Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 maggio 2016, n. 11064

Prestazioni previdenziali - Indennità di disoccupazione con requisiti ridotti - Difetto delle prescritte giornate di lavoro effettive - Distinzione tra requisiti di accesso e parametro di quantificazione della prestazione - Sussiste

 

Svolgimento del processo e motivi della decisione

 

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell'art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio.

2. La Corte d’appello di Roma rigettava il gravame, svolto dall’INPS, avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda dell’attuale intimata volta ad ottenere l’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti (di cui al d.l. n. 86 del 1988, art. 7, comma 3, convertito nella L. n. 160 del 1988), con riferimento al periodo lavorativo aprile 2005 - aprile 2007 (svolto, con contratto a tempo determinato, per la s.p.a. O.), beneficio negato dall’INPS in difetto delle prescritte giornate di lavoro effettive, per avere la lavoratrice goduto, nei quattro mesi del 2007, dell’astensione obbligatoria dal lavoro per maternità.

3. Di questa sentenza l’INPS chiede la cassazione con ricorso fondato su un unico motivo.

4. L’intimata non ha resistito.

5. L’Inps, deducendo violazione di legge, rimarca la distinzione tra requisiti di accesso alla prestazione - non controverso in causa che i periodi coperti da contribuzione figurativa debbano essere inclusi - e il parametro di quantificazione della prestazione. Assume che il legislatore ha voluto differenziare i requisiti occorrenti per l’accesso alla prestazione dal criterio di calcolo della medesima, richiedendosi, per quest’ultimo, che debba farsi riferimento esclusivamente ad un numero di giornate pari a quelle lavorate e, per l’eventualità che il periodo lavorato superi il numero di 156 giorni, alle giornate che risultano dalla differenza tra tale numero predeterminato e le giornate di lavoro prestate, incrementate di quelle già indennizzate per disoccupazione. In breve, la questione attiene all’individuazione del secondo fattore della moltiplicazione da effettuare per determinare il concreto ammontare dell’indennità di disoccupazione: il numero delle giornate indennizzabili.

6. Il ricorso è qualificabile come manifestamente fondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte (v., sulla specifica questione posta con il ricorso all’esame, Cass. 6232/2014).

7. «L’art. 7, terzo comma, del DL 21 marzo 1988 n. 86, convertito nella Legge 20 maggio 1988 n. 160 e successive modifiche - ora abrogato dall’art. 2, comma 69, lett. b della Legge 28 giugno 2012 n. 92 - disponeva, per quello che in questa sede rileva, che: "Hanno diritto alla indennità ordinaria di disoccupazione anche i lavoratori che, in assenza dell'anno di contribuzione nel biennio, nell'anno 1987 abbiano prestato almeno settantotto giorni di attività lavorativa, per la quale siano stati versati o siano dovuti i contributi per l'assicurazione obbligatoria. I predetti lavoratori hanno diritto alla indennità per un numero di giornate pari a quelle lavorate nell'anno stesso e comunque non superiore alla differenza tra il numero 312, diminuito delle giornate di trattamento di disoccupazione eventualmente goduto, e quello delle giornate di lavoro prestate".

8. Devesi rilevare al riguardo che la giurisprudenza di questa Corte deve considerarsi oramai consolidata nel ritenere che, ai sensi del terzo comma del citato art. 7, per l’acquisizione del diritto all’indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti ridotti - esteso dalla legge ai lavoratori che abbiano prestato nell’anno "almeno settantotto giorni di attività lavorativa, per la quale siano stati versati o siano dovuti i contributi per l’assicurazione obbligatoria" - deve tenersi conto non soltanto delle giornate di effettiva prestazione del lavoro ma anche di quelle (non lavorate) interne ad un periodo lavorativo che siano soggette a contribuzione (vedi, in senso conforme, Cass. 13 maggio 1994 n. 4676, Cass. 27 novembre 1995 n. 12260, Cass. 26 luglio 1996 n. 6762, Cass. 2 dicembre 2000 n. 15412, Cass. 21 aprile 2005 n. 8299, Cass. 18 giugno 2008 n. 16524).

