Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 ottobre 2016, n. 21287

Accertamento fiscale - Maggiore imposta IRPEG, IRAP ed IVA - Recupero

 

Svolgimento del processo

 

A seguito di p.v.c. della Guardia di Finanza venne emesso nei confronti di Fallimento Napoli Uno s.p.a. avviso di accertamento relativamente all'anno d'imposta 2003 per, fra l'altro, effettuazione di operazioni triangolari interne in violazione dell'art. 21, comma 4, d.p.r. n. 633/1972, con recupero di maggiore imposta IRPEG, IRAP ed IVA, oltre sanzioni. Il ricorso del contribuente venne parzialmente accolto dalla CTP, con rideterminazione del reddito ai fini IRPEG, del valore della produzione ai fini IRAP e della maggiore imposta IVA. L'appello dell'Ufficio venne rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania sulla base della seguente motivazione per quanto qui rileva.

I verificatori "hanno ripartito le operazioni triangolari nazionali effettuate fino al 30/11/2003 in due distinti gruppi: quelle fatturate ai clienti il successivo mese di gennaio 2004 (ammontanti a €1.211.227,03 oltre IVA di €163.491,69) e quelle non ancora fatturate ai clienti fino alla data di accesso del 23/2/2004 (ammontanti a € 556.412,36 oltre IVA di €95.473,59). L'Agenzia delle Entrate, disattendendo tale constatazione dei militari verificatori e le risultanze emergenti dalla relativa documentazione, ha recuperato a tassazione l'intero ammontare. Tale situazione, come evidenziato anche dalla parte con le rese controdeduzioni e con le rese memorie, risulta dal bilancio di esercizio chiuso al 31/12/2003 ed approvato dall'assemblea ordinaria in data 31 maggio 2004, e dalla nota integrativa (pag. 28), ovvero tra le poste dell'attivo risulta evidenziata la somma di € 3.512.544,00 corrispondente al conto "fatture da emettere". L'affermazione dell'Agenzia resa a pag. 6 dell'appello appare perciò fuorviante e quindi infondata, in quanto il riferimento è soltanto al secondo gruppo di operazioni ammontanti a € 556.412,36 per il quale i militari verificatori hanno evidenziato che "l'impresa è ancora nei termini per la presentazione delle relative dichiarazioni fiscali". Poiché la verifica della Guardia di Finanza interessava il periodo 1/1/2002-23/2/2004, l'Agenzia non ha curato di prendere visione delle fatture emesse successivamente a tale ultima data, né ha rilevato la mancata fatturazione, attesa la mancanza della benché minima indagine critica in tal senso....il p.v.c. è un atto strumentale, con funzione puramente istruttoria all'interno della complessa procedura amministrativa di accertamento fiscale. L'avviso di accertamento è invece un atto amministrativo finale con rilevanza esterna ed in quanto tale deve soddisfare precisi requisiti di forma e di sostanza. Il titolare delazione accertatrice è l'ufficio finanziario, mentre alla polizia tributaria spettano soltanto poteri di collaborazione e di indagine per l'acquisizione di elementi utili per l'accertamento. Nella fattispecie in esame l'Ufficio, nel porre in essere l'accertamento, ha rinviato puramente e semplicemente agli elementi forniti dalla Guardia di Finanza, recuperandoli acriticamente e apoditticamente".

Ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi, di cui il secondo articolato in quattro submotivi. Resiste con controricorso il contribuente.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia violazione dell'art. 42 d.p.r. n. 600/1973 ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che legittima è la motivazione per relationem dell'atto impositivo, mediante rinvio alle conclusioni contenute nel p.v.c.

Il motivo è inammissibile. L'affermazione della CTR, secondo cui "l'Ufficio, nel porre in essere l'accertamento, ha rinviato puramente e semplicemente agli elementi forniti dalla Guardia di Finanza, recuperandoli acriticamente e apoditticamente", non ha il significato del riconoscimento in linea astratta dell'illegittimità del rinvio al p.v.c. da parte dell'atto impositivo, rinvio legittimo alla stregua della giurisprudenza di questa Corte (in tema di provvedimento amministrativo d'imposizione tributaria, la motivazione che rinvii alle conclusioni contenute in atti redatti nell’esercizio dei poteri di polizia tributari, già noti al contribuente, non è illegittima, indicando semplicemente che l’Ufficio procedente ha inteso realizzare un’economia di scrittura, la quale non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio - Cass. 21 marzo 2012, n. 4523; 5 ottobre 2012, n. 16976; 13 ottobre 2011, n. 21119). L'affermazione concerne, come precisa la CTR, la "fattispecie in esame" e va collocata nel contesto della motivazione. Ad avviso della CTR l'Ufficio, recuperando a tassazione l'intero ammontare contabilizzato dai verificatori, ha disatteso quanto risultante dal p.v.c. La conclusione in termini di recezione acritica dei dati forniti dai verificatori va interpretata alla luce di tale premessa. L'Ufficio, secondo la CTR, non ha elaborato criticamente gli elementi del p.v.c, ma li ha recepiti acriticamente in una forma che ha comportato che venissero disattesi. La conclusione della CTR in punto di recezione acritica è preceduta dalla distinzione fra la funzione puramente istruttoria del p.v.c. e l'accertamento svolto dall'Ufficio a conferma che, secondo il giudice di merito, nella specie è intervenuta una mancata rielaborazione dei dati che ha dato causa ad un loro fraintendimento. La ratio decidendi non è quindi quella contenuta nel motivo di censura.

