Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 maggio 2016, n. 10793

Accertamento fiscale - Recupero a tassazione ai fini Irpef - Maggior reddito determinato a seguito di rettifica

 

Svolgimento del processo

 

1. Con sentenza depositata in data 7/7/2009, la C.T.R. Toscana, in accoglimento dell'appello proposto dal contribuente e in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l'illegittimità degli avvisi di accertamento notificati a G. P. per il recupero a tassazione, ai fini Irpef e Contr. S.S.N., per gli anni d'imposta 1997, 1998 e 1999, del maggior reddito determinato a seguito di rettifica di quello dichiarato dalla società (SCIC S.r.l.) dallo stesso partecipata per la quota del 90%.

A fondamento della decisione era posto il triplice rilievo che: a) l'ufficio non aveva fornito la prova dell'avvenuta percezione degli utili da parte del contribuente, non potendosi ritenere valido un accertamento operato attraverso una presunzione di secondo grado, la prima riguardante i maggiori utili a carico della società, la seconda relativa alla distribuzione degli utili ai soci, senza essere affiancata da altri elementi in grado di radicarne la gravità, precisione e concordanza; b) la pretesa dell'ufficio violava il divieto di doppia imposizione di cui agli artt. 67 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 127 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; c) l’accertamento effettuato nei confronti della società era, comunque, infondato in quanto basato su erronea percentuale di assegnazione dei capi di bestiame tra il soccidante e il soccidario.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso l'Agenzia delle entrate, sulla base di tre motivi, corredati da quesiti di diritto; resiste il contribuente, depositando controricorso.

 

Motivi della decisione

 

3. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 38, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell'art. 2697 cod. civ., in relazione all'art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. ritenuto che la ristretta base sociale della S.r.l. partecipata non costituisse elemento di per sé solo sufficiente a fondare la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio ai soci, salva la prova contraria il cui onere è però posto a carico del contribuente.

4. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 67 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché degli artt. 14 e 127 T.U.I.R., in relazione all'art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. ritenuto che l'accertamento operato dall'ufficio nei confronti del contribuente incorresse nella violazione del divieto di doppia imposizione, conseguente - secondo la censurata tesi accolta dalla sentenza impugnata - alla sottoposizione della società a tassazione ai fini Irpeg, senza riconoscimento alla stessa di credito d'imposta, e alla successiva tassazione della quota di utili spettanti ai soci.

5. Con il terzo motivo la ricorrente infine lamenta insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, comma primo n. 5, cod. proc. civ.

Lamenta la ricorrente che la C.T.R., entrando nel merito dell'accertamento condotto nei confronti della S.r.l. partecipata, ne ha escluso la fondatezza senza considerare l'opposto esito dei connessi giudizi sul medesimo tema svoltisi nei confronti della società.

6. È fondato il primo motivo di ricorso.

Secondo principio costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, dai quale non si ravvisa ragione per discostarsi, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nemmeno la eventuale mera deduzione del profilo per cui l'esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (v. e pluribus Sez. 6 - 5, Ord. n. 17928 del 18/10/2012, Rv. 623933; Sez. 5, n. 18640 dell'08/07/2008, Rv. 605332; Cass. n. 16885/03, n. 10951/02, n. 7174/02; cfr. anche Cass. n. 6197 del 16/03/2007, n. 20851 del 26/10, n. 16885 del 2003).

Nel caso di specie la C.T.R., ritenendo insufficiente detta presunzione e postulando la necessità di ulteriori convergenti elementi di prova a carico dell'amministrazione, non si è evidentemente conformata a tale principio, il quale ai contrario è chiaro nel senso che a fondare l'accertamento può essere anche da sola sufficiente la detta presunzione, salvo prova contraria a carico del contribuente.

7. È altresì fondato il secondo motivo.

