Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 maggio 2016, n. 10792

Credito di imposta relativo ai dividendi - Silenzio rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso

 

Svolgimento del processo

 

1. Con sentenza n. 154/09/2009, depositata il 30/06/2009, la Commissione Tributaria Regionale dell'Abruzzo Sez. Staccata di Pescara, confermava la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla Q. B.V., società di diritto Inglese, nei confronti del silenzio rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso della metà del credito di imposta relativo ai dividendi per gli anni 2001 e 2002, assegnati a detta società britannica titolare del 99,83% delle azioni della società italiana E.-B. s.p.a., a seguito di delibere della controllata italiana.

La C.T.R., confermando le valutazioni del primo giudice e respingendo l'appello proposto dall'ufficio, riteneva infatti sussistenti, nella specie, t presupposti per il rimborso in discussione, previsti dall’art. 10, par. 4, della Convenzione tra l'Italia ed il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord del 21/10/1988, ratificata con legge 5 novembre 1990, n. 329, e in particolare la doppia imposizione dei dividendi, in Italia e nel Regno Unito, dato che la Q. B.V. - come si desumerebbe dall'attestazione in atti - è residente fiscalmente nel Regno Unito, è ivi soggetta alle imposte sui redditi ed è da considerarsi beneficiaria effettiva dei dividendi.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l'Agenzia delle Entrate, articolando cinque motivi (corredati da quesiti ex art. 366-bis cod. proc. civ.), ai quali la società estera ha replicato con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato ad un motivo.

 

Motivi della decisione

 

3. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 10 della Convenzione Italia-Gran Bretagna, ratificata con legge n. 329/1990, nonché vizio di omessa o insufficiente motivazione in ordine a un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma primo nn. 3 e 5, cod. proc. civ.), in relazione alla ritenuta sussistenza delle condizioni per qualificare la Q. B.V. "beneficiaria effettiva" dei dividendi.

Osserva che la C.T.R., considerando idonea a dimostrare tale presupposto la documentazione prodotta dalla società contribuente (contabili bancarie, attestazione rilasciata dall'autorità fiscale del Regno Unito; dichiarazioni dei redditi da cui risulta l'avvenuta denuncia a fini fiscali dei dividendi percepiti) e reputando dì contro insufficienti gli elementi dedotti dall'ufficio a sostegno della tesi opposta, considerati meri indizi inidonei ad assurgere al livello di prova, ha aderito ad un'interpretazione formalistica del presupposto suddetto.

Lamenta al riguardo in particolare omessa o inadeguata considerazione del fatto che la Q. B.V. è stata costituita in Olanda in data 19/3/1996 con forma giuridica di diritto olandese di società a responsabilità limitata, mantenendo tale configurazione e sede anche quando, successivamente, in data 1/2/2002, ebbe ad aprire un ufficio nel Regno Unito e ancora In data 14/12/2006 quando cambiò fa propria denominazione da Q. B.V. in E.-B. B.V.. Rileva che dalla ricostruzione del gruppo Q. emerge un intreccio di holding e sub-holding facente capo alla società capogruppo americana Q. I. di cui è parte la società italiana E.-B. S.p.a. che distribuisce dividendi. Osserva ancora che dall'esame dei bilanci del 2002 e 2003, allegati alla risposta al questionario dalla società, si evince che la Q. BV nella sua sede inglese svolge soltanto funzione di collettore dei dividendi percepiti da società sparse in Europa e non ha una propria attività di Impresa (componenti positivi di reddito di matrice esclusivamente finanziaria, importo esiguo delle spese generali e amministrative).

3. Con il secondo motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 10 della convenzione Italia-Gran Bretagna, ratificata con legge n. 329/1990, nonché vizio di omessa o insufficiente motivazione in ordine a un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma primo nn. 3 e 5, cod. proc. civ.), in relazione alla ritenuta sussistenza delle condizioni per qualificare la Q. B.V. residente ai fini convenzionali net Regno Unito, pur non essendo ivi ubicata e svolta la direzione effettiva.

