Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 26 maggio 2016, n. 10955

Previdenza - Rate di pensione non riscosse - Pagamento - Eredi - Successione testamentaria

 

Svolgimento del processo e motivi della decisione

 

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio, non infirmata dalla memoria depositata dai ricorrenti.

2. La Corte d’appello di Lecce ha rigettato il gravame, svolto da D.G., avverso la sentenza impugnata del giudice di primo grado.

3. Avverso tale sentenza ricorrono P.S. e altri litisconsorti, nella qualità di eredi della predetta D.

4. Resiste l’INPS, con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria, e deduce l’inammissibilità del ricorso per non avere i ricorrenti dato prova di agire nella qualità di eredi della D., nei confronti della quale è stata resa la sentenza in questa sede impugnata.

5.  Il ricorso è qualificabile come inammissibile giacché è stato proposto da P.S., R., M.A. e R.C., nella loro qualità di eredi della defunta D.G., senza che l’asserita qualità di eredi dell’originaria parte risulti documentata in questa sede di legittimità.

6. Costituisce principio consolidato che la facoltà di proporre impugnazione spetta solo ai soggetti partecipi del precedente grado di giudizio, nel quale siano rimasti soccombenti, e che chi intende proporre ricorso per cassazione nell’asserita qualità di erede della persona che partecipò al precedente giudizio di merito deve provare, tramite le produzioni consentite dall’art. 372 cod. proc. civ., a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, sia il decesso della parte originaria del giudizio che l’asserita sua qualità di erede di detta parte.

7. La mancanza di tale prova è rilevabile anche d’ufficio, in quanto attiene alla titolarità del diritto processuale di adire il giudice dell’impugnazione e, pertanto, alla regolare costituzione del contraddittorio (v., fra le altre, Cass. 15352/2010).

8. Va anche ricordato, con Cass. nn. 12361/2011 e 15803/2009, che in tema di successioni mortis causa, la qualità di erede può essere provata, in sede processuale, anche mediante la produzione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

9. Al riguardo le Sezioni unite della Corte, con la sentenza n. 12065 del 2014, hanno affermato che colui che, assumendo di essere erede di una delle parti originarie del giudizio, intervenga in un giudizio civile pendente tra altre persone, ovvero lo riassuma a seguito di interruzione, o proponga impugnazione, deve fornire la prova, ai sensi dell'art 2697 cod. civ., oltre che del decesso della parte originaria, anche della sua qualità di erede di quest’ultima; a tale riguardo la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui agli artt. 46 e 47 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, non costituisce di per sé prova idonea di tale qualità, esaurendo i suoi effetti nell’ambito dei rapporti con la P.A. e nei relativi procedimenti amministrativi, dovendo tuttavia il giudice, ove la stessa sia prodotta, adeguatamente valutare, anche ai sensi della nuova formulazione dell’art. 115 cod. proc. civ., come novellato dall'art. 45, comma 14, della legge 18 giugno 2009, n. 69, in conformità al principio di non contestazione, il comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui confronti la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene fatta valere, con riferimento alla verifica della contestazione o meno della predetta qualità di erede e, nell’ipotesi affermativa, al grado di specificità di tale contestazione, strettamente correlato e proporzionato al livello di specificità del contenuto della dichiarazione sostitutiva suddetta.

10. Nella specie i ricorrenti hanno prodotto solo certificazione relativa alla "situazione di famiglia originaria, rilasciata dal Comune di Cursi", comprovante la sola relazione parentale con la signora D.G., e tanto basta, in considerazione della contestata qualità delle ricorrenti, per ritenere inammissibile il ricorso.

