Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 maggio 2016, n. 11020

Accertamento ispettivo - Assoggettamento a contribuzione di retribuzioni inferiori al minimo di legge - Nullità/illegittimità del provvedimento - Omessa audizione dell’interessato ex art. 18 L. 689/1981 - Irrilevanza durante fase di accertamento - Sospensione del rapporto - Libera scelta del datore di lavoro - Permane l’obbligo retributivo e contributivo

 

Svolgimento del processo

 

1. Con sentenza depositata il 24 febbraio 2011 la Corte d’appello di Torino ha confermato la decisione del giudice di primo grado che aveva rigettato il ricorso proposto da C.E., titolare della ditta L., nei confronti della Direzione Provinciale del lavoro di Torino, nonché dell’INPS e dell’INAIL, al fine di dichiarare la nullità/illegittimità dell’accertamento ispettivo di cui al verbale del 28/4/2008 della predetta Direzione Provinciale del Lavoro e dei conseguenti provvedimenti assunti da INAIL e INPS.

2. Con il suddetto verbale la Direzione Provinciale del Lavoro di Torino aveva contestato al C. di avere assoggettato a contribuzione retribuzioni inferiori al minimo di legge nel periodo gennaio-dicembre 2007.

A seguito del predetto verbale l’Inail e l’Inps avevano chiesto il pagamento dei contributi evasi.

3. La Corte territoriale, a fronte della contestazione da parte del C. del mancato rispetto dell’art. 18 L. 689/1981, osservava che l’audizione dell’interessato non era prevista nella fase di accertamento della violazione, ma esclusivamente ai fini della legittimità dell’ordinanza ingiunzione, in concreto non emessa.

In ordine alle altre doglianze poste con l’appello, previo rilievo dell’inammissibilità delle stesse per mancanza di censura specifica alle motivazioni addotte dal Tribunale a sostengo del rigetto, osservava che l’elencazione stabilita dall’art. 28 D.L. 23/6/1995 n. 341 (ndr art. 28 D.L. 23/6/1995 n. 244) (convertito in legge 8/8/1995 n. 341) aveva carattere tassativo e non esemplificativo e che la contribuzione nel settore edile non era dovuta solo entro il limite di 40 ore annue, con la conseguente impossibilità di escludere dall’imponibile contributivo i permessi eccedenti tale limite.

Soggiungeva che la deroga al minimale invocata dal C. non era confortata dalla produzione del contratto collettivo in cui la disposizione derogatoria invocata si iscrive e che l’esclusione dell’obbligo contributivo valeva esclusivamente per le assenze per le quali la legge impone al datore di lavoro di sospendere il rapporto, cosicché l’obbligo continua a permanere ove la sospensione derivi da libera scelta del datore di lavoro o sia frutto di accordo.

3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il C. sulla base di tre motivi.

L’Inps e l’Inail resistono con controricorso.

L’Inail ha depositato memoria.

Il Ministero del lavoro non ha svolto attività difensiva.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 18 c. 1 L. 689/1981.

Osserva che, nonostante fosse stata richiesta l’audizione dell’interessato, costituente un obbligo all’interno dell’iter procedimentale di formazione dell’atto, la domanda non era stata presa in considerazione della Direzione Provinciale del Lavoro di Torino.

1.2. Il ricorso è infondato.

Ed invero l’obbligo di audizione dell’interessato è collegato alle prescrizioni di cui all’art. 18 L. 689/81.

Ne consegue che si rivela corretta la decisione della Corte d’appello nel punto in cui ha evidenziato che la Direzione Provinciale del Lavoro, alla quale si imputa l’omessa audizione, non ha adottato provvedimenti sanzionatori, limitandosi alla redazione e notifica del verbale di accertamento di illecito.

Ne consegue che non possono ritenersi operanti le regole procedimentali, tra cui l’art. 18 L. 689/1981, relative ai solo procedimenti sanzionatori.