Formula al riguardo i seguenti quesiti, di diritto e di fatto:

- "chiarisca la Corte se incorra nel vizio di violazione di legge (artt. 4 e 10 della Convenzione Italia-Gran Bretagna, ratificata con Legge n. 329/1990, e art. 27- bis comma 5 d.P.R. n. 600/73) la sentenza con la quale il Giudice Tributario abbia rigettato l’appello dell’A.F. ritenendo dimostrata la sede di direzione effettiva dell'azienda tramite l'attestazione rilasciata dalla Autorità fiscale del Regno Unito che certificherebbe la domiciliazione della Q. BV in Gran Bretagna ai sensi della Convenzione Italia-Regno Unito in luogo che accoglierlo per non aver considerato che, essendo il luogo di direzione effettiva quello nel quale vengono assunte le fondamentali decisioni direzionali e commerciali necessarie per la gestione dell' impresa, la certificazione era insufficiente a detto scopo probatorio";

- (se sia) "configuratole il vizio di insufficiente motivazione della sentenza de qua per... carente esame di punti decisivi della controversia avendo la C.T.R. ritenuto, in ordine alta dimostrazione della "sede di direzione effettiva" dell'azienda, che "con l'attestazione rilasciata dalla Autorità fiscale del Regno Unito, la Q. BV ha dimostrato di essere domiciliata in Gran Bretagna ai sensi della Convenzione Italia-Regno Unito" senza, però adeguatamente spiegare il percorso logico - motivazionale che l'ha condotta ad assumere tale determinazione a fronte dette risultanze documentali emergenti dagli atti di causa puntualmente evidenziate dall’ufficio nel proprio atto d'appello".

4. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma primo n. 4, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi su uno dei motivi d'appello, con il quale si denunciava l'abuso da parte della ricorrente dei trattati internazionali (c.d. treaty shopping).

Formula al riguardo il seguente quesito di diritto: "se incorra nel vizio di errar In procedendo (art. 112 c.p.c.) la sentenza con la quale la C.T.R. abbia respinto l'appello dell'Ufficio implicitamente rigettando, senza esaminarlo e confutarlo, il motivo di gravame svolto dall'Ufficio nel proprio scritto difensivo con il quale, sulla base degli elementi di prova evidenziati, aveva censurato la decisione di primo grado per avere la C.T.P. riconosciuto alla contribuente il diritto ai beneficio agevolativo pur avendo compiuto un abuso del diritto per aver posto in essere negozi giuridici senza alcuna valida ragione economica ma solo con l'esclusivo intento di evadere ed eludere le norme fiscali internazionali attraverso l'apertura di una sede in Gran Bretagna semplicemente al fine di godere dei benefici convenzionali".

5. Con il quarto motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 10 della Convenzione Italia-Gran Bretagna, ratificata con legge n. 329/1990, nonché vizio di omessa o insufficiente motivazione in ordine a un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma primo nn. 3 e 5, cod. proc. civ.), per avere la C.T.R. riconosciuto il diritto al rimborso In base alla richiamata convenzione in presenza di un meccanismo predisposto dal legislatore inglese che consente il recupero delle Imposte subite all'estero così duplicando il beneficio del credito d'imposta richiesto dall'altro Stato.

Rileva che l'affermazione contenuta in sentenza secondo cui fa certificazione fiscale rilasciata dalie autorità del Regno Unito sarebbe idonea a comprovare il fenomeno della doppia tassazione escludendo che la BV goda di alcuna possibilità di esenzione, è smentita dalla documentazione agli atti di causa. Secondo la ricorrente in particolare si ricava dalle dichiarazioni presentate dalia società Inglese negli anni In questione che il reddito scaturente dalie sue partecipazioni azionarie (tra cui quella nella società Italiana) viene completamente detassato e non subisce alcuna imposizione in Gran Bretagna, ciò per effetto dell'adozione da parte del legislatore inglese, dal 6/4/1999, di un regime d'esenzione sui dividendi che non prevede più l'attribuzione di un credito d'imposta sugli stessi ma concede direttamente l'esenzione da Imposizione per quelli percepiti dalla società residente. Donde l'insufficienza della certificazione considerata dal giudice a quo, posto che la soggezione della società estera ricorrente alla potestà impositiva del Regno Unito è condizione bensì necessaria ma non sufficiente, occorrendo anche l'effettiva sottoposizione a imposta e quindi il concreto prelievo fiscale con il corrispondente depauperamento patrimoniale.

