Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 19 ottobre 2016, n. 21175

IVA - Avviso di accertamento - Maggiori ricavi

 

Ritenuto in fatto

 

1. L’Agenzia delle entrate di Como notificava a G.C., titolare della ditta individuale "C. Elettronica Industriale di C. G. - fabbricazione di apparecchiature per il controllo dei processi industriali", avviso di accertamento di maggiori ricavi ai fini IVA, relativamente all’anno di imposta 2004, pari ad € 90.052,00, quale differenza della perdita dichiarata di € 262.058,00 rispetto a quella accertata di € 172.006,00, risultante dall’applicazione degli studi di settore di cui all’art. 62 sexies d.l. n. 331 del 1993, convertito con modificazioni dalla legge n. 427 del 1993.

2. La Commissione Tributaria Provinciale di Como, adita dal ricorrente, accoglieva parzialmente il ricorso, riducendo ad € 30.000,00 i ricavi conseguiti dal contribuente nell’anno di imposta in verifica.

3. Con sentenza n. 33 del 13 febbraio 2012 la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, dinanzi alla quale ricorreva il contribuente, confermava la sentenza di primo grado rigettando anche l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate.

La Commissione di appello riteneva di confermare la sentenza di primo grado sul rilievo che la Commissione Tributaria Provinciale aveva correttamente rideterminato in diminuzione i maggiori ricavi conseguiti dal contribuente, valorizzando la crisi del settore tessile in cui il medesimo operava, la perdita del cliente principale e la riduzione del personale, e considerando non idonee ad inficiare il fondamento della sentenza di primo grado le argomentazioni svolte dagli appellanti.

4. Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., cui replica con controricorso l’Agenzia delle entrate.

 

Considerato in diritto

 

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la falsa applicazione dell’art. 62 sexies, terzo comma, d.l. n. 331 del 1993, convertito con modificazioni dalla legge n. 427 del 1993, anche con riferimento agli artt. 39, primo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, 54 d.P.R. n. 633 del 1972 e 2697 cod. civ.

Il ricorrente, richiamati i principi giurisprudenziali espressi dalla Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 26635 del 2009 in materia di accertamento standardizzato mediante l’applicazione degli studi di settore, in particolare sulla centralità del contraddittorio nell’attività di accertamento espletata dall’Amministrazione finanziaria con tale metodologia e sugli oneri probatori incombenti sulle parti, ha dedotto che i giudici di merito, in violazione delle disposizioni censurate, non avevano rilevato che il contribuente aveva <assolto, fin dal contraddittorio in sede amministrativa, all’onere di provare il fatto impeditivo al sorgere dell’obbligazione tributaria>, dando <puntuale dimostrazione dell’inesistenza delle gravi incongruenze>, ed avevano in tal modo trascurato <di dare rilevanza alle specifiche ed inconfutabili circostanze di fatto dedotte dal ricorrente per assolvere all’onere della prova contraria> su di esso incombente.

1.1. Ai fini dell’ammissibilità del motivo così come proposto, sostiene il ricorrente che lo stesso non riguarda una "quaestio facti" ma l’applicazione di norme di diritto, essendosi questa Corte più volte pronunciata nel senso di escludere la valenza induttiva e, dunque, l’applicabilità dell’art. 62 sexies, terzo comma, d.l. n. 331 del 1993, convertito con modificazioni dalla legge n. 427 del 1993, nel caso di contribuenti operanti in settori economici caratterizzati da crisi di comparto, ritenendo in tal modo e per ciò solo assolto l’onere probatorio posto a carico del contribuente (ex art. 2697, secondo comma, cod. civ.).

1.2. Orbene, la circostanza che il ricorrente abbia avvertito la necessità di precisare che quella proposta con il mezzo di impugnazione in esame riguarda una quaestio iuris piuttosto che una questione di non adeguata valutazione da parte del giudice di merito delle risultanze processuali, impone di ricordare il noto principio giurisprudenziale, costantemente ribadito da questa Corte, secondo cui <Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione> (Cass. n. 195 del 2016; id. n. 26110 del 2015).