Per altro verso è da rilevare, con riferimento all’ambito proprio del procedimento sanzionatorio, che la "mancata audizione dell’interessato che ne abbia fatto richiesta in sede amministrativa non comporta la nullità del provvedimento, in quanto, l’interessato avrebbe potuto sostenere in sede di audizione dinanzi all’autorità amministrativa ben possono essere prospettati in sede giurisdizionale" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 1786 del 28/01/2010, Rv. 611244).

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 9 e 18 L. 689/1981 e all’art. 10-bis L. 241/90.

Rileva che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare i profili di illegittimità del procedimento amministrativo evidenziati dalle suddette norme.

2.2. L’esposto motivo è infondato.

In proposito vale rilevare che le prime due norme richiamate sono dettate in tema di procedimenti sanzionatori e non possono trovare applicazione con riferimento ad un atto soltanto prodromico alla eventuale emissione di sanzioni.

Quanto al profilo attinente alla violazione della L. 241/90, è da rilevare che la censura si impunta su un atto a carattere meramente endoprocedimentale, dovendosi attribuire valore di provvedimento esclusivamente agli atti degli enti previdenziali determinativi delle inadempienze contributive.

3. Con l’ultimo motivo il ricorrente deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio - Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’applicazione degli artt. 85-86 CCNL artigiani edili.

Rileva che le assenze erano frutto di accordo tra i lavoratori e la ditta, che aveva deciso di organizzare il lavoro in funzione delle richieste di permesso non retribuito formulate dai lavoratori.

Osserva che l’art. 86 CCNL stabilisce che la retribuzione virtuale non si applica quando non via effettività del rapporto.

Evidenzia che, alla luce della corretta applicazione del contratto, la Corte d’appello avrebbe dovuto predere atto dell’accordo e ritenere non retruibili le ore non lavorate per effetto dell’art. 85 CCNL.

3.2. Anche l’ultimo motivo di ricorso è privo di fondamento.

In primo luogo, in ragione della mancata produzione per esteso del CCNL invocato, la censura soggiace alle sanzioni previste dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c.

E’ da rilevare, inoltre, che il motivo s’incentra esclusivamente sulla valenza dei citati accordi, senza che siano censurate le altre rationes decidendi poste a fondamento della sentenza (quali la rilevata inammissibilità dell’appello, l’accertata mancata produzione della disciplina contrattuale in sede di merito e l’incidenza - decisiva - sugli esiti degli invocati accordi del principio in forza del quale "In tema di contribuzione dovuta dai datori di lavoro esercenti attività edile, l’art. 29 del d.l. n. 244 del 1995, convertito nella legge n. 341 del 1995, nel determinare la misura dell’obbligo contributivo previdenziale ed assistenziale in riferimento ad una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario normale di lavoro stabilito dalla contrattazione collettiva, prevede l’esclusione dall’obbligo contributivo di una varietà di assenze, tra di loro accomunato dal fatto che vengono in considerazione situazioni in cui è la legge ad imporre al datore di lavoro di sospendere il rapporto.

Ne consegue che, ove la sospensione del rapporto derivi da una delibera scelta del datore di lavoro e costituisca il risultato di un accordo tra le parti, continua a permanere intatto l’obbligo retributivo, dovendosi escludere, attesa l’assenza di una identità di "ratio" tra le situazioni considerate, la possibilità di una interpretazione estensiva o, comunque, analogica, e ciò tanto più che la disposizione ha natura eccezionale e regola espressamente la possibilità e le modalità di un ampliamento dei casi d’esonero da contribuzione, che può essere effettuato esclusivamente mediante decreti interministeriali").

Tale principio, enunciato da Cass. 21700 del 13/10/2009, citata in sentenza, è stato ribadito dalla giurisprudenza successiva di questa sezione (si veda per tutte Cass. Sez. 6 - L, Ordinanza n. 9805 del 04/05/2011, Rv. 618816) e allo stesso il collegio intende dare continuità.

4. In base alla svolte argomentazioni il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Inps e dell’Inail, liquidate per ciascuno in complessivi € 3.100,00, di cui € 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Nulla sulle spese nei confronti del Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali.