Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 maggio 2016, n. 11069

Trasferimento ramo d’azienda - Entità economica che conserva la propria identità - Non ravvisabilità in un complesso di beni oggetto del trasferimento - Inefficacia - Persistenza rapporto di lavoro con la società cedente - Interesse concreto ed attuale del lavoratore

 

Svolgimento del processo e motivi della decisione

 

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell'art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio, letta la memoria depositata dalla lavoratrice intimata.

2. Con sentenza del 20.2.2014 la Corte di Appello di Roma ha confermato la decisione del giudice di primo grado che aveva accolto la domanda dell’attuale parte intimata, di accertamento dell’inefficacia del dedotto trasferimento del ramo d’azienda effettuato da T. s.p.a. alla E. S. S.p.a. con conseguente persistenza del rapporto di lavoro con la società cedente.

3. La Corte territoriale, ribadito l’onere inderogabile dell’impresa cedente di dimostrare la conformità dell’operazione di traslazione del ramo ai requisiti dell’art. 2112 c.c. e richiamata la giurisprudenza di legittimità sulla cessione del ramo d’azienda (Cass. 21711/2012), riteneva non assolto il predetto onere dal datore di lavoro e non contrastata efficacemente l’affermazione dirimente del giudice di primo grado secondo cui la struttura ceduta non avesse una propria identità in grado di per sé di funzionare autonomamente, dal momento che l’intera attività di controllo e coordinamento dei servizi ceduti era affidata a T..

4. T.I. s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a due motivi, e con separato ricorso la E.S. s.p.a., con motivi identici a quelli proposti da T..

5.  Resiste la parte intimata con controricorso.

6. Il ricorso è qualificabile come manifestamente infondato.

7. Parte ricorrente denuncia violazione di plurime norme di diritto: si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto l’interesse ad agire della lavoratrice (primo motivo); deduce violazione degli artt. 2112 c.c. e 41 Cost., critica gli argomenti posti a fondamento della ritenuta illegittimità della cessione (secondo motivo).

8. Il primo motivo, per quanto inammissibile perché svolto non evocando argomenti addotti dalla sentenza impugnata, non merita comunque accoglimento, come già ritenuto da questa Corte (v., ex multis, Cass. 8756/2014), posto che deve riconoscersi l’interesse concreto ed attuale del lavoratore, in un contesto di incertezza non eliminabile se non attraverso il ricorso alla giurisdizione, all’individuazione del soggetto con il quale deve ritenersi intercorrere il suo rapporto di lavoro.

9. La Corte territoriale si è, pertanto, correttamente conformata al principio secondo cui sussiste l’interesse del lavoratore ad accertare in giudizio la non ravvisabilità di un ramo d’azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e perciò l’inefficacia di questo nei suoi confronti, in assenza di consenso; ne questo interesse è escluso dalla solidarietà di cedente e cessionario stabilita dal capoverso dell’art. 2112 c.c., la quale ha per oggetto solo i crediti del lavoratore ceduto "esistenti" al momento del trasferimento e non quelli futuri, onde ben può considerarsi l’esistenza di un pregiudizio a carico del ceduto nel caso di cessione dell’azienda a soggetto meno solvibile (v. Cass. n.8756 cit),

10. Anche il secondo mezzo d'impugnazione è qualificabile come manifestamente infondato, tenuto conto della giurisprudenza di questa Corte formatasi con riferimento alla medesima vicenda (cfr., ex multis, Cass. 5425/2015 e numerose altre coeve).

11. «L’art. 2112 c.c., sia nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 18 del 2001, art. 1 vigente a decorrere dal 1 luglio 2001, sia nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32 applicabile, ratione temporis, alla presente controversia, ha mantenuto immutata la definizione di "trasferimento di parte dell'azienda" nella parte in cui essa è "intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata". Tale nucleo della disposizione è rimasto intatto, non essendo stato toccato dalle modifiche normative che hanno invece riguardato, con riferimento all'articolazione appena descritta, la soppressione dell'inciso "preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità" e l'aggiunta testuale "identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento".

12. Detta nozione di trasferimento di ramo di azienda nella parte di testo non modificata è coerente con la disciplina in materia dell'Unione Europea (direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha proceduto alla codificazione della direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE) secondo cui "è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria" (art. 1, n. 1, direttiva 2001/23).