Formula in conclusione i seguenti quesiti;

- "se incorra nel vizio di violazione di legge (art. 10 paragrafo 4 della Convenzione Italia-Gran Bretagna, ratificata con legge n. 329/1990) la sentenza con la quale il Giudice Tributario abbia rigettato l'appello dell'A.F. ritenendo spettante il diritto al rimborso per aver la contribuente subito una doppia imposizione in luogo che accoglierlo per non aver considerato che la normativa interna inglese autonomamente non tassa i dividendi di fonte italiana, facendo venir meno per il fisco italiano l'obbligo convenzionate previsto dall'art. 10 comma 4 di restituzione delle imposte pagate in Italia sui dividendi, in quanto nel Regno Unito i dividendi di fonte estera non concorrono alta formazione del reddito da assoggettare a tassazione";

- (se sia) "configurabile il vizio di insufficiente motivazione della sentenza de qua per ... carente esame di punti decisivi della controversia avendo la C.T.R. ritenuto, in ordine alla dimostrazione della "sede di direzione

effettiva" dell'azienda, che "con l'attestazione rilasciata dalla Autorità fiscale del Regno Unito, la Q. BV ha dimostrato di essere domiciliata in Gran Bretagna ai sensi della Convenzione Italia-Regno Unito" senza, però adeguatamente spiegare il percorso logico - motivazionale che l'ha condotta ad assumere tale determinazione a fronte delle risultanze documentali emergenti dagli atti di causa puntualmente evidenziati dall'Ufficio nel proprio atto d'appello".

6. Con il quinto motivo la ricorrente deduce infine violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod, civ., in relazione all'art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., assumendo essere incorsa la C.T.R. in inversione dell'onere probatorio.

Premesso che, trattandosi di istanza di rimborso, spetta al richiedente dar prova dei fatti costitutivi della propria domanda e, dunque, della sussistenza di un fenomeno di doppia imposizione nel Paese nel quale i redditi sono prodotti e in quello di residenza del contribuente, lamenta che i giudici di merito hanno al contrario postulato la necessità, per l'ufficio, di fornire prova, in positivo, circa l'ubicazione della direzione effettiva nella sede olandese della società ricorrente.

Formula in tal senso quesito di diritto.

7. Con l'unico motivo di ricorso incidentale condizionato, la società resistente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 57 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all'art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. respinto l'eccezione da essa preliminarmente opposta di inammissibilità dell'appello a motivo dell'introduzIone di domande ed eccezioni nuove.

Rileva che, nel costituirsi in primo grado, l'ufficio aveva resistito al ricorso della contribuente limitandosi a dedurre: la mancanza di alcuni documenti a corredo della domanda; la produzione di copie, anziché degli originali, dei documenti concernenti il pagamento dei dividendi. Solo con memoria illustrativa depositata prima dell'udienza di trattazione, il centro operativo aveva chiesto un rinvio per esaminare la documentazione ricevuta in risposta al questionario notificato alla società onde acquisire prova della sua qualità di beneficiaria effettiva dei dividendi e della sua sede effettiva nel Regno Unito. Su questi due aspetti, tuttavia, non aveva formulato vere e proprie eccezioni tese a paralizzare la domanda di rimborso, per la prima volta a tal fine risultando invece esse dedotte nell'atto d'appello.

È formulato quesito di diritto.

8. Giova precisare in premessa - con riferimento alla scelta espositiva che accomuna i motivi primo, secondo e quarto di ricorso - che non è causa di inammissibilità il fatto in sé che, nell'ambito dello stesso motivo, vengano dedotte due distinte censure (violazione di legge e vizio di motivazione), trattandosi di modalità redazionale fonte potenziale bensì di maggiore difficoltà di lettura e percezione del chiesto ma non anche di inosservanza dei requisiti di forma contenuto dell'atto richiesti dall'art. 366 comma primo n. 4 cod. proc. civ., ferma restando naturalmente la necessità che per entrambi venga articolato specifico e distinto quesito ai sensi dell'art. 366-bis cod. proc. civ. (ove applicabile, come nella specie, ratione temporis: v. Sez, U, n. 7770 del 31/03/2009, Rv. 607547; conf. Sez. 3, n. 12248 del 20/05/2013, Rv. 626395): onere peraltro nella specie compiutamente rispettato, almeno per i motivi primo e secondo, nonché per la prima delle censure dedotte con il quarto.