11. Vanno, inoltre, ricordate, in ordine alla prova della qualità di erede, da ultimo, Cass. 21733/2015 (che, pur muovendo dall’arresto delle Sezioni unite del 2014, ribadisce, con Cass. 1943/2011, la rilevabilità d’ufficio anche a prescindere dall’eventuale mancanza di contestazione della legittimazione ad opera della controparte) e Cass., sez. sesta-L 18282/2015, ed ivi il rilievo secondo cui la sussistenza della relazione parentale di coniugio e di filiazione non esclude la presenza di altri soggetti legittimari (e, quindi, chiamati all’eredità) o la possibilità, in ipotesi di successione testamentaria, dell’istituzione di altri eredi.

12. Va, inoltre, aggiunto, che non rileva agli effetti probatori dell’accettazione dell’eredità la dichiarazione di successione all’Agenzia delle entrate, per sua natura sempre emendabile in quanto priva di valore confessorio (cfr. Cass. 25008/2015).

13. Ed, infine, va rimarcato che questa Corte (v., Cass. n. 4655 del 2009) è già intervenuta sull’asserita prova della qualità di eredi desunta dall’avvenuto pagamento delle rate di pensione non riscosse, dal pensionato, al momento della morte, escludendola alla stregua degli argomenti di seguito esposti (e qui riconfermati, pur venendo evocata, nella specie, soltanto una pretesa domanda on line per rate non riscosse).

14. Il r.d. 28 agosto 1924, n. 1422 (che ha attuato il regolamento per l'esecuzione del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3184 contenente provvedimenti per l'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti), prevede, al titolo settimo, le modalità per la liquidazione e il pagamento delle pensioni e, più specificamente, al capo terzo di tale titolo contempla i modi in cui le pensioni devono essere corrisposte, anche in ipotesi particolari.

15. Nell'ambito di questa previsione, l'art. 90 stabilisce, fra l’altro, che le rate di pensione non riscosse dal pensionato al momento della morte sono pagate al coniuge superstite, ovvero, in mancanza di esso, al tutore dei figli minori e, in assenza anche di figli, agli eredi legittimi o testamentari (comma 4).

16. Tale ultima disposizione, che interessa in questa sede, è dunque inserita nell'ambito di una regolamentazione dei pagamenti delle pensioni già liquidate ed è diretta, in particolare, con finalità evidentemente cautelative e provvisorie per il caso di rate non riscosse dal pensionato deceduto, ad attuare una adjectio solutionis causa nell'interesse dell'Istituto debitore e negli eredi subentrati al de cuius, senza minimamente incidere sulla titolarità dei relativi diritti, regolati dalle comuni norme successorie.

17. Ne discende che la posizione del coniuge superstite, legittimato alla riscossione delle rate non riscosse dal pensionato al momento della morte, è bensì tutelabile mediante la proposizione di azioni giudiziarie, ma solo nei limiti in cui sia contestato il suo diritto alla riscossione, ovvero in relazione all’entità del pagamento che egli deve riscuotere; diversamente, le azioni volte all’attribuzione, a titolo ereditario, di diritti del de cuius nella sfera patrimoniale dei superstiti, sono proponibili solo dagli eredi, ivi compreso, eventualmente, anche il coniuge superstite, ma, appunto, nella qualità di erede (cfr., Cass. 4655/2009, cit..)

18. Da tanto consegue, in conclusione, che la sussistenza della relazione parentale di coniugio e di filiazione non esclude la presenza di altri soggetti legittimari (e, quindi, chiamati all’eredità) o la possibilità, in ipotesi di successione testamentaria, dell’istituzione di altri eredi.

19. Il ricorso deve, pertanto, dichiararsi inammissibile.

20. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, in applicazione, ratione temporis, della nuova disciplina delle spese nei procedimenti in materia di previdenza e assistenza, introdotta dall’art. 42, comma undicesimo, decreto legge 30 settembre 2003 n. 269, convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003 n. 326.

21. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

22. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).

23. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) da dichiararsi inammissibile, deve provvedersi in conformità.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, in favore dell’INPS, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13,comma 1-quater, d.P.R. 115/2002, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico dei ricorrenti, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13,comma 1 bis.