblighi dichiarativi a suo carico se il sostituto non adempie

 

Ritenuto in fatto

 

1. E.C. ricorre per cassazione impugnando l'ordinanza indicata in epigrafe con la quale il tribunale del riesame di Grosseto ha confermato il decreto di sequestro preventivo fino alla concorrenza della somma di euro 278.463,04 emesso dal giudice per le indagini preliminari con riferimento al reato di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 perché, quale commercialista libero professionista, indicava, nella dichiarazione relativa all'anno d'imposta 2012, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, ed in particolare, tra l'altro, non inseriva tra i componenti positivi Euro 687.830,69 corrispostigli per prestazioni professionali attraverso la cessione di un terreno dalla "Società C.V. S.C.E.V." di Follonica (GR) anche per conto di ulteriori società da questa accollate, importo di cui alla fattura n. 187 del 24.2.2012, prodotta alla G.d.F. dal legale rappresentante S.C.E.V. e mai registrata dal Capuano nella propria contabilità, così evadendo l'IRPEF altrimenti dovuta.

2. Per l'annullamento dell'impugnata ordinanza il ricorrente solleva un unico complesso motivo, corredato da memoria, qui enunciato ai sensi dell'articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

Con esso, il ricorrente deduce la violazione di legge (articoli 321 del codice di procedura penale, 1 e 4 d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 e succ. mod.) per l'inesatta interpretazione della nozione di "imposta evasa" di cui all'art. 1 d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 e conseguente inosservanza delle soglie di punibilità stabilite in relazione al delitto oggetto di addebito (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale).

Dopo un'ampia ed articolata esposizione dei principi fondamentali che disciplinano le misure cautelari reali, sostiene il ricorrente che il tribunale cautelare ha ritenuto di respingere la censura difensiva non già sulla base di una diversa ricostruzione fattuale e/o algebrico-contabile di quanto accaduto, bensì su di una concezione della nozione di «imposta evasa» asseritamente eterogenea rispetto a quella sulla quale la difesa aveva fatto perno nell'articolare le proprie osservazioni critiche.

Il tribunale cautelare ha affermato che, sarebbe "del tutto pacifico che la somma corrispondente alla ritenuta d'acconto possa essere detratta dall'ammontare complessivo dell'imposta dovuta unicamente qualora sia stata effettivamente corrisposta all'Erario".

In tal modo, il giudice a quo avrebbe accolto una nozione di «imposta evasa» del tutto asistematica e, persino, irragionevole alla luce dei principi fondamentali che informano la disciplina penalistica, avendo omesso di considerare che il contribuente, il quale subisce una ritenuta, materialmente versa, estinguendo ab ovo e fino alla concorrenza del relativo importo, l'imposta dovuta al momento in cui la ritenuta è effettuata, dovendo ricondursi la distinzione tra questa e una normale operazione di diretto pagamento del tributo nella mera alterità soggettiva tra l'obbligato al versamento e colui il quale, avendo percepito l'importo monetario corrispondente all'imposta dovuta, è tenuto a restituirlo all'Erario.

È quindi del tutto inesatto sostenere che il concetto di imposta evasa, se non altro nella sua dimensione e per il suo rilievo penalistico, non debba tener conto (e quindi non debba essere scomputato l'ammontare) delle entità monetarie effettivamente versate dal contribuente al sostituto d'imposta, posto che il patrimonio del soggetto agente subisce un decremento nel momento in cui è operata la ritenuta. D'altro canto, deve ritenersi del tutto ininfluente, quantomeno sotto il profilo dell'imputabilità del fatto di infedele dichiarazione nel caso di specie ipotizzato, che il sostituto d'imposta, dopo aver ritenuto la somma versata dal contribuente, non abbia provveduto successivamente a versarla nelle casse erariali.

E ciò, non soltanto in quanto una simile condotta sarebbe in astratto suscettibile di radicare un'autonoma pretesa punitiva nei confronti del sostituto d'imposta ma, soprattutto, perché alcun rimprovero, ancora una volta, sotto il profilo rigorosamente penalistico, può essere mosso nei confronti di colui il quale ha già provveduto al versamento in conformità alla disciplina di settore e non può certo essere ritenuto responsabile per il fatto, eventualmente illecito, commesso dal terzo.