9. Ciò premesso e passando all'esame del primo motivo se ne deve rilevare la fondatezza con riferimento alla prima censura, assorbente, di violazione di legge.

È pacifico in causa che una delle condizioni richieste - a termini della Convenzione tra l’Italia ed il Regno Unito dì Gran Bretagna e Irlanda del Nord del 21/10/1988, ratificata con legge 5 novembre 1990, n. 329 - per la fruizione del beneficio fiscale richiesto dalla società estera sui dividendi distribuiti dalla controllata italiana, sia la qualità di beneficiario effettivo, in capo alla prima, dei dividendi medesimi.

Più precisamente viene in rilievo la disposizione di cui all'art. 10, paragrafo 4, lett. b), della convenzione, a mente della quale: "le disposizioni del subparagrafo a) del presente paragrafo non si applicano quando il beneficiario effettivo dei dividendi è una società che controlla da sola od insieme ad una o più società collegate, direttamente o indirettamente, il IO per cento o più del potere di voto nella società che paga i dividendi. In tal caso, una società residente del Regno Unito che riceve dividendi da una società residente dell’Italia ha diritto, a condizione che sia la beneficiaria effettiva dei dividendi, ad un credito di imposta pari alla metà del credito d'imposta cui una persona fisica residente in Italia avrebbe diritto se avesse ricevuto gli stessi dividendi; previa deduzione dell'imposta prevista al sub-paragrafo a) del paragrafo 2 del presente articolo ed a condizione che la società la quale riceve i dividendi ed il credito d'imposta sia a tal titolo soggetta all’imposta del Regno Unito. Ai fini del presente subparagrafo, due società si considerano collegate se una di esse controlla, direttamente o indirettamente, più del 80 per cento del potere di voto nell'altra società oppure una terza società controlla più del 50 per cento del potere di voto di entrambe".

Con riferimento alla condizione posta per l'applicazione di tale disposizione, rappresentata dall'essere, la società estera che riceve I dividendi, beneficiaria effettiva degli stessi, questa Corte ha già avuto modo di osservare, In termini generali, che "le convenzioni contro le doppie imposizioni sono strumenti di diritto internazionale pattizio il cui fine è quello di evitare il fenomeno della c.d. doppia imposizione giuridica, in materia di imposte sul reddito e di capitali, nonché prevenire l'evasione fiscale. Ne deriva che il godimento dei benefici convenzionali non può che essere strettamente connesso alla circostanza che il contribuente, che ne beneficerà, sia un soggetto, non solo, sottoposto alla effettiva giurisdizione dell'altro Stato contraente (requisito della residenza)f ma anche il soggetto che avrà la disponibilità economica e giuridica del provento formalmente percepito, versandosi, altrimenti, nell’ipotesi di una "traslazione impropria dei benefici convenzionali" È in questa prospettiva che la prassi internazional-tributaria ha elaborato il concetto di beneficiario effettivo al fine di contrastare quelle pratiche volte proprio a trarre profitto dalla autolimitazione della potestà impositiva statale.

In ambito Ocse, il concetto di beneficiario effettivo è comparso per la prima volta nel Modello di convenzione del 1977, negli artt. 10 e 11, rispettivamente dedicati al regime di tassazione di dividendi ed interessi. La prassi statale si é, quindi, conformata a tale orientamento, adottando la clausola del beneficiario effettivo (o beneficiai owner, nella traduzione inglese del concetto) nei diversi trattati sottoscritti.

La clausola del beneficiario effettivo si può quindi qualificare come una clausola generale dell'ordinamento fiscale internazionale, volta ad impedire che i soggetti possano abusare dei trattati fiscali attraverso pratiche di treaty shopping con lo scopo di far godere della protezione convenzionale contribuenti che, altrimenti, non ne avrebbero avuto diritto o che avrebbero subito un trattamento fiscale, comunque, meno favorevole.

