Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 dicembre 2016, n. 24803

Lavoro - Impiegato amministrativo - Licenziamento - Per giustificato motivo oggettivo - Impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni

 

Svolgimento del processo

 

I.A., premesso di aver lavorato per il C.R. s.r.l. con mansioni di impiegato amministrativo, esponeva al Tribunale di Napoli, quale Giudice del lavoro, di essere stato licenziato il 17.12.2009 per giustificato motivo oggettivo in considerazione della sfavorevole situazione del servizio sanitario in dipendenza della chiusura del reparto di fisiokinesiterapia. Chiedeva l'accertamento dell'illegittimità, nullità o invalidità di tale recesso privo di giustificato motivo oggettivo. Si costituiva la società convenuta contestando la fondatezza del ricorso; il Tribunale di Napoli con sentenza del 2.10.2012 riteneva illegittimo il recesso in quanto privo di giustificato motivo oggettivo.

La Corte di appello di Napoli con sentenza del 6.3.2014 rigettava l'appello del C.R.. La Corte territoriale osservava che la causale dedotta per legittimare l'intimato recesso era una situazione sfavorevole del settore sanitario non meramente contingente con conseguente chiusura del reparto di fisiocinesiterapia a seguito della sospensione della prestazioni a carico del SSN dall'Ottobre del 2009 e dall'impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni, nonché dalla riduzione drastica dei ricavi aziendali e dalla necessità di disporre un nuovo assetto organizzativo per una più economica gestione dell'impresa. La Corte rilevava che la chiusura del reparto di fisiocinesiterapia a seguito della sospensione delle prestazioni a carico del servizio sanitario nazionale era stato un provvedimento temporaneo e contingente poi revocato e che il recesso era intervenuto appena 15 gg. prima della cessazione degli effetti della detta sospensione. Circa le difficoltà economiche dedotte dall'impresa le stesse non erano state dimostrate non essendo neppure emerso che il budget per l'anno 2010 fosse effettivamente inferiore a quello degli anni precedenti né la correlazione tra la risoluzione del rapporto e la pretesa sfavorevole congiuntura economica; non era stata neppure dimostrata la natura definitiva e non transitoria della contrazione aziendale posto che le testimonianze avevano solo genericamente riferito che erano stati licenziati due fisioterapisti e che per il reparto vi era stata una riduzione di orario che era durato nel tempo.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il C.R. con un motivo; corredato da memoria; resiste controparte con controricorso.

Il Collegio ha autorizzata la motivazione semplificata della presente sentenza.

 

Motivi della decisione

 

Con il motivo dedotto si allega la violazione o falsa applicazione L. n. 604/66 e n. 300/70 art. 18, in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.; violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 5 per omessa, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Dalla produzione documentale della società emergeva univocamente che la stessa aveva un interesse alla ristrutturazione dedotta con drastica riduzione dell'attività. Le dichiarazioni rese dai testi in ordine alla ristrutturazione anche del reparto ove operava il lavoratore intimato non erano generiche; né era lecito per i Giudici sindacare nel merito le scelte organizzative dell'imprenditore ex art. 41 Cost.

Il motivo appare infondato ai limiti dell'ammissibilità. Seppure formalmente sembra sollevare anche questioni di diritto in realtà è diretto a contestare l'accertamento di fatti effettuato dai Giudici di merito sollevando in sostanza profili di inadeguatezza della motivazione della sentenza impugnata non più riproponibili in questa sede alla luce della formulazione novellata dell'art. 360 n. 5 c.p.c. applicabile ratione temporis: il "fatto" qui in discussione e cioè l'esistenza dei presupposti fissati per legge per il recesso per giustificato motivo oggettivo è stato esaurientemente già esaminato dalla Corte di appello che ha giudicato generiche le dichiarazioni rese dai testi in ordine alla stabile e non temporanea soppressione del reparto ove era addetto il lavoratore intimato e non comprovata la situazione di crisi economica dedotta dalla stessa società come ragione del recesso (e quindi non necessaria la pretesa ristrutturazione), sicché tale ragione può ritenersi pretestuosa. Pertanto appaiono inammissibili le censure mosse alla motivazione della sentenza impugnata incompatibili con la nuova formulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. (Cfr. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014); peraltro la detta motivazione appare coerente con i principi di diritto in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo secondo cui " è giurisprudenza di questa Corte che in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice (...) il controllo in ordine all'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro (...). Ai fini di cui trattasi è, quindi, sufficiente e necessario accertare l'effettività della addotta riorganizzazione non essendo consentito il sindacato sulla scelta dell'an e del quomodo" ( cfr da ultimo Sez. L, 3 luglio 2015, n. 13678). A tanto la Corte del merito si è strettamente attenuta accertando l'insussistenza della dedotta riorganizzazione, nonché la mancanza di una soppressione stabile e duratura (non a carattere contingente) del reparto presso cui era occupata la parte intimata e non precisati i contorni della contrazione dell'attività svolta dal detto reparto.

Si deve quindi rigettare il ricorso. Le spese del giudizio di legittimità- liquidate come al dispositivo- seguono la soccombenza.

La Corte ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 100,00 per esborsi, nonché in euro 3.500,00 per compensi oltre rimborso spese generali al 15% ed accessori come per legge.

La Corte ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.