Sotto diverso profilo, operando un singolare ribaltamento dell'onere probatorio, il tribunale cautelare sarebbe invece giunto, secondo il ricorrente, ad addossare in capo alla persona accusata l'onere dimostrativo in relazione al fatto dal quale dipenderebbe l'assenza della condizione di punibilità prevista dalla legge, realizzando il palese stravolgimento tanto delle regole di giudizio tipicamente riconnesse all'esercizio della funzione giurisdizionale nel processo penale che la disapplicazione della fattispecie sostanziale contestata all'imputato, attraverso il capzioso aggiramento della condizione di punibilità prevista dalla legge, e confezionando in tal modo un ulteriore e vistoso profilo di illegittimità che affligge il provvedimento impugnato.

3. Con memoria datata 12 ottobre 2016, il ricorrente, replicando alla richiesta di inammissibilità del ricorso formulata dalla Procura generale con particolare riferimento al vincolo di solidarietà passiva esistente tra sostituto e sostituito nel caso di mancato versamento dell'imposta, ha affermato che l’articolo 35 del D.p.r. 602 del 1973 il quale, rubricato "Solidarietà del sostituto di imposta", afferma espressamente che "quando il sostituto viene iscritto a ruolo per imposte, sopratasse e interessi relativi a redditi sui quali non ha effettuato né le ritenute a titolo di imposta né i relativi versamenti, il sostituito è coobbligato in solido".

Pertanto, secondo il ricorrente, la solidarietà passiva sussiste esclusivamente nelle ipotesi in cui non soltanto il sostituto non abbia operato il versamento delle somme, ma non abbia neppure effettuato le ritenute a titolo d’imposta.

Nel caso in cui, come nella specie, la ritenuta sia stata effettuata, ma il sostituto non abbia provveduto al relativo versamento, l’obbligazione passiva sarà unicamente in capo al sostituto medesimo.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso non è fondato.

2. Il tribunale cautelare ha affermato che l'articolo 1, comma 1, lettera, f) del D.L.vo n. 74/2000, stabilisce che, per imposta evasa, debba intendersi "la differenza tra l'imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo (...) di ritenuta (...) prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine".

Da tale definizione normativa, il tribunale ha tratto solido argomento per ritenere del tutto pacifico che la somma corrispondente alla ritenuta d'acconto possa essere detratta, da parte del sostituito, dall'ammontare complessivo dell'imposta dovuta unicamente qualora sia stata effettivamente corrisposta all'Erario dal sostituto di imposta entro il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi, rimanendo in tal caso indifferente per il fisco l'autore del pagamento (sostituto o sostituito).

Nel caso di specie, la ritenuta d'acconto, determinata nella fattura emessa dal C. nei confronti della S.C.E.V. in Euro 132.275,13, non risulta corrisposta entro il settembre 2013 né dal professionista, né dalla detta società, circostanza che, secondo il convincimento del tribunale, era certamente ben nota al ricorrente, in quanto commercialista della medesima persona giuridica ed obbligato in solido al versamento.

Per questa ragione, a fronte di un complessivo ammontare degli elementi attivi non dichiarati, l'imposta evasa è stata determinata in Euro 278.463,04 e quindi per un importo superiore alla soglia di punibilità quantitativa ratione temporis prevista per l'integrazione della fattispecie incriminatrice.

Il ricorrente, prospettando una divaricazione tra le regole che disciplinano la materia penale rispetto a quella che governa il diritto tributario, sostiene che il "sostituito" non avrebbe alcun obbligo specifico una volta che il "sostituto" avrebbe effettuato materialmente la ritenuta, ciò equivalendo ad estinzione da parte sua dell'obbligazione tributaria fino alla concorrenza dell'importo per il quale la ritenuta è stata effettuata ed afferma che la definizione legislativa di "imposta evasa" fornita dal tribunale cautelare sarebbe del tutto asistematica e, persino, irragionevole alla luce dei principi fondamentali che informano la disciplina penalistica.