Alla luce di tale clausola e della stessa origine delle convenzioni fiscali, il self-restraint, cui uno Stato nazionale acconsente sottoscrivendo una convenzione, non può, evidentemente, spingersi fino al punto di consentire un abuso della stessa convenzione che realizzerebbe, quindi, un fenomeno di doppia non imposizione altrettanto deprecabile quanto quello della doppia imposizione.

Se ne deve desumere pertanto la possibilità, per lo Stato della fonte (nel caso di interesse, l'Italia), di tassare i proventi diretti ad un residente estero nella misura in cui, se ciò non facesse, oltre a vedersi distorte le norme distributive convenzionali, relative all'esercizio del potere impositivo degli Stati, si consentirebbe una forma di pianificazione fiscale, non soltanto aggressiva per le ragioni erariali ma, al contempo, anche pregiudizievole per un corretto confronto concorrenziale tra operatori economici" (così, In motivazione, Cass., Sez. 5, n. 25281 del 16/12/2015).

Si è dunque rimarcato che il concetto di beneficiario effettivo non può coincidere con quello più ampio di soggetto che, residente all'estero e Ivi soggetto a imposizione, riceve i dividendi, ma richiede un quid pluris, rappresentato dall'essere tale soggetto anche colui che ha la effettiva disponibilità giuridica ed economica dei dividendi: tanto del resto può letteralmente ricavarsi anche dalla norma convenzionale applicabile al caso in esame e sopra testualmente richiamata, rendendo essa evidente già sul piano testuale la distinzione o, meglio, la non necessaria coincidenza, tra "società residente del Regno Unito che riceve dividendi da una società residente dell'Italia" e società "beneficiaria effettiva dei dividendi", nonché ancora tra tale ultima condizione e quella ulteriore dell'essere, la società percettrice dei dividendi, "a tal titolo soggetta all'imposta del Regno Unito".

Orbene, nel caso di specie la C.T.R. ha ritenuto sussistente il requisito in parola sulla base della testuale considerazione (v. pag. 4) secondo cui "per beneficiario effettivo deve intendersi il soggetto su cui ricade effettivamente l'imponibilità del dividendo erogato, mentre non può considerarsi tale il soggetto che in qualità di intermediario o di agente si interpone tra il debitore del pagamento ed il beneficiano", nonché in ragione dell'ulteriore susseguente rilievo secondo cui "in materia di applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni, il beneficiario effettivo è il soggetto a cui è fiscalmente imputabile il reddito e che dia prova dell’avvenuta percezione dei dividendi e dell'assolvimento degli obblighi fiscali nel paese di residenza del recipiente".

Appare pertanto evidente, alla luce di tali proposizioni, che il giudice a quo, giusta quanto dedotto dalla ricorrente, abbia posto a base della propria decisione una nozione formalistica di beneficiario effettivo, tale da farla coincidere sostanzialmente con quella di soggetto percettore dei dividendi e a tal titolo soggetto all'imposta nel paese estero, in netto contrasto non solo con la vista finalità riconnessa a tale condizione nella prassi internazionale (volta a richiedere una attenzione sostanziale alle ragioni giuridiche ed economiche sottese ai collegamenti societari transnazionali al fine di contrastare pratiche di treaty shopping e, in tale prospettiva, ad attribuire rilievo alla effettiva disponibilità giuridica ed economica dei dividendi), ma anche con i dati emergenti dalla citata norma convenzionale, univocamente diretti a distinguere la condizione di beneficiario effettivo da quella di effettivo percettore dei dividendi nonché da quella ulteriore di società "a tal titolo" soggetta a imposta nello Stato estero.

La censura In esame merita pertanto accoglimento con conseguente assorbimento di quella che, all’Interno del medesimo motivo, investe l'identico tema sul plano motivazionale. Resta peraltro assorbito anche il terzo motivo di ricorso con il quale si lamenta (quale error in procedendo ex art. 112 cod. proc. civ.) l'omessa pronuncia sul motivo d'appello con il quale si deduceva la configurabilltà nel caso di specie di un'ipotesi dì abuso del trattati internazionali, essenzialmente in ragione della impossibilità di considerare la società estera quale beneficiarla effettiva dei dividendi: censura questa, dunque, a ben vedere meramente ripetitiva dì quella proposta con il primo motivo, ancorché diversamente argomentata.