Secondo pacifico indirizzo, cui questa Corte intende dare continuità, non ravvisando ragione alcuna per discostarsene, "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'operatività del divieto di doppia imposizione, previsto dall’art. 67 deI d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto. Tale condizione non si verifica in caso di duplicità meramente economica di prelievo sullo stesso reddito, quale quella che si realizza, in caso di partecipazione al capitale di una società commerciale, con la tassazione del reddito sia ai fini dell'IRPEG, quale utile della società, sia ai fini dell'IRPEF, quale provento dei soci, attesa la diversità non solo dei soggetti passivi, ma anche dei requisiti posti a base delle due diverse imposizioni" (Cass., Sez. 5, n. 19687 del 27/09/2011, Rv. 618991, che ha escluso sussista doppia imposizione in un analogo caso di utili extrabilando corrisposti ai soci da una società di capitali, le cui imposte non erano state pagate dalla società medesima; v. anche Sez. 5, n. 1168 del 21/01/2008, Rv. 601546; Sez. 5, n. 8351 del 12/06/2002, Rv. 554994).

8. È infine fondato il terzo motivo.

Il principio sopra richiamato circa la legittimità della presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertali, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma stano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, muove alla ovvia premessa che risulti effettivamente accertata, in maniera definitiva, l'esistenza di maggiori ricavi non dichiarati e, conseguentemente, di utili extrabilancio in favore della società (v. Cass., Sez. 5, n. 9519 del 22/04/2009, Rv. 607815; Sez. 5, n. 6780 del 05/05/2003, Rv. 562620).

Non può pertanto dubitarsi che, ove l'accertamento a carico della società sia stato impugnato in separato giudizio, benché non ricorra, come per le società di persone, un'ipotesi di litisconsorzio necessario, in ordine ai rapporti tra i rispettivi processi, l'accertamento nei confronti della società costituisca pur sempre un indispensabile antecedente logico-giuridico rispetto a quello nei confronti del socio, in virtù dell'unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano (v. ex multis Sez. 6-5, Ord. n. 23323 del 31/10/2014, Rv. 633099; Sez. 5, n. 2214 del 31/01/2011, Rv. 616479), tanto che - si afferma - ove il giudizio relativo all'accertamento nei confronti della società risulti ancora pendente quello relativo al socio deve essere sospeso ai sensi dell'art. 295 cod. proc. civ., applicabile nel giudizio tributario in forza del generale richiamo dell'art. 1 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ricorrendo tra i due processi, per le ragioni dette, un rapporto di pregiudizialità in senso tecnico (v. Sez. 6-5, Ord. n. 1865 del 08/02/2012, Rv. 621385, che ha cassato la decisione della commissione tributaria regionale che, pur riconoscendo effetti decisivi alla sentenza non definitiva di annullamento dell'avviso di accertamento emesso nei confronti di una società a ristretta compagine sociale, non aveva disposto, in attesa della definizione di quel giudizio, la sospensione del processo pendente nei confronti del socio, avente ad oggetto l'accertamento IRPEF per la stessa annualità di imposta; Sez. 5, n. 2214 del 31/01/2011, Rv. 616479).

Erroneamente nel caso di specie la C.T.R. ha ritenuto nel caso di specie di poter prescindere dall'esito di tale separato giudizio, rivelandosi pertanto sussistente il vizio dedotto.

La sentenza pertanto va dunque cassata anche sotto tale profilo.

Peraltro nel caso di specie i giudizi promossi dalla società, avverso gli accertamenti per maggiori ricavi nei suoi confronti emessi per gli anni in questione, risultano definiti con sentenze ormai passate in giudicato con il rigetto dei ricorsi e la conferma e la legittimità dell'operato dell'ufficio (v. Sez. 5, n. 23297 del 09/09/2008, resa all'esito di giudizio del quale è stato parte anche l'odierno controricorrente; Sez. 5, n. 19598 del 17/09/2014); risultando tale accertamento vincolante per l'ufficio (v. da ultimo Sez. 5, n. 15632 del 09/07/2014; e ivi richiamate Cass. 24049/2011; 2214/2011; 1865/2012) ne discende che, non richiedendosi ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito in questa sede, ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ., con il rigetto del ricorso introduttivo proposto dai contribuente.

Alla soccombenza segue la condanna del resistente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità. Avuto riguardo alle vicende della controversia nel merito, equo appare compensare le spese del relativo giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso e, per l'effetto, cassa la sentenza impugnata; decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto da G. P. avverso gli accertamenti nei suoi confronti emessi quali indicati in atti; compensa le spese per entrambi i gradi del giudizio di merito; condanna il contribuente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in € 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.