Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 maggio 2016, n. 10925

Fallimento - Trasferimento fittizio della sede sociale - Onere della prova a carico dei creditori

 

Svolgimento del processo

 

Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Bologna ha rigettato il reclamo proposto dalla I. srl ltd avverso la sentenza che ne aveva dichiarato il fallimento, disattendendo l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano.

Hanno ritenuto i giudici del merito che è solo fittizio il trasferimento a Londra della sede della società fallita, operato quando si era già manifestata la crisi dell'impresa, sicché permane la giurisdizione del giudice italiano per la dichiarazione del fallimento.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la I. srl Itd sulla base di un unico motivo d'impugnazione, cui resistono con controricorso C.F. spa, I.F.I. spa, A.F. spa e V.I. co. Ltd, mentre non ha spiegato difese il Fallimento I. srl ltd.

 

Motivi della decisione

 

1. Con l'unico motivo la ricorrente deduce violazione dell'art. 9 legge fall., e dell'art. 3 Regolamento CE n. 1346/2000.

Sostiene che il trasferimento della società a Londra avvenne prima del deposito di una qualsiasi richiesta di fallimento; sicché non si applica l'art. 9 comma 5 legge fall. Mentre secondo quanto prevede l'art. 3 del Regolamento CE 1346/2000 la giurisdizione per la dichiarazione di insolvenza appartiene ai giudici nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore, che si presume nel luogo in cui si trova la sede statutaria. Né i creditori istanti hanno dimostrato, come avrebbero dovuto, che la società abbia in Italia il centro principale dei propri interessi anche dopo il trasferimento della sede in Gran Bretagna.

E' stato al contrario provato che la società è attualmente partecipata totalitariamente da un socio straniero; e la giurisprudenza europea è nel senso che la presunzione di cui all'art. 3 del Regolamento operi senz'altro quando sia reso pubblico il trasferimento del controllo della società.

2. Il ricorso è fondato.

Come rileva la ricorrente, secondo la giurisprudenza di questa corte, «ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, del Regolamento CE 29 maggio 2000, n. 1346/2000, competenti ad aprire la procedura di insolvenza sono i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore, dovendosi presumere - per le società e le persone giuridiche - che il centro degli interessi coincida, fino a prova contraria, con il luogo in cui si trova la sede statutaria, sicché quando risulti accertata una discrepanza tra sede legale e sede effettiva, è l’ubicazione di quest'ultima a dover prevalere ed a costituire il criterio determinante della giurisdizione» (Cass., sez. un., 6 febbraio 2015, n. 2243, m. 634145). Sicché incombe sui creditori istanti l'onere di provare fatti idonei a superare la presunzione di  coincidenza tra sede statutaria ed effettivo centro di interessi della società.

In realtà in giurisprudenza si è chiarito che, «benché non gravi sulla società nei cui confronti sia presentata un'istanza di fallimento la dimostrazione che il centro effettivo dei propri interessi coincida con l'ubicazione della sua sede legale, è comunque consentito al giudice, ai sensi dell'art. 116, secondo comma, c.p.c. - applicabile al procedimento prefallimentare - al fine di vincere la presunzione di corrispondenza tra sede effettiva e sede legale della società stessa, di desumere argomenti di prova dal contegno delle parti nel processo» (Cass., sez. un., 11 marzo 2013, n. 5945, m. 625477). Tuttavia nel caso in esame non risultano comportamenti o fatti dai quali possa argomentarsi nel senso postulato dai giudici del merito. Infatti la corte d'appello ha posto a fondamento della decisione impugnata la mancata prova di rapporti bancari, di contratti in corso, di una contabilità indicativi di un esercizio effettivo di una qualche attività economica all'estero. E ha così erroneamente posto a carico del debitore la prova dell'effettività del trasferimento della sede sociale, come del resto esplicitamente affermato nelle premesse della decisione.

Si deve pertanto concludere con l'accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata, la dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice italiano e la revoca della dichiarazione di fallimento della società ricorrente, così decidendo nel merito della controversia.

Le alterne vicende del giudizio, non ascrivibili integralmente alle parti, giustificano la compensazione delle spese.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, revoca la dichiarazione del fallimento. Compensa integralmente le spese dell'intero giudizio.