La sentenza impugnata va conseguentemente per tale profilo cassata, con rinvio al giudice a quo ai quale è richiesto di verificare la sussistenza del detto requisito, così come sopra correttamente interpretato, in particolare tenendo conto delle circostanze tutte evidenziate dall'Agenzia circa le vicende che hanno condotto al trasferimento all'estero della società odierna controricorrente, i rapporti con la sovraordinata società controllante nordamericana, l'attività effettivamente svolta.

10. È invece infondato il secondo motivo di ricorso.

Sotto il primo profilo (violazione di legge) esso invero si fonda su una lettura del requisito dì applicazione della convenzione Italia Regno Unito (quanto alla residenza della società estera, che secondo la ricorrente dovrebbe identificarsi in quello della direzione effettiva) che non trova fondamento nella convenzione medesima (art. 4).

Recita infatti il primo comma di tale disposizione: "1. Ai fini della presente Convenzione, l'espressione "residente di uno Stato contraente" designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio di natura analoga..."

Il successivo quarto comma dispone poi che: "3. Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1 del presente articolo, una persona diversa da una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, si ritiene che essa è residente dello Stato contraente in cui si trova la sede della sua direzione effettiva".

Appare pertanto evidente che l'esigenza di considerare la direzione effettiva dell'Impresa viene In rilievo solo nel caso in cui la società abbia sede in entrambi gli stati contraenti: presupposto che nel caso di specie non ricorre, posto che non risulta che la Q. BV abbia sede anche in Italia.

È dunque sufficiente che, a termini di Convenzione, la società abbia sede in Gran Bretagna secondo le leggi di quello Stato - il che nella specie è incontestato - mentre nessun rilievo ai fini in esame può assumere anche l'indagine sulla sede di sua direzione effettiva.

Rilievo questo che evidentemente assorbe anche la connessa censura mossa sul piano della motivazione, in quanto diretta a contestarne la sufficienza in ordine al requisito in parola, in rapporto però a detta erronea interpretazione dello stesso ed assorbe anche il quinto motivo di ricorso, in quanto denunciante (peraltro infondatamente) inversione dell'onere probatorio in ordine alla valutazione del detto supposto, ma inesistente, requisito del radicamento in Gran Bretagna della sede di direzione effettiva.

11. È fondata la prima delle censure dedotte con il quarto motivo (violazione e falsa applicazione dell'art. 10 della Convenzione talia-Gran Bretagna, ratificata con legge n. 329/1990, per avere la C.T.R. riconosciuto il diritto al rimborso in base alla richiamata convenzione in presenza di un meccanismo predisposto dal legislatore inglese che consente il recupero delle imposte subite all'estero cosi duplicando il beneficio del credito d'imposta richiesto dall'altro Stato).

La censura, com'è evidente, postula l'applicabilità di una data disciplina nel Regno Unito che modifica il regime di esenzione sui dividendi; la fonte normativa di diritto straniero non risulta prodotta in giudizio ma l'esistenza e il contenuto della norma, ai fini che qui interessano, sono in sé incontestate, essendo ammesso anche dalla società controricorrente che in effetti valga per essa, nel Regno unito, un regime di esenzione a monte sui dividendi percepiti da società residente in altro Stato.

Risulta peraltro incidentalmente affermato anche nella sentenza impugnata che le leggi britanniche prevedano un regime di esenzione fiscale sul redditi da dividendi. La C.T.R. ha nondimeno ritenuto configurabile, pur in tale contesto, il presupposto in questione alla luce (e in ragione) della certificazione fiscale rilasciata dalla autorità del Regno Unito secondo cui la Q. BV "è assoggettata alle imposte sui redditi senza possibilità di esenzione", ritenendo che la stessa "non lascia spazio a diverse interpretazioni che, In mancanza di specifica contestazione di veridicità e rispondenza, non possono assurgere a sicuro elemento di prova contraria".