Con il secondo motivo sub a) si denuncia violazione degli artt. 21, comma 4, d.p.r. n. 633/1972, 76 e 109, comma 2, TUIR, 5 e 14 d. leg. n. 446/1997, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che, premesso che per le cessioni di beni effettuate dal cessionario nei confronti di un terzo per il tramite del proprio cedente la fattura va emessa entro il mese successivo a quello della consegna, con riferimento ad operazioni la cui consegna era avvenuta nel novembre 2003, laddove l'art. 21, comma 4, imponeva la fatturazione entro dicembre, alcune erano state fatturate in ritardo (nel gennaio 2014), altre non erano state fatturate e che a fini fiscali, benché non fatturate nell'anno, tali operazioni costituivano imponibile per l'anno 2003.

Con il secondo motivo sub b) si denuncia violazione degli artt. 109 TUIR e 21, comma 4, d.p.r. n. 633/1972, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che se la cessione è avvenuta nel novembre 2003 è a quell'epoca che sorgono le obbligazioni tributarie e che a nulla rileva che si sia in tempo per le future dichiarazioni o che non si sia indagato sulle fatture emesse dopo il 1° febbraio 2004.

I due submotivi a) e b) sono inammissibili. La decisione impugnata non nega che le operazioni avvenute nel novembre 2003, fatturate in ritardo o non fatturate all'epoca della verifica, costituiscano imponibile fiscale con riferimento all'anno d'imposta 2003, ma nega che il contribuente abbia escluso dalla dichiarazione per tale anno le operazioni in discorso. Ciò si desume dalla rilevanza attribuita alle seguenti circostanze: il "bilancio di esercizio chiuso al 31/12/2003 ed approvato dall'assemblea ordinaria in data 31 maggio 2004", l’affermazione dei verificatori secondo cui "l'impresa è ancora nei termini per la presentazione delle relative dichiarazioni fiscali", il mancato esame delle fatture emesse dopo il 23 febbraio 2004, la mancata distinzione fra operazioni fatturate ai clienti nel mese di gennaio 2004 e quelle non ancora fatturate ai clienti fino alla data di accesso del 23 febbraio 2004. La censura, incentrata sull'attribuzione al giudice di merito della tesi secondo cui le operazioni avvenute nel novembre 2003, fatturate in ritardo o non fatturate, non costituissero materia imponibile per il 2003, non intercetta quindi la ratio decidendi.

Con il secondo motivo sub c) si denuncia illogicità della motivazione ai sensi dell'art 360 n. 5 c.p.c.. Osserva la ricorrente che è mancata la lettura della pag. 13 del p.v.c., ove risulta la somma degli importi delle fatture tardive ed emesse (£1.211 + 556 mila euro).

Il submotivo è inammissibile. A parte la non agevole comprensibilità del c.d. quesito di fatto, si censura la mancata valutazione di un elemento probatorio senza precisazione della decisività dell'elemento che sarebbe stato pretermesso (non è inutile aggiungere che l'elemento in discorso risulta chiaramente contemplato dalla motivazione).

Con il secondo motivo sub d) si denuncia motivazione insufficiente ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente che non sufficiente ai fini IRPEG e IRAP è l'iscrizione in bilancio della posta fatture da emettere, o che sia di €3,5 milioni.

Il submotivo è inammissibile. La censura attiene al rilievo della circostanza dell'iscrizione in bilancio, nel quadro del complesso degli elementi istruttori, ai fini della prova dell'inclusione delle operazioni del novembre 2003 nelle dichiarazioni fiscali per il medesimo anno. Trattasi di profilo di merito il cui esame è precluso nella presente sede di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili i motivi di ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali, che liquida in euro 8.669,70 per compenso, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e gli oneri di legge.