Se ne deve dedurre che, diversamente da quanto sostiene il ricorrente, la circostanza che un contribuente sia un soggetto economico operante in un settore caratterizzato da crisi di comparto non incide sull’astratta applicabilità al predetto operatore dell’art. 62 sexies d.l. citato, che tale previsione non contempla, né a ciò si può pervenire alla stregua delle pronunce giurisprudenziali citate dal ricorrente. Infatti, nell’ordinanza n. 18941 del 2010, questa Corte ha <negato legittimità ad accertamento esclusivamente fondato su dati parametrici ricavati da studio di settore specificamente contestati dai contribuenti e non altrimenti asseverati dall'Agenzia e peraltro (...) in assenza di preventivo contraddittorio, mentre nell’ordinanza n. 21856 del 2011 ha cassato la sentenza della CTR che non aveva fatto buon regolamento del principio affermato dalle S.U. nella sentenza n. 26635 del 2009, <non avendo compiuto alcuna valutazione della controprova offerta da contribuente>, che è indubbiamente una "quaestio facti".

1.3. Il motivo in esame, quindi, è inammissibile perché con esso il ricorrente censura come violazione di legge l’errata o omessa valutazione delle circostanze di fatto dedotte al fine di giustificare il rilevato scostamento reddituale, che è all’evidenza un vizio di motivazione, come d’altro canto sembra ritenere lo stesso contribuente che, contraddicendo la tesi sostenuta, conclude il motivo con un momento di sintesi (cui non era comunque tenuto, non ricadendo la fattispecie nella previsione dell’art. 366 bis c.p.c.) invece di formulare un quesito di diritto corrispondete al tipo di vizio denunciato.

2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole dell’omessa pronuncia sul motivo di appello con cui aveva contestato il difetto di motivazione dell’avviso dì accertamento per avere l’Amministrazione finanziaria omesso di prendere in considerazione le circostanze di fatto dedotte per giustificare il rilevato scostamento dai valori reddituali desunti dall’applicazione degli studi di settore, deducendo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 112 c.p.c.e 53, primo comma, d.lgs. n. 546 del 1992.

2.1. Il motivo è infondato alla stregua della giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’omessa od insufficiente pronuncia, quale vizio della sentenza, può essere utilmente prospettata solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine alla domanda che richiede una pronuncia di accoglimento o di rigetto, onde è da escludere tale vizio ove ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della domanda o di un suo assorbimento in altre statuizioni (Cass. sez. L, n. 303 del 11/01/2001; sez. 3, n. 19131 del 23/9/2004; sez. L, n. 17580 del 04/08/2014).

Ed è ciò che si è verificato nel caso di specie in cui la CTR, pur dando espressamente atto del motivo di appello proposto dal contribuente con riferimento al difetto di motivazione dell’atto impositivo, che avrebbe comportato l’annullamento dello stesso, esamina il merito dell’accertamento statuendone la parziale fondatezza, nei limiti già indicati dal giudice di primo grado. Decisione, questa, che si pone in evidente contraddizione con l’accoglimento del motivo che il ricorrente assume essere stato pretermesso, ma che invece deve ritenersi implicitamente rigettato.

3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 62 sexies, terzo comma, d.l. n. 331 del 1993, convertito con modificazioni dalla legge n. 427 del 1993, 39, primo comma, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, nonché 2697, 2727 e 2728 cod. civ.

Sostiene che la CTR ha violato le citate disposizioni laddove ha qualificato come relativa la presunzione di evasione che emerge dall’applicazione degli studi di settore, trascurando di dare rilevanza al contraddittorio endoprocedimentale e alle sue conseguenze sul piano probatorio, ritenendo, da un lato, che l’assolvimento da parte del contribuente dell’onere della prova dell’inesistenza delle gravi incongruenze non fosse idonea a vincere la presunzione di maggior reddito derivante dallo studio di settore e, dall’altro, che le risultanze del contraddittorio non imponevano all’Erario di prendere posizione e motivare le ragioni del dissenso.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. Va preliminarmente rilevato che, contrariamente a quanto assume il ricorrente, in nessuna parte della sentenza impugnata è dato desumere che la CTR abbia ritenuto che la prova contraria eventualmente fornita dal contribuente fosse inidonea a vincere la presunzione di maggiori ricavi risultanti dall’applicazione degli studi di settore o che l’Amministrazione finanziaria non fosse tenuta a valutare le risultanze del contraddittorio e le prove eventualmente fornite dal contribuente.