9. Sono rilevanti, quindi, ai fini dell’acquisizione del diritto alla prestazione di disoccupazione con requisiti ridotti non soltanto le giornate di mancata prestazione lavorativa per le quali tuttavia persista, a carico del datore di lavoro, l’obbligo della retribuzione e della corrispondente contribuzione (come per le giornate di ferie o di riposo retribuito) ma, altresì, le giornate per le quali la legge considera versati i contributi per l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione attraverso l’istituto della contribuzione figurativa (v., in particolare, Cass. 2 dicembre 2000 n. 15412 cit. che ha riconosciuto computabili per l’accesso alla prestazione di cui trattasi, in vicenda identica a quella ora all’esame del Collegio, i giorni di astensione obbligatoria per maternità).

10. Il criterio per determinare il requisito previsto dalla legge per l’accesso alla prestazione in esame è, però, normativamente distinto da quello previsto per calcolare la misura dell’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti.

11. Tale misura, infatti, e rapportata legislativamente (art. 7, 3° comma ult. periodo, del DL 21 marzo 1988 n. 86 cit.) ad "un numero di giornate pari a quelle lavorate nell’anno stesso e comunque non superiore alla differenza tra il numero 312, diminuito delle giornate di trattamento di disoccupazione eventualmente goduto, e quello delle giornate di lavoro prestate" (per tutte Cass. 8 giugno 1999 n. 5658 e Cass. 18 giugno 2008 n. 16524 cit).

12. Diversamente da quanto previsto per l’accesso all’indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti ridotti, pertanto, la misura della relativa prestazione va determinata in ragione del numero delle effettive giornate lavorate nell’anno di riferimento con il limite che detto numero non può essere superiore alla differenza tra il numero 312, diminuito delle giornate di trattamento di disoccupazione eventualmente goduto, e quello delle giornate di lavoro prestate.

13. Del resto, se la misura in parola fosse da ritenersi da computare secondo il criterio stabilito per l’accesso alla disoccupazione con requisiti ridotti, dall’art. 7, comma terzo, prima parte del citato D.L. 21 marzo 1988 n. 86, sarebbe da considerare inutiliter data la disposizione successiva che prevede il diritto ad un’indennità pan al numero delle giornate lavorate.

14. Va, quindi, ex art. 384, primo comma, c.p.c. enunciato il seguente principio di diritto: "l’art. 7, terzo comma, del decreto-legge 21 marzo 1988 n. 86, convertito nella Legge 20 maggio 1988 n. 160 e successive modifiche - ora abrogato dall’art. 2, comma 69, Iett. b della Legge 28 giugno 2012 n. 92 - va interpretato nel senso che mentre per l’acquisizione del diritto all’indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti ridotti deve tenersi conto non soltanto delle giornate di effettiva prestazione del lavoro, ma anche di quelle (non lavorate) interne ad un periodo lavorativo che siano soggette a contribuzione, per la determinazione della misura del trattamento previdenziale deve aversi riguardo alle giornate lavorate nell’anno di riferimento, spettando, quindi, il diritto all’indennità per un numero di giornate pari a quelle di effettivo lavoro e, comunque, non superiore alla differenza tra il numero 312, diminuito delle giornate di trattamento di disoccupazione eventualmente goduto, e quello delle giornate dì lavoro prestate» (così Cass. 6232/2014; v. anche Cass. 5746/2014).

15. In conclusione il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata, espressione di una diversa regala juris, va, pertanto, cassata;

- per non esservi necessità di ulteriori accertamenti di merito, la causa va decisa nel merito, con il rigetto dell’originaria domanda.

16. La natura meramente interpretativa della questione di cui alla presente causa e i non numerosi precedenti sulla questione dibattuta consigliano la compensazione delle spese dell'intero processo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'originaria domanda; compensa le spese dell’intero processo.