Orbene appare evidente che anche in tal caso la Corte di merito, alla stregua della su riportate argomentazioni, abbia preso le mosse da una non corretta enucleazione della regula iuris applicabile al caso, ritenendo sufficiente una generica attestazione di soggezione della società alle imposte sui redditi, laddove si richiedeva di verificare, a termini di convenzione, non che la Q. BV, società di diritto inglese, fosse ivi soggetta tout court alle imposte sui redditi (income tax) ma, più specificamente, se essa fosse soggetta a Imposta sui dividendi percepiti dalla società controllata italiana; ciò in conformità al chiaro disposto sul punto della citata norma convenzionale che, ai fini dell'applicabilità dell'invocato beneficio, richiede, oltre ai visti requisiti della residenza nello Stato estero e della qualità di beneficiaria effettiva, anche l'essere la società che riceve i dividendi "a tal titolo" soggetta all'imposta del Regno Unito, laddove l'inciso "a tal titolo" tende evidentemente a postulare uno specifico rilievo impositivo dei dividendi.

Anche sul punto pertanto la sentenza impugnata va cassata, dovendosi conseguentemente demandare alla C.T.R. di procedere ad una più attenta verifica della disciplina dettata nello Stato estero in ordine al trattamento fiscale del dividendi In parola e alla rilevanza della stessa al fini della configurabllità o meno del requisito suindicato quale dettato, nei termini evidenziati, dalla convenzione.

Rimane anche in tal caso assorbito l'esame della censura contestualmente proposta nell'ambito del medesimo quarto motivo sul piano motivazionale.

12. È infine infondato il ricorso incidentale.

Com'è noto il divieto di nuove eccezioni in appello, introdotto per il giudizio contenzioso ordinario con la legge 26 novembre 1990, n. 353, tramite la riforma dell’art. 345 cod. proc. civ., e successivamente esteso al giudizio tributano dall'art. 57 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si riferisce esclusivamente alle eccezioni In senso stretto o proprio, rappresentate da quelle ragioni delle parti sulle quali il giudice non può esprimersi se manchi l'allegazione ad opera delle stesse, con la richiesta di pronunciarsi al riguardo. Detto divieto non può mai riguardare, pertanto, i fatti e le argomentazioni posti dalle parti medesime a fondamento della domanda, che costituiscono oggetto di accertamento, esame e valutazione da parte del giudice di secondo grado, il quale, per effetto dell'impugnazione, deve a sua volta pronunciarsi sulla domanda accolta dal primo giudice, riesaminando perciò fatti, allegazioni probatorie e argomentazioni giuridiche che rilevino per la decisione (v. e pluribus Cass., Sez. 6-5, Ord. n. 6391 del 13/03/2013, Rv. 625589).

Nel caso di specie la contestazione della sussistenza dei presupposti del vantato credito d'imposta, essendo volta a negare la sussistenza del fatto costitutivo del diritto fatto valere in giudizio dalla società ricorrente e non già a contrapporvi fatti diversi con effetto estintivo, modificativo o impeditivo, configura mera difesa e non già eccezione in senso proprio e come tale è suscettibile di essere dedotta anche per la prima volta in appello, senza che ciò possa considerarsi violare il divieto dei nova dettato dall'art. 57 d.lgs, 31 dicembre 1992, n. 546.

13. Per le ragioni esposte deve in definitiva pervenirsi all'accoglimento del primo e del quarto motivo di ricorso, con assorbimento del terzo e del quinto motivo e delle ulteriori censure svolte nell'ambito dei primi due motivi; devono invece essere rigettati il secondo motivo di ricorso principale e il ricorso incidentale.

In relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla C.T.R. dell'Abruzzo, Sez. Staccata di Pescara, in diversa composizione, la quale provvederà anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo e il quarto motivo di ricorso principale, limitatamente alle prime censure in ciascuno di essi rispettivamente formulate; rigetta il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbite le rimanenti censure svolte nel medesimo ricorso; rigetta il ricorso incidentale; per l'effetto, cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia la causa alla C.T.R. dell'Abruzzo, Sez. Staccata di Pescara, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.