"Posto di cambio": diritto alla retribuzione per il tempo relativo allo spostamento

I lavoratori che terminano la loro attività in un luogo diverso rispetto a quello in cui la prestazione ha inizio hanno diritto ad una retribuzione che compensi il tempo impiegato per spostarvisi (Corte di Cassazione n. 850/2017).

La Corte d’Appello di Napoli confermava la decisione resa dal Tribunale e rigettava la domanda proposta dai dipendenti nei confronti dell’azienda di mobilità, avente ad oggetto il riconoscimento in loro favore, quali dipendenti con mansioni di autista, del diritto alla retribuzione per il tempo relativo allo spostamento presso la sede di lavoro, dal luogo denominato "posto di cambio", ove il servizio veniva a cessare.
La decisione della Corte territoriale faceva leva sull’inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 17, lett. c), Rdl n. 2328/1923 in materia di lavoro effettivo, data l’inconfigurabilità di un obbligo per gli autisti di presentarsi ad inizio turno o a ritornare una volta cessato il servizio alla sede di lavoro.
In Cassazione, con il primo motivo, i ricorrenti, denunciano la falsa applicazione del citato articolo 17 e l’erronea interpretazione dello stesso che - a loro dire - implicherebbe invece la remunerazione pro-quota del tempo ulteriore impiegato dal lavoratore con mansioni di autista per il rientro dal servizio in ogni caso in cui non vi sia coincidenza tra il luogo di inizio e quello di termine della prestazione.
Tale motivo è stato accolto alla stregua dell’orientamento consolidatosi nella giurisprudenza di Cassazione, relativamente a controversie analoghe (cfr. da ultimo Cass. 13.11.2013, n. 25527 e gli ulteriori precedenti ivi citati), secondo cui il computo del tempo di viaggio presuppone che non vi sia coincidenza del luogo di inizio con quello di cessazione del lavoro giornaliero e che tale circostanza sia determinata, non da una scelta del lavoratore ma, in via esclusiva, da una necessità logistica aziendale (restando irrilevante la scelta del mezzo usato per lo spostamento).
Considerato che il fondamento della norma è insito nell’esigenza di compensare il tempo necessario per il menzionato spostamento dovuto all’organizzazione del lavoro da parte dell’azienda, il diritto all’attribuzione patrimoniale dipende dal fatto oggettivo della separazione del luogo di inizio e termine della giornata lavorativa, predeterminata dalle esigenze aziendali, elemento di cui non è necessaria alcuna dimostrazione. Né la contingente scelta del lavoratore di utilizzare o meno la propria vettura per recarsi al lavoro (e quindi di recuperarla al termine della giornata) incide sul fatto oggettivo della separazione dei luoghi da cui dipende il riconoscimento del diritto.
Pertanto il ricorso è stato accolto dalla Corte di Cassazione e l’impugnata sentenza cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà in conformità, disponendo, altresì, per l’attribuzione delle spese del giudizio di legittimità.