13. La Corte di Giustizia, cui compete il monopolio interpretativo del diritto comunitario vivente (ex plurimis Cass. n. 19740 del 2008), ha ripetutamente individuato la nozione di entità economica come complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l’esercizio di un'attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obbiettivo (cfr. Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C- 13/95, Suzen, punto 13; Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, C- 340/2001, Abler, punto 30; Corte di Giustizia, 15 dicembre 2005, C- 232/04 e C-233/04, Guney-Gorres e Demir, punto 32) e sia sufficientemente strutturata ed autonoma (cfr. Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, Hemandez Vidal, C-127/96, C-229/96, C-74/97, punti 26 e 27; Corte di Giustizia, 13 settembre 2007, Jouini, C-458/05, punto 31; Corte di Giustizia, 6 settembre 2011, C-108/10, Scattolon, punto 60).

14. Il criterio selettivo dell'autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto, letto conformemente alla disciplina dell'Unione, consente di affrontare e scongiurare ipotesi in cui le operazioni di trasferimento si traducano in forme incontrollate di espulsione di personale.

15. Pertanto nessuna censura può essere addebitata alla sentenza impugnata laddove assume il canone della "articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata" quale pre-requisito indispensabile per configurare una efficace cessione del contratto di lavoro senza il consenso del lavoratore, prima ed oltre la questione della preesistenza del ramo ceduto.

16. Peraltro sull'aspetto della preesistenza del ramo ceduto di recente la Corte di Giustizia, pregiudizialmente sollecitata da un giudice italiano proprio in riferimento alla formulazione dell'art. 2112 c.c. novellata dall'art. 32 del cit. D.Lgs., ha testualmente ritenuto che "L'art. 1, par. 1, lett. a) e b), della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001,deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, in presenza di un trasferimento di una parte di impresa, consenta la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro nell'ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un'entità economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento" (CGUE, 6 marzo 2014, C-458/12, Amatori ed a.)» (così Cass. 5425/2015).

17. In definitiva come questa S.C ha già avuto modo di statuire in numerose e analoghe controversie concernenti il trasferimento di rami d’azienda da T.I. S.p.A, (cfr., ad es., Cass. n. 18675/14), ai sensi dell'art. 2112 c.c. (sia nel testo previgente, sia in quello modificato, in applicazione della direttiva n. 50/98/CE, dal D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, applicabile ratione temporis) deve intendersi come ramo autonomo d’azienda, in quanto tale suscettibile di trasferimento riconducibile alla disciplina della norma citata, ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento medesimo, conservi la propria identità.

18. Ciò presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente e non una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall’inerenza dei rapporti di lavoro ad un ramo di azienda già costituito (cfr., Cass. n. 8017/06; Cass. n. 2489/08 nonché, in controversie pressoché analoghe alla presente, relative a cessione di rami T., ex multis, Cass. n. 21711/12; Cass. n. 20095/13; Cass. n. 22627/13; Cass. n. 22742/13; Cass. n. 9949/14; Cass. 16262/2015).

19. Ne discende che si applica l’art. 2112 c.c. anche in caso di cessione di parte dello specifico settore aziendale, purché si tratti di un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività di impresa, con autonomia funzionale di beni e strutture già esistenti al momento del trasferimento (e, dunque, non solo teorica o potenziale).

20. Ciò posto la Corte territoriale ha escluso che nella fattispecie sottoposta al suo vaglio fossero emerse circostanze tali da far ritenere che nella specie fosse stata trasferita una attività organizzata "funzionalmente autonoma", con una valutazione di merito che, nel ricorso all’esame neanche è stata fatto segno di censura alcuna.

21. Deve, infine, rilevarsi che la violazione delle norme costituzionali (nella specie, dell’art. 41 Cost.), non può essere direttamente prospettata a motivo di doglianza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., posto che l’eventuale contrasto della decisione impugnata con i parametri costituzionali può essere devoluto alla Corte di legittimità solo con la formulazione dell’eccezione di illegittimità costituzionale della norma di legge la cui applicazione si assume non conforme ai canoni costituzionali.

22. In definitiva, entrambi i ricorsi devono essere rigettati.

23. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

24. La circostanza che entrambi i ricorsi siano stati proposti in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità del d.P.R. n. 115/2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228/2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. Sez. Un. 22035/2014 e alle numerose successive conformi).

25. Essendo i ricorsi in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) da rigettarsi integralmente deve provvedersi in conformità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta entrambi i ricorsi; condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico delle parti ricorrenti, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13,comma 1 -bis.