3.3. Ciò posto osserva la Corte che anche se si volesse ritenere che la CTR, laddove afferma che <l’accertamento induttivo presuntivo, fondato sugli studi di settore (...) costituisce una presunzione legale relativa> e che <il maggiore ricavo, risultante dall’applicazione degli studi di settore costituisce una presunzione grave, precisa e concordante a favore dell’Amministrazione>, si sia discostata dal principio giurisprudenziale affermato in materia dalle S.U. di questa Corte (n. 26635 del 2009), secondo cui <la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è "ex lege" determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli "standards" in sé considerati - meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente>, la conclusione cui è pervenuta la Commissione di appello non è però in contrasto con detto principio né con il dettato legislativo, avendo, da un lato, riconosciuto la possibilità per il contribuente di fornire la prova contraria dimostrando <all’Ufficio (in sede di definizione per adesione) e al Giudice (in sede contenziosa), con qualsiasi documento o argomentazione, l’infondatezza del reddito accertato e, dall’altro, valorizzato le prove fornite dal contribuente per confermare la riduzione dei ricavi già operata dal giudice di primo grado.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. il vizio logico di motivazione sostenendo che la Commissione di appello non aveva proceduto ad una motivata valutazione delle circostanze fattuali specificamente dedotte da esso contribuente a giustificazione del rilevato scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione degli studi di settore, limitandosi a confermare la riduzione dei ricavi operata dal giudice di prime cure in considerazione della crisi del settore tessile in cui operava il contribuente, la perdita del cliente principale e la riduzione del personale, omettendo anche di spiegare la ragione per la quale tali circostanze potessero generare soltanto una riduzione di due terzi dei ricavi accertati rispetto a quelli dichiarati e non elidere, invece, totalmente, la pretesa tributaria.

4.1. Il motivo è inammissibile in quanto è evidente che il ricorrente intende rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme e a sé favorevole, l’apprezzamento in fatto compiuto dalla Commissione di appello degli elementi di valutazione prospettati dalla parte, che appare in sé coerente. E’ noto che l'apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell'ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (ex multis, Cass. n. 7921 del 2011, n. 22901 del 2005, n. 15693 del 2004, n. 11936 del 2003). Diversamente opinando, il motivo di ricorso per cassazione di cui all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. finirebbe per risolversi in una richiesta di sindacato del giudice di legittimità sulle valutazioni riservate al giudice di merito (Cass. n. 5274 del 2007).

4.2. Ciò posto, osserva il Collegio che dal contenuto del provvedimento impugnato, in relazione al quale soltanto va verificata la sussistenza del denunciato errore intrinseco al ragionamento del giudice (cfr. Cass. n. 50 del 2014), si evince che la CTR ha tenuto in debita considerazione non solo le circostanze di fatto ed i documenti prodotti, ma anche le argomentazioni prospettate dalla parte ricorrente, ritenendole insufficienti ad inficiare il fondamento della condivisa pronuncia di primo grado, e le ha ritenute, con motivazione assai concisa ma essenziale, idonee a giustificare soltanto una riduzione dell’entità dei ricavi accertati, nella misura già stabilita dai giudici di primo grado ma non la loro totale elisione. Trattasi di valutazione esente dai prospettati vizi logici di motivazione, che va pertanto confermata.

5. Conclusivamente, quindi, il ricorso va rigettato perché inammissibili il primo e quarto motivo ed infondati il secondo e terzo, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come in dispositivo ai sensi del d.m. Giustizia n. 55 del 2014, nonché al rimborso in favore dell’Agenzia delle entrate delle eventuali spese prenotate a debito.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 2.000,00 oltre spese prenotate a debito.