Nondimeno l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 fornisce, al titolo I del decreto, le definizioni dei segni linguistici che sono utilizzati nel provvedimento legislativo come elementi del fatto tipico delle figure di reato previste dal diritto penale tributario, e cioè fornisce le definizioni, agli effetti penali, di cosa deve intendersi per "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" (articolo 1 lettera a), per "elementi attivi o passivi" (articolo 1 lettera b), per "dichiarazioni" (articolo 1 lettera c), per "fine di evadere le imposte" e per "fine di consentire a terzi l'evasione" (articolo 1 lettera d), per "fine di evadere le imposte" e "fine di sottrarsi al pagamento" con particolare riguardo ai fatti commessi da chi agisce in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche (articolo 1 lettera e), per "imposta evasa" (articolo 1 lettera f), "per soglie di punibilità" (articolo 1 lettera g).

Ne consegue che il decreto legislativo, nel fornire la definizione di "imposta evasa" agli effetti della legge penale (atteso che la nozione è incardinata nella "nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205"), stabilisce che per essa deve intendersi "la differenza tra l'imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta (...) prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine", e quindi chiarisce che il sostituito non è sottratto dagli obblighi dichiarativi a suo carico se il sostituto non adempie.

La giurisprudenza di legittimità nelle pronunce della Sezione tributaria, che il Collegio condivide, è orientata, in sintonia con quanto previsto dalla legge penale tributaria, nel senso di ritenere che il fatto che l'art. 64, comma primo, del d.P.R. n. 600 del 1973 definisca il sostituto d'imposta come colui che "in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri ... ed anche a titolo di acconto" non toglie che anche il sostituito debba ritenersi già originariamente (e non solo in relazione alla fase della riscossione) obbligato solidale d'imposta, e quindi egli stesso soggetto al potere di accertamento ed a tutti i conseguenti oneri, derivando da ciò che, in caso di mancato versamento della ritenuta d'acconto da parte del sostituto, al pagamento del tributo è obbligato anche il sostituito (Sez. 5, n. 8504 del 08/04/2009, Rv. 607853; Sez. 5, n. 8653 del 15/04/2011, Rv. 616985).

Peraltro la ratio che sostiene la nozione di "imposta evasa" agli effetti della legge penale, di cui all'articolo 1, comma 1, lettera f), d.lgs. n. 74 del 2000, allo stesso modo della previsione del vincolo di solidarietà passiva enucleabile dalla disposizione di cui all'articolo 64, comma primo, del d.P.R. n. 600 del 1973, mira in parte qua ad evitare che gli obblighi dichiarativi siano elusi sulla base di collusioni esperibili in danno dell'erario tra sostituto e sostituito, fermo che a quest'ultimo ovviamente spettano tutte le conseguenti azioni, anche per il rimborso dell'indebito tributario, nei confronti del sostituto inadempiente.

Deve pertanto ritenersi che, in caso di mancato versamento della ritenuta d'acconto da parte del sostituto di imposta e sempre che sia stata superata la relativa soglia di punibilità quantitativa e percentuale (della quale ultima il ricorrente non discute), integra il reato di infedele dichiarazione previsto dall'articolo 4 d.lgs. n. 74 del 2000, la condotta del sostituito che indica nella dichiarazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quelli effettivi, non inserendo tra i componenti positivi gli importi della ritenuta d'acconto operata dal sostituto d'imposta e da questi non versata, costituendo tali poste elementi attivi del reddito che concorrono alla determinazione dell'imposta evasa come definita dall'articolo 1, comma 1, lettera f), d.lgs. n. 74 del 2000.

Avendo il tribunale cautelare ritenuto, con logica ed adeguata motivazione, che la circostanza del mancato versamento della ritenuta di imposta da parte del sostituto era nota al sostituito, essendo quest'ultimo commercialista della persona giuridica inadempiente, deve ritenersi integrato, fatto salvo il normale regime della progressione processuale, anche l'elemento soggettivo del reato provvisoriamente contestato.

3. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.